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sabato 27 Aprile 2024
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Il canarino, digestivo d’altri tempi

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Nell’estate del 1959, giovane e abbastanza inesperto nei rapporti sociali formali ero fortemente innamorato di una ragazza che trascorreva le sue vacanze a Bassano del Grappa nella villa materna, e quindi mi offrivo alla curiosità dei bassanesi che considerando meridionali, terroni, tutti coloro che fossero nati al disotto del Brenta, avevano l’opportunità di studiare da vicino questo animale esotico proveniente da Roma, la città del Papa.

Fui lieto e incuriosito di accettare l’invito a pranzo di una nobile signora del luogo desiderosa di conoscere il ” terrone ” amico di suo figlio. L’accesso alla villa avveniva attraverso un’assai ampio giardino con alberi di alto fusto e boschetti intriganti. Fui accolto in un grande salotto le cui pareti non ospitavano quadri ma libri, dal soffitto a terra, uno spettacolo che avevo avuto occasione di conoscere pochi mesi prima quando venni ricevuto dal francesista bibliofilo Giovanni Macchia possessore di 30.000 volumi. Era impossibile per me contare i libri presenti nella villa di Bassano perché prima di entrare nel salotto avevo visto che anche i corridoi, che davano accesso ad altre stanze, erano tappezzati di libri.

I libri mettono soggezione e questo mi procurava un maggiore imbarazzo. Forse i miei ospiti avrebbero potuto scandagliare la mia preparazione culturale e scoprire quanto fossi ignorante. Forse l’indagine sarebbe stata espletata senza che io me ne rendessi conto. Il pranzo fu servito ad una tavola imbandita con discrezione lasciando mostrare qualche pezzo della produzione delle famose ceramiche bassanesi che io amavo molto perché erano presenti anche nella mia casa romana. La conversazione si svolse pacatamente perché la Signora era di una mitezza straordinaria ed il figlio aveva imparato bene la lezione mantenendo sempre il tono della voce basso.

Non furono toccati argomenti difficili, non si parlò di libri letti ma di tradizioni gastronomiche romane note o sconosciute alla Signora padrona di casa che, alla fine del pranzo mi chiese se avessi gradito un “canarino”. Io rimasi sconcertato immaginandomi tornare a Roma, in treno con una gabbietta ed un uccellino cinguettante, per cui espressi un certo imbarazzo che la signora cercò di farmi superare insistendo per ottenere il mio assenso. Naturalmente dissi di si ringraziando e fui immediatamente accontentato con una tazzina da te contenente un liquido color giallo-canarino nel quale navigava una scorza di limone.

Il canarino, digestivo d’altri tempi

il canarino
il canarino

Come studente di medicina ebbi la immediata intuizione che il canarino era il digestivo che la signora, sofferente di una dispepsia cronica consumava quotidianamente per alleviare la sofferenza di una calcolosi della cistifellea.
Fui molto saggio nell’astenermi dal condannare drasticamente l’utilità del canarino ma mi riservai di consigliare la consulenza del mio maestro dell’asportazione della cistifellea malata, unica responsabile della sua cattiva digestione.

Il limone è il pallore di un’amante che ha trascorso una notte in lacrime per il dolore della lontananza” scriveva un poeta arabo-siciliano Abd Ar-Rahman. Ma questo non era il caso della signora che stava molto meglio sola che accanto ad un marito potente e pieno di se.

Cos’era questo canarino?

Oggi lo conoscono quasi tutti anche se è considerato fuori moda. Scoprii in seguito le differenti ricette. Quella che mi sembrò essere la più intelligente consigliava di tagliare una sottile scorza del limone isolando solo la parte gialla quella contenente le essenze aromatiche contenute nella scorza, quelle capaci di una presunta attività terapeutica. Non ho mai potuto stabilire se l’acqua dovesse bollire per estrarre i principi attivi e se bere un canarino facesse bene per gli aromi sciolti nell’acqua calda, per la semplice acqua calda o per l’effetto placebo dell’auroterapia.

Forse il canarino lo bevono soprattutto gli ipocondriaci. Io stesso ho fatto ricorso al canarino molte volte nella mia vita nella convinzione che fosse utile, forse, come tanti altri tipi di infusi d’erbe le più svariate. Il canarino è buono ma quando hai bisogno di star meglio devi prima metterci lo zucchero altrimenti è imbevibile e poi devi berlo bollente pelandoti le labbra e la lingua.

Per questo devi usare una tazza alta e svasata. Il problema più grave si pone al bar perché a volte il cassiere conosce il canarino, altre volte ti guarda con un’aria sbalordita come se pensasse di essere preso in giro, a volte devi rivolgerti al barista nella speranza di essere compreso. Quando il canarino è sconosciuto non sono disponibili ad imparare su due piedi ed il canarino fa pena. Nei bar eleganti te lo servono come se fosse un tè ovvero con la teiera, l’acqua calda e le scorze di limone su un piattino.

Non è la stessa cosa. Ma se stai seduto puoi berlo con calma senza scottarti le labbra. Se vi trovate sulla costa amalfitana bevete un canarino preparato con un limone del posto. Non servirà per digerire ma per apprezzare un profumo indimenticabile che al nord se lo sognano.
Se qualcuno si fosse chiesto il perché di tanti libri raccolti nella sontuosa villa di Bassano avrebbe saputo che il marito della Signora proprietaria della villa era un uomo di Stato sempre impegnato a Roma per le gravose responsabilità. Era inoltre tanto colto ed erudito così da trasmettere al figlio la passione per i libri e la lettura.

La biblioteca era la testimonianza tangibile dell’alto livello culturale della famiglia. Ho notato immediatamente la differenza che c’era tra la biblioteca di Giovanni Macchia e quella della casa bassanese. La prima allegra malgrado la sua imponenza, ricca dei colori vivaci delle rilegature in pelle per cui ogni parete si presentava ai miei occhi come un quadro e vissuta perché il proprietario la nutriva tutti i giorni dei suoi sguardi, mentre quella di Bassano disadorna e triste faceva avvertire chiaramente la lontananza del padrone collezionista di libri, lontano da casa, distratto dai suoi impegni.






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