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giovedì 25 Aprile 2024
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Finalmente il silenzio dei ciarlatani, la parola alla elite di governo

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La crisi del governo presieduto dal prof. Giuseppe Conte è stato oggetto sul nostro giornale di una rigorosa analisi di Mario Pacelli, di un puntuale articolo di Daniele Fichera e di un intervento di Gianluca Veronesi. A cui abbiamo aggiunto il link con l’osservatorio sulla comunicazione pubblica, il public branding e la trasformazione digitale dell’Università IULM di Milano, dipartimento Business, Diritto, Economia e Consumi, diretto da Stefano Rolando per leggere la rassegna di trenta commenti della stampa italiana per una analisi del “dibattito pubblico” sui cambiamenti delle politiche pubbliche.

Non è quindi necessario tornare sull’argomento, mentre può essere utile richiamare l’attenzione sulle conclusioni a cui si è giunti.

Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha condotto la crisi di governo in modo da verificare la capacità del personale politico che guida le diverse formazioni di elaborare programmi e realizzare compromessi in modo da costruire accordi e formare una maggioranza di governo. Il risultato è stato negativo: nessun partito o movimento è stato in grado di assolvere a questo compito. È toccato al Capo dello Stato trovare la soluzione: l’incarico al prof. Mario Draghi di formare un governo senza identità politica. I partiti che avevano sostenuto il presidente Conte ma che sul suo nome non erano riusciti a ricostruire una maggioranza hanno subito aderito all’iniziativa di Mattarella e così Italia Viva e Berlusconi. La mossa di Salvini di dichiarare il sostegno della Lega al tentativo Draghi ha sparigliato il campo: ha legittimato la Lega nel campo delle forze di maggioranza consentendogli di occupare il posto da cui gestire il Recovery plan, e che potrà tornare utile quando arriverà la tanto annunciata ripresa. Quanto poi alla irreversibilità dell’euro e dell’europeismo, il leader della Lega ci ha abituati ai suoi cambi di stagione per cui non fa nemmeno notizia. Quello che conta è essere al posto giusto quando si tratterà il nome del successore di Sergio Mattarella.

Quanto all’altro Matteo è giustamente soddisfatto, non avrà il consenso degli elettori ma è difficile non riconoscere che con l’apertura della crisi del governo Conte ha reso un grande servizio al Paese spianando la strada all’arrivo del prof. Draghi.

Ora l’opinione pubblica si aspetta competenza, condivisione e soluzione dei problemi. Non è più tempo di pretestuose polemiche per ottenere presunti vantaggi elettorali, ne di interminabili talkshow fra virologi, giornalisti e saltimbanchi. La drammaticità della situazione in cui siamo immersi e la crisi di governo hanno messo in evidenza il fallimento di molta parte dell’informazione televisiva: una narrazione della politica tipo “Novella 2000” ha reso increduli i giornalisti davanti al silenzio di Draghi, abituati come sono a costruire mostri tipo Renzi o a schernire il Salvini del rosario per finire con ricostruzioni storiche in cui Draghi somiglia a Monti, forse a Ciampi e persino a Dini, una sorta di festival delle barzellette che non fanno ridere nessuno.

Finalmente è calato il silenzio. La portavoce di Mario Draghi, Paola Ansuini, dichiara: si parla solo se si ha qualcosa da dire e, a noi piace aggiungere, nelle sedi istituzionali e non nei salotti della tv, pubblica o privata che sia. E così è stato, il Presidente del Consiglio ha parlato al Senato e alla Camera dei deputati:

