martedì 5 Novembre 2024
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Il commissario Ricciardi su Rai 1 vince la prima serata con la bellezza, le emozioni e la recitazione

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Di Tiziana Buccico

Il Commissario Ricciardi stravince e con grande sorpresa dei vari esperti di tv e di leoni da tastiera, batte negli ascolti il Grande Fratello Vip, sorpresa per tutti quelli che puntano su una televisione trash, fatta di copioni già scritti, gossip e finti Vip. Chi ama davvero la televisione di qualità non si è fatto incantare e ha seguito una serie televisiva, non facile, non patinata e soprattutto un prodotto che crede in una sceneggiatura forte, una regia capace e tanta teatralità.

Il primo libro di Maurizio De Giovanni, da cui è tratta la serie televisiva di Rai1 è del 2012 e ne sono seguiti altri 10, letti tutti, senza respirare, viaggiando in una Napoli che non ho mai conosciuto ma che è la mia città. Se mi avessero detto che avrei potuto vedere in tv il volto di Ricciardi, avrei assolutamente risposto che era impossibile, invece ci sono riusciti, sono riusciti a descrivere alla perfezione le atmosfere, e quel terribile segreto che accomuna il signorino Luigi Alfredo a sua madre. Napoli è bellissima, ma è grigia, ha più ombre che luci, i vicoli e gli antichi palazzi nobiliari diventano protagonisti, interni meravigliosi di case di quel Sud dell’Italia che tolgono il respiro. Abitazioni come musei privati fatti di pavimenti magnifici, mobili d’antiquariato, tappeti persiani e persino nei “bassi” un’eleganza che è propria della sfera privata di un centro storico tra i più antichi al mondo, privo finalmente di pulcinella, babà, bancarelle e folklore contemporaneo. E che bellezza questa Napoli, esattamente come leggere i libri di De Giovanni e ritrovare una Napoli degli anni Trenta, schiacciata tra la miseria e la raffinatezza. Il Real Teatro San Carlo, Palazzo Reale, Villa Pignatelli, Piazza Plebiscito e il Caffè Gambrinus, luoghi simbolo di un’antica civiltà, di storia e di episodi che hanno segnato la vita di una città che è un universo a sé.

Un regista Stefano D’Alatri che ha saputo ricostruire senza artifici un mondo antico, la cupezza di un periodo che aveva spento anche una Napoli colorata e sopra le righe, con ombre e con una plumbea cappa che incombe sul celebre Golfo. Una bella scommessa la prima serata della ammiraglia della Rai, una sfida per ritrovare il pubblico curioso, il pubblico che guarda lo schermo senza chattare e distrarsi, perché le storie di De Giovanni hanno bisogno di estrema attenzione, ogni particolare è un indizio, ogni sguardo è una frase, un pensiero, un’emozione.

Il grande amore del nobile commissario cilentano è fatto di occhiate rubate da un balcone all’altro, balconi alla napoletana, uno sguardo, un cenno del capo per raccontare una passione. Costumi bellissimi, il ritorno alla grande sartoria di scena grazie ad Alessandra Torella, napoletana doc, attenta conoscitrice di una Napoli che del particolare ne ha fatto eccellenza. Abiti da sera per la fascinosa cantante lirica Livia Lucani, colletti e grembiuli per il personale di servizio che meriterebbero un applauso a scena aperta, il riapparire dei kimoni di foggia etnica, un tocco eccentrico che faceva così chic all’epoca, pigiami di raso come abiti di alta moda, ricami di grande pregio.

Una sfilata di completi da uomo indossati a pennello, cuciti addosso, bretelle anche per gli scugnizzi dei vicoli, ogni costume rappresenta il personaggio, racconta qualcosa di più della storia, per non parlare dei cappelli da uomo e da donna che narrano un’altra grande eccellenza italiana. Finalmente cura per i dettagli, cura per ogni singolo particolare, nessuna sbavatura neanche nella casa chiusa sopra i vicoli.

