Dal momento che la decisione assunta oggi in apertura della direzione nazionale di Più Europa è stata di “pubblicizzare” il contenuto, non di considerarlo materia riservata, mi permetto di lasciare qui a disposizione le cose che avevo predisposto e che intervenendo a braccio ho solo un poco sintetizzato.
Aderisco ai toni non entusiastici ma anche non catastrofisti con cui Benedetto Della Vedova ha aperto i nostri lavori. E questo riconoscimento mi è parso espresso anche, magari con più distinguo e prudenze, dagli interventi che mi hanno preceduto, due di parte “Centro democratico” e due di radice radicale.
E’ stata evocata la percezione di un bivio: andare verso la resa dei conti o concentrarci sulle vie di uscita e sul come continuare. In realtà per negare la resa dei conti. Ma negli interventi, pur con spunti interessanti, che hanno aperto il dibattito io ho colto non sopite istanze di “resa dei conti”. Evidentemente dal Congresso (materia ancora di conflitto) a oggi non si sono sciolti tutti i nodi, malgrado l’impegno poco distraente dei più per le scadenze elettorali. Quei toni di apertura rimandavano a un concetto che dovrebbe prevalere in un momento come questo: quello di tenere bene in vista il problema individuale e collettivo che abbiamo in ordine alla tenuta di responsabilità. Il che non vuol dire soffocare critiche e valutazioni sui deficit. Al contrario, vuol dire trovare sempre soluzioni capaci di misurarsi con quei deficit.
Ora a me pare che il deficit più velenoso sia rappresentato da ciò che viene descritto come una virtù: stare in piedi solo come “comitato elettorale”. Anch’io aderisco all’idea che non si è “partito” se non ci si misura – comunque e possibilmente dovunque – con le scadenze elettorali. Ma a valle di un lavoro molto più approfondito sul posizionamento in materia teorica, metodologica, di sostenibilità sociale e legislativa.
Ecco perché meraviglia un poco che in quattro interventi finora svolti e da figure con sicura esperienza politica non sia stata spesa una parola per fare emergere da uno spazio pure un po’ troppo discreto la proposta di Benedetto di mettere, a questo punto, in calendario una “conferenza programmatica”.
Aggiungo che mi è piaciuta anche la breve connotazione data: “non limitarla a nostri contributi interni”. Cioè non farla da soli. Il che vuole credo intendere che essa può diventare – nel merito e nel metodo – la forma per ragionare meglio che con le elezioni a vista del nostro forse fragile ma certo articolato sistema di alleanze, per vedere come procedere su tempi più lunghi e con obiettivi più ampi con soggetti di non occasionale compagnia ma di cultura politica compatibile.
In un certo senso in forma di battuta – un accenno di Diego Masi e una piccola chiosa di Tabacci – si è ricordato che, nella Democrazia Cristiana, la proposta di “conferenza programmatica” si faceva per cercare una strada palliativa (ed è per questo comprensibile che Bruno abbia chiosato “e ora non c’è neppure più la DC”, come dire comunque una grande forza capace comunque di ragionamenti sul proprio perimetro). Capisco, appunto, la battuta. Ma debbo ricordare a me stesso che la “conferenza programmatica” in cui mi sono trovato più impegnato in quegli anni lontani, fu quella invece promossa nel 1982 dal Partito Socialista non a scopo palliativo, ma perché era necessario promuovere, sull’onda di un rilancio della cultura liberal-socialista (allora ispirata tra i socialisti dalla figura di Norberto Bobbio) un nuovo modo di confrontarsi con il tema della disuguaglianza, ma non limitandosi al rischio della vecchia retorica marxista (lo dico a Diego che ha sollevato questo tema) ma declinandolo modernamente – ed è questa una crucialità di chi vuol governare – con il tema della crescita. Quella conferenza stava preparando un soggetto politico ad assumersi ampie e nuove responsabilità nell’interesse del paese per gli anni successivi.
Per questo penso che non basti avere “una proposta”, come ha indicato Magi. Non risolva, credo, sostenere che la prossima assemblea diventa inutile. Ancora meno mi parte risolva (rispetto al tema delle responsabilità) chiedere a questo punto la discontinuità di gestione. Il punto che credo debba essere oggetto della conferenza è provare a descrivere meglio il senso del posizionamento liberaldemocratico, con profondità di analisi, con attenzione al “modo di far politica”, con un occhio attentissimo all’elaborazione che si sta facendo ora in Europa dove le forze liberaldemocratiche costituiscono un nuovo successo in vari paesi e in generale dove il 12 giugno si apre il lavoro di programma – che si chiuderà a fine luglio – grazie a cui i capi dei gruppi socialista, liberale, popolare e verde, cioè i gruppi europeisti, hanno deciso di governare l’Europa per la legislatura. Noi usiamo talvolta questa parola in modo un po’ approssimativo, figlio di storie lontane. Rischiamo di fare come Marco Pannella faceva quando sommava aggettivi – tutti veri, tutti giusti, anche tutti in un certo senso parte di un sentimento politico omogeneo – ma in modo non più teoricamente aggiornato, per parlare della “propria specificità”.
Dobbiamo da un lato rispettare le tradizioni ma dall’altro anche avere elaborazione aggiornata alle difficoltà che sono insorte di recente quando le categorie teoriche adatte alle nazioni non combaciavano più all’ampliamento globale del campo di analisi. La materia ambientalista è un esempio di questa trasformazione assoluta nel rapporto tra cause e soluzioni. Per questo in poche parole credo che sia giusta l’osservazione fatta sul non aspettare che si capisca se e quando la legislatura esalerà l’ultimo respiro, ma svolgere al più presto ciò che è mancato nel percorso fatto soprattutto prima del Congresso.
Intervento nel corso della Direzione Nazionale di Più Europa (Roma, 8 giugno 2019, h. 12.30)