  1. Il principale dovere cui siamo chiamati, tutti, io per primo come presidente del Consiglio, è di combattere con ogni mezzo la pandemia e di salvaguardare le vite dei nostri concittadini.
  2. Questo governo nasce nel solco dell’appartenenza del nostro Paese, come socio fondatore, all’Unione europea, e come protagonista dell’Alleanza Atlantica, nel solco delle grandi democrazie occidentali, a difesa dei loro irrinunciabili principi e valori.
  3. La diffusione del Covid ha provocato ferite profonde nelle nostre comunità, non solo sul piano sanitario ed economico, ma anche su quello culturale ed educativo.
  4. Le priorità per ripartire: non era mai accaduto che si riuscisse a produrre un nuovo vaccino in meno di un anno. La nostra prima sfida è, ottenutene le quantità sufficienti, distribuirlo rapidamente ed efficientemente.
  5. È necessario investire in una transizione culturale a partire dal patrimonio identitario umanistico riconosciuto a livello internazionale. Siamo chiamati a disegnare un percorso educativo che combini la necessaria adesione agli standard qualitativi richiesti, anche nel panorama europeo, con innesti di nuove materie e metodologie, e coniugare le competenze scientifiche con quelle delle aree umanistiche e del multilinguismo. Infine è necessario investire nella formazione del personale docente per allineare l’offerta educativa alla domanda delle nuove generazioni.
  6. Proteggere il futuro dell’ambiente, conciliandolo con il progresso e il benessere sociale, richiede un approccio nuovo: digitalizzazione, agricoltura, salute, energia, aerospazio, cloud computing, scuole ed educazione, protezione dei territori, biodiversità, riscaldamento globale ed effetto serra, sono diverse facce di una sfida poliedrica che vede al centro l’ecosistema in cui si svilupperanno tutte le azioni umane.
  7. La mobilitazione di tutte le energie del Paese nel suo rilancio non può prescindere dal coinvolgimento delle donne. Il divario di genere nei tassi di occupazione in Italia rimane tra i più alti di Europa: l’Italia presenta oggi uno dei peggiori gap salariali tra generi in Europa, oltre una cronica scarsità di donne in posizioni manageriali di rilievo.
  8. Il Mezzogiorno. Sviluppare la capacità di attrarre investimenti privati nazionali e internazionali è essenziale per generare reddito, creare lavoro, investire il declino demografico e lo spopolamento delle aree interne
  9. Gli investimenti pubblici. In tema di infrastrutture occorre investire sulla preparazione tecnica, legale ed economica dei funzionari pubblici per permettere alle amministrazioni di poter pianificare, progettare ed accelerare gli investimenti con certezza dei tempi, dei costi e in piena compatibilità con gli indirizzi di sostenibilità e crescita indicati nel Programma nazionale di Ripresa e Resilienza.
  10. Next Generation EU. Come si è ripetuto più volte, avremo a disposizione circa 210 miliardi lungo un periodo di sei anni. Queste risorse dovranno essere spese puntando a migliorare il potenziale di crescita della nostra economia. Le Missioni del Programma potranno essere rimodulate e riaccorpate, ma resteranno quelle enunciate nei precedenti documenti del Governo uscente, ovvero l’innovazione, la digitalizzazione, la competitività e la cultura; la transizione ecologica; le infrastrutture per la mobilità sostenibile; la formazione e la ricerca; l’equità sociale, di genere, generazionale e territoriale; la salute e la relativa filiera produttiva.
  11. Obiettivi strategici: Il Programma è finora stato costruito in base ad obiettivi di alto livello e aggregando proposte progettuali in missioni, componenti e linee progettuali. Nelle prossime settimane rafforzeremo la dimensione strategica del Programma, in particolare con riguardo agli obiettivi riguardanti la produzione di energia da fonti rinnovabili, l’inquinamento dell’aria e delle acque, la rete ferroviaria veloce, le reti di distribuzione dell’energia per i veicoli a propulsione elettrica, la produzione e distribuzione di idrogeno, la digitalizzazione, la banda larga e le reti di comunicazione 5G.
