Il clima politico si sta arroventando e con la Redazione di questo giornale abbiamo ritenuto che la cronaca politica debba procedere di pari passo: il compito di farlo passa a Gaetano, detto Ghetanaccio, vecchio macellaio della Garbatella a Roma che ha studiato in seminario ed usa la penna un po’ come “er cortellaccio” con cui un tempo sgozzava i maiali. Io mi ritiro ad occuparmi della cucina romana della tradizione, e riprendo con la “Frittata der poveraccio”.
Il grande problema del popolo romano dell’ottocento era quello di usare i pochi quattrini a disposizione per alimentarsi nel modo migliore possibile, spendendo poco per mangiare cibi almeno sufficienti a mantenersi in vita.
A dire la verità il problema non era solo romano, tanto per fare qualche esempio i contadini veneti aggiungevano alla polenta come condimento i fagioli, ricchi di proteine vegetali, per sopperire alla mancanza forzata di quelle animali (la carne era molto più costosa). Una cosa simile facevano i contadini pugliesi quando condivano la cicoria bollita con la purea di fave secche a buon prezzo e buon contenuto proteico.
A Roma c’era la frittata der poveraccio
A Roma er poveraccio, specie quello che doveva trovare qualcosa di fortemente nutriente per riempire la pagnotta da consumare a pranzo al lavoro (spesso nella bottega artigiana), trovò una soluzione originale: una fetta di pane secco, tagliata a dadini conditi nell’olio per farne poi una bella frittata con le uova della gallina che razzolava nell’orto.
I vantaggi erano molti, costava molto poco, era nutriente e teneva morbido il pane della pagnotta, impregnato dell’olio della frittata. La pagnotta stessa diventava bella saporita. Provare per credere!