Ha quasi il sapore della disperazione la proposta del Presidente nazionale dell’Ordine dei Giornalisti, resa pubblica con lanci di agenzia: «Proporrò un flash mob il 18 mattina durante la riunione del Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti, per sostenere le iniziative di categoria a difesa dell’INPGI e a tutela delle pensioni dei giornalisti, i cui contributi sono stati regolarmente pagati seguendo le regole dell’assicurazione generale obbligatoria» -ad annunciarlo è il presidente del Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti, Carlo Verna – «Una risposta a quel che i vertici dell’istituto hanno evidenziato diverse volte va data al più presto – spiega Verna – L’INPGI è l’unica cassa privatizzata a pagare interamente il costo della crisi. La sostenibilità va garantita, occorre coerenza d’intenti da parte del governo». (AGI)
È crisi di “sostenibilità” perché l’INPGI è stata diretta con poca accortezza o per la cattiveria del fato, impersonato qua e là da potenti editori e da governanti non al massimo della competenza e dell’interesse?
Che l’Ordine dei Giornalisti pensi ad una protesta coreografica, quale un flash mob fra i tanti, la dice lunga sulla auto considerazione che attanaglia una categoria, prima intellettuale e poi del lavoro, che è stata, nel bene e nel male, una protagonista della coraggiosa corsa alla modernità, alla libertà, ed al benessere dell’Italia repubblicana.
Alla crisi di vendita del prodotto, la stampa, alla sotto proletarizzazione del lavoro sempre più precario, alla erogazione di vergognosi compensi (è dell’altro ieri la rinuncia di una collega del blasonato Corriere della Sera, edizione digitale, al favoloso compenso di quindici euro lorde ad articolo, dopo una lunga collaborazione alla pagina economica, nel silenzio totale dei suoi colleghi esclusa la pubblica dichiarazione di “vergogna” provata dal galantuomo Pierluigi Battista) l’Ordine, non il Sindacato, propone un flash mob.
Stiamo a posto.
Che la crisi della previdenza pensionistica sia legata al veloce fallimento dell’industria editoriale per ragioni che sono diverse ed importanti nella rivoluzione digitale della comunicazione e nell’impoverimento dello spirito critico, anima della democrazia rappresentativa, è evidentemente espressione del divario tra quanto si sostiene nei convegni e quanto poi si è in grado di realizzare.
Nei giorni scorsi ho assistito, sorpreso e rattristato, all’incredibile montaggio di un falso scandalo, questa volta a danno di una nota e ben reputata azienda che edita una conosciuta Rassegna Stampa, accusata dalla Gedi prima e poi dal Messaggero, di aver sottratto un numero imprecisato, sottintendo milionario, di lettori alla grande flotta guidata da Repubblica ed a editori, non proprio esclusivamente dedicati all’editoria, quali i proprietari del Messaggero.
Tra i turpi metodi usati da Data Stampa persino quello di gestire per conto di 41 suoi clienti abbonamenti digitali per i rispettivi sottoscrittori.
L’ampia operazione anti criminale, secondo Repubblica, sarebbe stata affidata ad un Generale della Guardia di Finanza, che penso (e spero per il rispetto che porto alla competenza e serietà della Guardia di Finanza) si sia occupato di altri aspetti, questi sì criminali ma certamente di non eccessiva rilevanza, quali quelli che inducono furbastri a rivendere clandestinamente ed a prezzi popolari il prodotto digitale.
Il ridicolo è che la grande denuncia è avvenuta proprio nelle ore e nei giorni nei quali, come aveva previsto papà De Benedetti, la figliolanza, brava in tante cose ma non in editoria, ha venduto il colosso della stampa italiana associato al Gotha di quella mondiale, al prezzo che la famiglia Agnelli ha usato per acquistare un solo calciatore della Juventus, Ronaldo.
Quasi a dire, vedete siamo costretti a vendere non perché non ci legge più un numero decente di lettori per quello che noi rappresentiamo, ma perché Data Stampa (come le altre Rassegne Stampa sparse nel paese ma meno note) edita una Rassegna che nonostante le cause intentate dalla FIEG, a nostro nome, non trova alcuna soddisfazione nei Tribunali. Ecco perché siamo costretti a vendere, anzi a svendere. Riverenza ed amara uscita di scena.
Per non farsi mancare niente sempre in questi giorni l’isteria pallonara ha cercato di nascondersi dietro “non” fatti a spese del Corriere dello Sport accusato dalla Roma e dal Milan di razzismo per un titolo (Black Friday – Lukaku e Smalling, ex compagni allo United e oggi idoli nella sfida di domani- scudetto e champions in offerta). Apriti cielo. Il Milan, che nella eventuale diatriba non c’entrava nulla, ha deciso di chiudere le porte di Milanello al Corriere dello Sport, sperando forse di far dimenticare i buu ed i cori anti meridionali che la sua Curva deliziosamente intona tra una multa e l’altra e soprattutto un anno da dimenticare per i risultati conseguiti, dopo aver bruciato due allenatori, esonerato nei fatti Giampaolo, fatto evaporare l’ingresso di Spalletti, ripiegando su Pioli. Nella Roma calcio dopo il disastro della campagna acquisti di Monchi, il pessimo trattamento riservato a Totti e De Rossi, l’evanescenza della presidenza pallotta, il tentativo di scalata di un texano interessato a costruire lo Stadio, si sono convinti che prendersela per un titolo forse sbagliato, ma certamente non razzista, faccia dimenticare il recente passato? Se è così c’è da preoccuparsi. Non parliamo poi di Conte, tanto bravo quanto, diciamo, portato alla stizza? Che si è talmente infuriato non per un articolo ma per la lettera di un lettore bolognese che lo ha definito “esaurito” e che perciò ha cancellato una conferenza stampa, trovando come straordinaria protesta quella di chi si è lamentato che per colpire il Corriere dello Sport si siano colpiti anche gli altri quotidiani.