Gli attori, il cast, per lo più napoletano, con un mix di accento e dialetto che rendono i dialoghi musicali, quella lingua il napoletano che fa da colonna sonora con Pino Daniele con “Maggio se ne va”. Tanto da dire, pochissimo da criticare, l’ultima puntata lunedì è stata la più forte la più emozionante, amore, tradimenti, interessi, conflitti e la scena più bella di questa stagione è l’incontro tra due personaggi incredibili, gli opposti, le due facce di un mondo. In una chiesa del centro storico della città partenopea, si incontrano il brigadiere Raffaele Maione, il fedele, affettuoso e umano compagno di inchieste di Ricciardi e il suo informatore, i suoi occhi nel ventre di Napoli “ Bambinella” un orfano che ha imparato a sopravvivere e che sa tutto ma proprio tutto ciò che accade, è un “femminiello” come venivano chiamati in dialetto, è un’anima candida che ha visto troppe brutture e che sogna l’amore.

Un personaggio che amo moltissimo e che immaginavo proprio così con la retina in testa, vestaglie pastello, kimoni, culotte di raso con pizzo e faccia imbellettata. Una scena che è un magistrale pezzo di teatro, un ricordo di Eduardo De Filippo, l’atmosfera sacra della chiesa barocca, il brigadiere vestito da guardia fascista seduto su una panca e Bambinella con abito da signorina e cappello con veletta, il suo incedere inconfondibile e la frase che pronuncia sedendosi “Fascino e riservatezza”, un momento altissimo di recitazione, sguardi e frasi dette in terza persona, l’umanità di un’amicizia impossibile tra due persone distanti anni luce, che in un luogo sacro sanciscono un legame che non ha più a che fare con la giustizia e il profano, ma solo con l’amicizia e la condivisione.

Due grandi attori Antonio Milo, di Castellamare di Stabia come il grande Raffaele Viviani, perfetto brigadiere con moglie e tanti figli a carico, con un grande dolore nel cuore eppure con la forza di sorridere per le piccole cose; Adriano Falivene che ha saputo incarnare un ruolo così complicato come quello di Bambinella, davvero un’ interpretazione unica, da brividi.

Tutti bravi e brave. Cosa dire di Enrico Ianniello, il medico Bruno Modo, vestito di lino color tabacco, scapigliato senza brillantina e un po’ stropicciato, antifascista, audace e sovversivo ma con un cuore immenso. Tra le protagoniste un plauso speciale va all’attrice Nunzia Schiano che di solito abbiamo visto in parti comiche ed invece nella serie, interpreta il ruolo della tata Rosa, è una Pupella Maggio del nuovo millennio, perfetta nei tempi, negli sguardi, nelle parole misurate, la vera madre del Commissario, il suo pilastro, la zattera per un uomo che ogni giorno rischia di naufragare.

Il commissario Ricciardi

Mancano ancora altri sei libri, non vedo l’ora che annuncino le riprese, ho scoperto che posso rimanere incollata davanti alla tv senza fare altro, pur sapendo la trama e conoscendo i colpevoli, avendo letto ogni singolo libro. Ritrovarsi con la propria famiglia a vedere storie dolorose e forti, a riflettere e ripetere le frasi per capirle meglio, per tradurle dal napoletano, osservare i gesti e viaggiare tra le pagine di un libro, un bel regalo dalla televisione, soprattutto in questo angosciante periodo. In un momento in cui la saggezza di certi personaggi possono farti riflettere, mi rendo conto che la televisione è ancora uno strumento di cultura, di piacere, di emozioni e di condivisione. Spero presto di ritrovare l’intenso Lino Guanciale con la virgola di capelli impomatata sulla fronte, il suo doppio petto con le spalline, il suo sguardo triste, dedicarsi alle indagini come solo Ricciardi sa fare, con i fantasmi che lo accompagnano da bambino, che spengono i suoi occhi e lo frenano nell’amore.

Una produzione ben riuscita, un’armonia raffinata di storie davvero difficili, una perfetta esecuzione corale per raccontare l’amore, il dolore e la storia e la grande umanità di Napoli.






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