È bastato che il povero Conte facesse il nuovo decreto perché i suoi oppositori politici si scatenassero contro! Eppure il Premier non lo aveva fatto di testa sua perche’ certamente aveva consultato i circa 400 consulenti che stanno operando in questa disastrosa vicenda per cavare fuori il Paese. Erano troppi? Può darsi, ma comunque rappresentano il meglio delle tante competenze esistenti ed i diversi gruppi per la propria parte hanno suggerito in scienza, coscienza e competenza cosa bisognasse fare.
Così si è cercato di riavviare il lavoro, le industrie, la produzione, per evitare che il disastro economico crescesse e che i mercati si rivolgessero altrove, che la bilancia dei pagamenti si ponesse sul rosso fisso, che insomma la già sofferente capacità industriale del Paese arretrasse ulteriormente su scala mondiale. Per tutto ciò sono state indicate misure di sicurezza, gradualità, mezzi economici favorevoli: tuttavia tutto questo non avviene nè avverrà a rischio zero perché la programmata tutela in fabbrica, non è equivalente a quella sui mezzi di trasporto, né negli ambienti familiari. Si doveva fare e si è fatto al meglio: speriamo bene.
Nella vita civile invece ha prevalso la prudenza per più motivi: il primo, e più evidente, è che la pandemia in Italia dopo tre lunghi mesi è ancora attiva e nelle regioni del Nord ha ancora una alta contagiosità e mortalità. Il secondo motivo sta nel fatto che sarebbe ben difficile isolare quelle Regioni dal resto del Paese dove si è vicini all’estinzione dei focolari e dove sarebbe difficile contenere un’eventuale ripresa dell’epidemia. Il terzo motivo è che ancora si conosce troppo poco della malattia come ad esempio la capacità di produrre immunità nei contagiati guariti.
I provvedimenti presi dal Governo validi per tutto il territorio nazionale sono perciò apparsi insufficienti ai fautori della libertà sancita dalla Costituzione, evidentemente compresa la libertà di morire!
L’opposizione parlamentare rimane schierata contro qualunque provvedimento del Governo, la sua parola d’ordine è il no, il no a tutto. C’è stato un tentativo formale di ricomposizione tra le parti, ma in realtà è solo servito, attraverso richieste improprie e perciò non accettate, a rilanciare la politica del no. La sconfitta del virus sarà quindi una vittoria della gestione ossia del Governo e del Paese che è stato capace di grandi sacrifici e che certamente non vorrebbe vedere che questi vadano delusi per i capricci incomprensibili di pochi in cerca di visibilità, incuranti dell’interesse generale.
Col progredire della seconda fase bisognerà farsi carico delle differenze territoriali e procedere di conseguenza. Alla fine di aprile, dopo il primo trimestre del coronavirus, le due grandi città italiane Roma e Milano e le relative Regioni Lazio e Lombardia si trovano in condizioni epidemiologiche e cliniche molto diverse. Il Lazio con più di 5 milioni di abitanti ha avuto 6500 cittadini contagiati e poco più di 400 decessi, la Lombardia con il doppio di abitanti ha avuto circa 75.000 contagiati e più di 13.000 decessi, ossia non il doppio rispetto al Lazio ma molte volte di più. Roma Capitale con 2.800.000 abitanti ha avuto 4500 contagiati e nell’ultima settimana di aprile ha riscontrato poco meno di 50 contagi al giorno, mentre Milano con la metà di abitanti ossia 1.400.000, ha avuto nel trimestre più di 8000 contagiati e nell’ultima settimana una media di quasi 150 casi al giorno. Se poi si esaminano le altre Città capoluogo di provincia delle due Regioni, si scopre che nell’ultima domenica nel Lazio ci sono stati zero casi a Viterbo, record delle Asl italiane, e da due a quattro casi al giorno nelle altre tre province del Lazio, mentre in Lombardia, da Bergamo a Brescia, a Como, a Monza i nuovi casi hanno oscillato per ciascuna Città tra 50 ed i 120 al giorno, per popolazioni di consistenza numerica poco superiore ai capoluoghi del Lazio. La differenza è evidente: se allora per Roma ed il Lazio le prospettive sono buone e i provvedimenti governativi di fine maggio potrebbero essere molto più favorevoli di quelli attuali, la stessa strategia applicata in Lombardia potrebbe comportare un rischio di ripresa dell’infezione molto alto. E’ dunque il tempo di separare i destini?
Di questo dovrebbe farsi carico la politica strillata, perché chi ha responsabilità politica per il Nord non dovrebbe invocare la fine della quarantena ed incolpare il Governo di autoritarismo, semmai dovrebbe domandarsi perché a Nord Italia è successo quello che è successo e se la politica locale, oggi come ieri ed avantieri, non abbia commesso errori e non abbia responsabilità sui negativi accadimenti. Insomma più che le grida servirebbero i silenzi per riflettere e forse anche per pentirsi. E servirebbe anche di farla finita con gli slogan come ”Roma ladrona” e ”La sanità lombarda è la migliore del mondo”! Bisognerebbe cercare un profilo più alto, invece di accanirsi a discutere su “congiunti” sostantivo comparso nell’ultimo decreto: discussione ridicola alla quale partecipano tutti in maniera non solo risibile, ma anche patetica, con la contrapposizione tra editorialisti, tra opinionisti, tra letterati, tra leader politici ed anche tra medici. Povera politica!
Ed ora c’è chi dice di chiudere i ponti sul Po rendendo felici gli antichi cultori della Padania od anche ripristinare la famigerata linea gotica in senso inverso, per salvare il centro-sud dal cataclisma del coronavirus. E c’è chi con più senso dello Stato si limita ad invocare il parziale passaggio delle responsabilità alle autonomie regionali, pur in una cornice disegnata da Roma. E c’è naturalmente chi strilla per il piacere di strillare per contestare tutto e tutti ed acquisire il consenso degli scontenti. In questi tempi di poca politica e di molte sofferenze, probabilmente la fazione di quelli che strillano ha davvero toccato il fondo!