    In base a tale visione strategica, il Programma nazionale di Ripresa e Resilienza indicherà obiettivi per il prossimo decennio e più a lungo termine, con una tappa intermedia per l’anno finale del Next Generation EU, il 2026. Selezioneremo progetti e iniziative coerenti con gli obiettivi strategici del Programma, prestando grande attenzione alla loro fattibilità nell’arco dei sei anni del programma. La governance del Programma di ripresa e resilienza è incardinata nel Ministero dell’Economia e Finanza con la strettissima collaborazione dei Ministeri competenti che definiscono le politiche e i progetti di settore. Il Parlamento verrà costantemente informato sia sull’impianto complessivo, sia sulle politiche di settore.
  12. Le riforme. Il Next generation EU prevede riforme. Una riforma fiscale segna in ogni Paese un passaggio decisivo. Indica priorità, dà certezze, offre opportunità, è l’architrave della politica di bilancio
    In questa prospettiva va studiata una revisione profonda dell’Irpef con il duplice obiettivo di semplificare e razionalizzare la struttura del prelievo, riducendo gradualmente il carico fiscale e preservando la progressività. Funzionale al perseguimento di questi ambiziosi obiettivi sarà anche un rinnovato e rafforzato impegno nell’azione di contrasto all’evasione fiscale.
    L’altra riforma che non si può procrastinare è quella della pubblica amministrazione. Nell’emergenza l’azione amministrativa, a livello centrale e nelle strutture locali e periferiche, ha dimostrato capacità di resilienza e di adattamento grazie a un impegno diffuso nel lavoro a distanza e a un uso intelligente delle tecnologie a sua disposizione. La fragilità del sistema delle pubbliche amministrazioni e dei servizi di interesse collettivo è, tuttavia, una realtà che deve essere rapidamente affrontata.
    Nel campo della giustizia le azioni da svolgere sono principalmente quelle che si collocano all’interno del contesto e delle aspettative dell’Unione europea. Nelle Country Specific Recommendations indirizzate al nostro Paese negli anni 2019 e 2020, la Commissione, pur dando atto dei progressi compiuti negli ultimi anni, ci esorta: ad aumentare l’efficienza del sistema giudiziario civile, attuando e favorendo l’applicazione dei decreti di riforma in materia di insolvenza, garantendo un funzionamento più efficiente dei tribunali, favorendo lo smaltimento dell’arretrato e una migliore gestione dei carichi di lavoro, adottando norme procedurali più semplici, coprendo i posti vacanti del personale amministrativo, riducendo le differenze che sussistono nella gestione dei casi da tribunale a tribunale e infine favorendo la repressione della corruzione.
    Nei rapporti internazionali questo governo sarà convintamente europeista e atlantista, in linea con gli ancoraggi storici dell’Italia: Unione europea, Alleanza Atlantica, Nazioni Unite. Profonda è la nostra vocazione a favore di un multilateralismo efficace, fondato sul ruolo insostituibile delle Nazioni Unite. Resta forte la nostra attenzione e proiezione verso le aree di naturale interesse prioritario, come i Balcani, il Mediterraneo allargato, con particolare attenzione alla Libia e al Mediterraneo orientale, e all’Africa.
    Altra sfida sarà il negoziato sul nuovo Patto per le migrazioni e l’asilo, nel quale perseguiremo un deciso rafforzamento dell’equilibrio tra responsabilità dei Paesi di primo ingresso e solidarietà effettiva. Cruciale sarà anche la costruzione di una politica europea dei rimpatri dei non aventi diritto alla protezione internazionale, accanto al pieno rispetto dei diritti dei rifugiati.
    Dal dicembre scorso e fino alla fine del 2021, l’Italia esercita per la prima volta la Presidenza del G20. Il programma, che coinvolgerà l’intera compagine governativa, ruota intorno a tre pilastri: People, Planet, Prosperity. L’Italia avrà la responsabilità di guidare il Gruppo verso l’uscita dalla pandemia, e di rilanciare una crescita verde e sostenibile a beneficio di tutti. Si tratterà di ricostruire e di ricostruire meglio.
    Oggi, l’unità non è un’opzione, l’unità è un dovere. Ma è un dovere guidato da ciò che son certo ci unisce tutti: l’amore per l’Italia.

