Due domande sulla crisi al professor Mario Pacelli, che di crisi se ne intende.
La lunga crisi politica seguita alle elezioni del 4 marzo si è conclusa con la formazione di un governo che può contare su una maggioranza formata da parlamentari del Movimento 5 Stelle e della Lega. Ma il percorso per giungere a questa soluzione è stato piuttosto accidentato: si potrebbe dire che si è trattato di una vera e propria commedia all’italiana in cui si è oscillato tra il grottesco e il comico se non vi fosse stato il grave pericolo di un collasso finanziario e di una crisi istituzionale come conseguenza di un ritorno alle urne in piena estate. Nato nella mente dei suoi promotori come il governo del cambiamento e del ritorno della gestione nelle mani dei politici in realtà l’alleanza gialloverde si affida per i ruoli determinanti della politica estera ed economica ad uno stuolo di vecchi professori le cui note idee poco hanno a che vedere con il programma di governo scritto da Salvini e Di Maio. Un vero e proprio labirinto in cui si rischia di perdere l’orientamento facendone pagare le spese ai cittadini.
Per chiarirci le idee abbiamo chiesto al professor Mario Pacelli che è stato per 35 anni funzionario della Camera dei Deputati e docente di istituzioni di diritto pubblico all’Università La Sapienza di Roma di esaminare con noi alcuni momenti significativi di questi 90 giorni.
Il punto di vista del Prof. Pacelli
Caro Mario, tu che sei stato capo dell’ufficio legislativo in diversi ministeri, segretario della commissione d’inchiesta sulla mafia, tu che ti sei occupato delle più importanti inchieste parlamentari dalla P2 a quella sulle stragi, che hai scritto interi libri sui regolamenti parlamentari e sulla presidenza della Repubblica (il recente “Il colle più alto” con il giornalista Giorgio Giovannetti ndr), nei tuoi ricordi ci sono state in passato altre crisi di governo simili a quella successiva alle ultime elezioni.
“Nei miei ricordi ci sono molte occasioni in cui si discusse dei poteri del Presidente della Repubblica a proposito della formazione dei governi. Il ricordo più lontano è quello delle polemiche che nacquero nel 1960 quando Gronchi affidò l’incarico di formare il governo a Ferdinando Tambroni, che apparteneva ad una delle correnti minoritarie della Dc. Il fatto è che l’articolo 87 della Costituzione relativo ai poteri del Presidente della Repubblica fu oggetto di un lungo dibattito all’Assemblea Costituente: ne risultò un compromesso tra chi voleva quei poteri illimitati e chi invece, come Piero Calamandrei, vedeva la questione nella prospettiva di una repubblica presidenziale in cui l’ago della bilancia propendesse a favore del Capo dello Stato a danno del Governo e del Parlamento. Il testo approvato fu una formula elastica, talora interpretata in senso restrittivo da presidenti della Repubblica che si sono succeduti dal 1948 ad oggi: per esempio Einaudi e Leone si mossero su un terreno limitato mentre altri presidenti, a partire da Sandro Pertini, interpretarono in modo più ampio i loro poteri. Mattarella ha interpretato il suo ruolo nel senso di garante degli interessi nazionali anche rispetto ai programmi di governo di una maggioranza parlamentare schierata dichiaratamente su posizioni all’antisistema. In un certo senso il Presidente della Repubblica ha agito come maestro che il primo giorno di scuola insegna ai bambini della prima elementare quali siano le regole da osservare, alternando la esposizione pacata alla voce severa. Ha sollevato proteste ma alla fine ha ottenuto il risultato voluto.”
Durante la crisi sono stati commessi errori sotto il profilo costituzionale?
“Anche se nessuna norma costituzionale è stata violata di errori ne sono stati commessi molti, almeno a guardare ai primi settant’anni di vita della Repubblica: errori a mio avviso sono stati la diffusione di programmi di governo simili al libri di fiabe che hanno determinato il caos nei mercati finanziari, così come aver indirettamente attribuito un qualche valore a quelle fiabe non respingendole quando sono state presentate sotto forma di contratto al capo dello Stato durante le consultazioni. Altro errore è stato quello di accusare il Capo dello Stato di attentato alla Costituzione quando si è rifiutato di nominare un ministro, potere questo chiaramente attribuitogli dall’articolo 92 della Costituzione. Molte volte è accaduto in passato che una persona sia stata data come ministro di sicura nomina salvo poi trovarla esclusa dalla lista letta dal Presidente del Consiglio al termine dell’incontro con il presidente della Repubblica. Se ben ricordo, è quanto accadde nel 1966 a Bernardo Mattarella, padre dell’attuale Presidente della Repubblica: Aldo Moro, Presidente del Consiglio, gli inviò una lettera di spiegazione della sua esclusione dal governo, dovuta alla lotta tra le correnti Dc.
Non credo che gli esclusi di oggi abbiano molti motivi per lamentarsi: è un governo che “dura minga” avrebbe detto un noto comico di altri tempi: tre Presidenti del Consiglio sembrano proprio troppi per non creare problemi.