Che ne facciamo di questi difensori della libertà di stampa e del diritto dei loro lettori alla corretta informazione?
Terzo esempio del disastro.
In modo lento e sonnacchioso, fischiettando a destra perché l’interlocutore di sinistra non ascolti, e mostrando un qualcosa contro luce perché solo chi ben attrezzato da occhiali di qualità veda alcunché, solo agli aficionados è permesso sapere che il grande buttafuori rottamatore della Repubblica era uso metter dentro il sistema produttivo italiano consigli ed esperienze di persone e grandi imprese così interessate al bene pubblico da finanziare una Fondazione, Open, dedita ad incontri messianici presso la Leopolda; il cui compito si è dimostrato essere anche quello di consentire il massimo di mobilità e di attività al segretario del Partito di maggioranza e agevolare la elaborazioni di leggi, come sempre interessate ad aiutare, se non qualcosa almeno qualcuno, sulla base dei consigli di cui sopra.
Ora, il mondo delle concessionarie autostradali e degli interventi infrastrutturali e manutentori ha reso gioiosi anni interi di cronache e di bilanci aziendali e personali, il salto illogico è quello di pretendere che a causa di una ricevuta rilasciata da una Fondazione o da un professionista sia automaticamente sanato qualsiasi conflitto di interesse o, peggio, di indirizzo legislativo e di nomine all’interno delle aziende pubbliche.
Leggere una coerente storia, una verosimile cronaca di come una azienda in attivo, una spa ad azionista unico (lo stato) sia passata, nel volgere di pochi mesi, da una società che si era guadagnata l’Oscar di bilancio, una azienda prima in assoluto tra le stazioni appaltanti e con una capacità di spesa elevatissima, abbia dovuto sottostare a qualunque diffamazione pubblica, essere sciolta ed incorporata nelle Ferrovie dello Stato, di fatto iniziando un percorso che si tradurrà fatalmente nella scomparsa di concessioni autostradali pubbliche e non private, mentre è stato dimostrato dai fatti che il cessato sistema di ispezione e sorveglianza da parte di Anas trasferito al ministero, ha prodotto soltanto mancanza di antipatici ed esterni effettivi controlli nei vari campi ( sicurezza, investimenti, introiti, costruzioni, manutenzioni).
La crisi dell’editoria nasce anche dalla percezione dei lettori di una colpevole disattenzione dei fatti o di una loro strumentalizzazione secondo le esigenze del potere.
Non è facile per un giornalista occuparsi di temi che editori impuri pensano dannosi ad interessi diversi da quello della libera informazione.
In queste ore assistiamo, nel silenzio, ad un’altra epica battaglia di potere.
L’obbrobrio dell’annessione di Anas da parte di Ferrovie ha prodotto un risultato pari quasi allo zero negli investimenti e fuor dalle chiacchiere in progettazione di opere nuove nonché di manutenzione.
La ministra alle Infrastrutture pensa di modificare lo stallo cambiando esclusivamente l’attuale amministratore delegato di Anas, Simonini, un ingegnere senza infamia e senza lode, scelto dal precedente ministro per motivazioni non conosciute, tra le quarte file della società. Poiché ciascuno si circonda di chi conosce, tolto rari e lodevoli casi, i più importanti collaboratori dell’ad non hanno dimostrato particolare attitudine a conseguire eccellenti obiettivi.
L’idea di inviare un dirigente di riconosciute qualità come gestore interno, progettista e costruttore, esperto in sistemi autostradali, nato all’interno dell’ANAS e lì formatosi per decenni, non è piaciuta a quella parte della politica che oggi si qualifica come Italia Viva e a quella parte del PD che continua a trarre indicazioni dal senatore Renzi, il quale, invece, di strade ed autostrade se ne intende. Su alcuni quotidiani è apparsa la notizia che la persona che raccoglierebbe il consenso del mondo leopoldino e della ministra sarebbe un ingegnere meccanico che si occupa, da sempre, di gestione, l’amministratore della Consip (azienda che ricorre spesso nell’immaginario politico che si riferisce all’ex Presidente del Consiglio) il frequentatore della Leopolda, ingegner Cannarsa, mentre qualcuno già suggerisce un possibile altro nome, quello di un ex collaboratore di Pietro Ciucci, che negli anni ha saputo mantenere ottimi rapporti con chi era stato inviato a liquidare Anas, il dottor Armani, ed oggi in contatto con personalità del passato aziendale esperte in fronde anti amministratore, e soprattutto , oggi, del presente gruppo dirigente del sistema concessionario autostradale, che non è soltanto quello che dipende dalla famiglia Benetton. Già le autostrade. Preoccupate non soltanto da eventuali misure, tutte da verificare, proposte dai Cinque Stelle, ma soprattutto da una piccola constatazione: rimettere ordine nella repubblica caotica del sistema concessionario significa rimettere mano ai poteri di Anas ed affidare questo compito ad un competente è un guaio superiore a quello della temuta conclusione dell’iter giudiziario che si occupa dei morti del ponte Morandi e torna ad occuparsi dei morti di Avellino.
Altro che il flash mob suggerito dal presidente Verna! Il Giornalismo appare in balia di poteri politici, economici e persino sportivi così permeanti da aver bisogno di più coraggiose iniziative.