Fin qui il programma che il Presidente Draghi ha illustrato al Parlamento e che, con un duplice voto di fiducia, il Parlamento ha approvato. La domanda che viene da moti settori della nostra comunità è: riuscirà il governo a realizzare effettivamente queste riforme di cui si parla da decenni? Non bastano le buone intenzioni titola Norma Rangeri sul Manifesto. Per fare le riforme ci vogliono strumenti efficienti: una pubblica amministrazione in grado di svolgere i suoi compiti e non una amministrazione pubblica (commissari, autority, etc.) che crea soltanto confusione. L’esperienza delle vaccinazioni anticovid è la cartina di tornasole della inefficienza di una burocrazia statale e regionale senza guida politica e che tende a realizzare interessi corporativi e non dei cittadini. E se a questo fine la pubblica amministrazione va rinnovata, i partiti politici se ne devono assumere le responsabilità conseguenti in quanto l’articolo 49 della Costituzione affida loro il compito di essere il raccordo tra Stato e cittadini e non tra Stato e burocrazia o tra Stato e magistrati.

E qui casca l’asino, dice un vecchio detto popolare. La domanda è dove sono i partiti? Cosa fanno, cosa elaborano, quali progetti coltivano, che strategia hanno. Il terremoto Draghi ha fatto tremare il Partito democratico: certamente ritrovarsi al governo con i sovranisti non era nelle migliori intenzioni di Zingaretti, per non parlare dei grillini che volevano un governo Draghi ancorato al “perimetro della vecchia maggioranza e a quanto di buono fatto dal governo uscente” come da dichiarazione del cittadino Vito Crimi.

Il Pd si è annientato nel sostegno a Giuseppe Conte, in nome dell’alleanza con i grillini e dell’ipotesi di una Lista del presidente che sarebbe dovuta nascere per dar vita alla coalizione progressista, l’Alleanza per lo Sviluppo Sostenibile, che lo stesso Conte ha declamato dal tavolino di Largo Chigi. Purtroppo con Conte fuori dal Palazzo, la lista si è dissolta come neve al sole assieme all’intera strategia del Pd di Bettini e il destino di Conte, federatore alla Prodi per guidare il nuovo centrosinistra, è per ora archiviato. E così mentre Draghi presenta il suo governo alla Camera in Via del Nazareno si preparano le liste per il Congresso: se cade la segreteria Zingaretti, il Pd si potrebbe affidare a Stefano Bonaccini o Giorgio Gori dicono i bene informati.

Nel campo dei Cinquestelle, in attesa del prossimo editto di Beppe Grillo, si espellono i dissidenti e si fa la conta dei senatori e deputati che si dividono tra il Guevara de’noartri, in arte Alessandro Di Battista, e la corrente governista di Luigi Di Maio. Il «ci sono e ci sarò» del Conte defenestrato è un eco lontano.

A destra la politica sembra una catena di Sant’Antonio: Giorgia Meloni fa quello che ha sempre fatto, un’opposizione populista e ininfluente cercando di lucrare sulla posizione “responsabile” di Salvini che a sua volta punta a conquistare una posizione di centro e a prendersi i voti in libera uscita di Forza Italia che a sua volta prova a non farsi scappare l’occasione Draghi per liberarsi dalla morsa salviniana. Una nota a parte merita il duo Borghi e Bagnai costretti ad una performance da circo equestre: capriole, equilibrismi, travestimenti per riposizionarsi non sapendo più se indossare la felpa del leader o il doppiopetto di Giorgetti, e allora interviene Salvini, che memore delle sue passioni giovanili, risolve il dilemma lanciando la “Lega di lotta e di governo” sulle orme di Berlinguer che mentre faceva il compromesso storico con la DC minacciava l’occupazione delle fabbriche della Fiat.

Se questa è la situazione in cui versano partiti e movimenti del XXI secolo non c’è da stare allegri, sappiamo che la vitalità della democrazia si fonda sui partiti e quindi non possiamo abbandonare il campo. La rigenerazione del sistema politico passa attraverso una buona legge elettorale e la ripresa del confronto delle idee e delle ideologie. In questo contesto gli uomini di buona volontà che non condividono la scelta obbligata destra/sinistra possono darsi il compito di costruire una nuova formazione politica liberaldemocratica e riformista espressione di quell’area che oggi va da Renzi a Calenda, da Bonino ai verdi, dai socialisti a Bentivogli. Fra i tanti effetti positivi di una crisi che ci ha liberato di Conte e ci ha portato Draghi c’è la fine del populismo e dell’uno vale uno, e forse ci potrebbe essere anche l’esito straordinario di una èlite colta e capace a cui affidare il nostro futuro.






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