C’è un antico detto romano che ben si adatta a Beppe Grillo e Matteo Salvini: “scoprono in oro come Marco Aurelio”. La statua bronzea dell’ imperatore filosofo romano ( quella autentica posta al riparo nei musei capitolini), ha riflessi dorati che lasciano intendere la sua veste originale.
Le sortite dei due eroi dell’attuale politica italiana lasciano infatti scoprire la loro vera natura.
Beppe Grillo, comico di professione, innalzato a padre della patria grillina e, ahimè a protagonista della politica nazionale, si è esibito in uno show televisivo in difesa del figlio indagato ( insieme ad altri bravi ragazzi), per aver stuprato una ragazza nella villa di famiglia, situata nel proletario resort del Pevero in quel di Porto Cervo, località della Costa Smeralda.
Il profeta del giustizialismo, anziché chiedere scusa, a mani giunte, alla ragazza per l’affronto subito, facendolo per conto del figlio e per se stesso degnamente che lo rappresenta, si è scagliato contro la ragazza per denunciato in ritardo (8 giorni) l’onta subita, e contro la magistratura inquirente per aver messo sotto schiaffo l’angelico figliolo. Per il Beppe nazionale, il male, quasi e il reato, l’ha commesso la giovane che, ubriacata a forza di vodka, non ha reagito. Insomma ce stava!
Eccolo, il vendicatore dei reati altrui, il giustiziere della società italiana, che si scopre per quello che è. Per dirla alla romana, un paraculo cor botto, che manda bagliori dorati della sua natura intima, che alla prima occasione, alla grande prova del comportamento esistenziale, l’uomo, anzi il comico, quando la circostanza lo chiama a dare prova dei suoi convincimenti garantisti, da fuori di testa e di bocca, come avviene nel rigurgito di una fogna.
Matteo Salvini, da parte sua, non riesce a stare nella normalità. Aiutato da imprevista fortuna, la sua Lega è rientrata al governo per la crisi che ha divorato il governo Conte 2. Dopo la richiesta dei pieni poteri, ela frequentazione del Papetee, nell’estate 2019 era uscito rumorosamente dal governo Conte 1 convinto di andare ad elezioni anticipate e fare un boccone degli avversari politici. Era rimasto con il torso in mano. Solo l’incapacità del governo giallorosso e lo stacco di Renzi che ne aveva prodotto la crisi, lo aveva riportato a galla, grazie all’esecutivo guidato da Mario Draghi, in una sorta di unità nazionale da cui soltanto la Meloni con Fratelli d’Italia si è chiamata fuori.
Così, ieri l’altro, il prode difensore delle partite Iva ha dato di testa sull’orario del coprifuoco, voleva le ore 23 anziché le 22 come anche i suoi ministri avevano concordato. Se un ora può sembrare poco, si pensi al povero Martino che per un punto perse la cappa di abate.
Eh, no! Su queste cose non si può mollare, il prode Matteo lombardo l’ha quasi avuta vinta, ma non si accorge che la sua Lega, piano piano, lo sta mollando. Ha sbagliato i conti. Draghi non è Conte, il precedente grave costituisce già una prova, alla seconda, c’è da aspettarselo, gli sarà sbattuta la porta in faccia.
Tormentato dalla rincorsa da di Giorgia Meloni, che gli sta strappando consensi e punta a superarlo, Salvini compirà presto un nuovo capolavoro. Nella Lega il rincalzo è già pronto, si chiama Giancarlo Giorgetti, è ministro per gli affari economici, ha sul tavolo dossier scottanti, dall’Ilva all’Alitalia, è ascoltato dagli ambienti finanziari e industriali italiani, ha rapporti civili e costruttivi con le organizzazioni dei lavoratori e le associazioni datoriali, ha dimostrato una vocazione europea che fa a calci con l’abbraccio di Salvini ai sovranisti di Ungheria e di Polonia. Il passo è breve, è solo questione di tempo , sarà un tempo breve.
I due personaggi appena descritti hanno un tratto in comune, che li fa uguali e diversi.
Beppe Grillo, sta portando alla distruzione l’asse tra Movimento 5Stelle e Pd, prima che esso nasca. La crisi non sarà solo nei 5Stelle, già divorati sul piano interno, si estenderà anche al Pd, con il neo segretario Enrico Letta che non ha compreso la necessità di svincolarsi da un abbraccio mortale che ha già portato alle dimissioni del suo predecessore, Ni cola Zingaretti.
Matteo Salvini, da parte sua, ha posto i semi per la rottura dell’alleanza di centro destra, con la Meloni che oramai gioca in proprio e Forza Italia che dovrà necessariamente smarcarsi da un alleato che si sta dimostrando distruttivo.
Con una fava due piccioni. Il grande stellone dell’Italia comincia a produrre i suoi effetti.