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venerdì 19 Aprile 2024
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Il riallineamento di Repubblica nell’Italia storicamente contesa

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Sintetizzando concettualmente la genesi dell’Europa occidentale, possiamo dire che essa è nata dall’incontro-scontro-fusione tra il mondo latino e il mondo germanico. Il mondo latino con l’Impero romano ne è stato il padrone assoluto fino al termine dell’Età antica. Il mondo germanico ha avuto il suo periodo di massima potenza dalle invasioni barbariche fino al Sacro Romano Impero di Carlo Magno, quindi per buona parte dell’Alto Medioevo.

Durante tutto il Medioevo si è definita quella fusione tra i due mondi, che ha dato origine alle attuali nazioni europee occidentali. Una composizione che però è stata segnata e caratterizzata anche da aspre e secolari contrapposizioni. Il mondo germanico si era impadronito militarmente e politicamente dell’Europa occidentale a seguito dell’implosione dell’Impero romano d’Occidente, ma ben presto subì la colonizzazione culturale della più antica civilizzazione latina, soprattutto nei territori che erano stati sotto dominazione romana.

La nemesi storica ci rimanda alla famosa locuzione di Orazio – Graecia capta ferum victorem cepit – che ben descrisse la relazione tra la colta Grecia e i suoi selvaggi conquistatori romani dell’epoca. Ciò avvenne anche grazie all’opera di evangelizzazione della Chiesa cattolica, che, a seguito della caduta dell’impero, riempì l’insostenibile vuoto di potere che si era creato in quella che all’epoca era ancora considerata la Capitale del mondo. Per questo e altri aspetti essa può essere considerata come la naturale erede dell’Impero romano d’Occidente. Originaria della stessa città, con la medesima vocazione ecumenica ed egemonica, prese idealmente dalla “Prima Roma” il testimone culturale della civilizzazione latina cristianizzata.

Allo stesso tempo il Sacro Romano Impero, seppur germanico, pretendeva di essere – come testimonia anche il nome – l’erede statuale dell’entità secolare romana, poiché aveva riunificato sotto il suo comando, se non tutti, la gran parte dei popoli dell’occidente europeo, proprio come il suo predecessore. Così tra le varie contrapposizioni che accompagnarono il processo di fusione medievale tra i due mondi, la più emblematica fu quella tra il Papa e l’Imperatore. Se il secondo cercava di prevalere forte della sua netta supremazia militare e politica, il primo faceva pesare la sua preminenza derivata dal primato della religione nella società medievale, dove anche il potere politico era di emanazione divina e quindi non poteva prescindere dalla consacrazione dell’autorità ecclesiastica. L’Imperatore era “Sacro”, perché incoronato dal Papa.

L’Italia, esattamente nel mezzo di un tale processo di polarizzazione che caratterizzò l’Europa medievale tra il nord imperiale germanico e il sud ecclesiastico latino, ne finì inevitabilmente lacerata. I partigiani del Papa, cosiddetti guelfi, e quelli dell’Imperatore, ghibellini, si diedero battaglia a vari livelli, non di rado con sanguinose guerre civili che funestarono le diverse entità statali in cui era divisa l’Italia centro-settentrionale dell’epoca. Una lacerazione di cui Dante ci ha dato fervida testimonianza nella Divina Commedia e che per vie traverse, a volte tortuose, ma sempre ben definite, si è protratta fino ai nostri giorni.

La presenza di una forza così soverchiante proprio nella sua capitale naturale, che si è sistematicamente opposta nel tempo a ogni altro potere che volesse unificare politicamente la penisola, ha portato a una divisione cronica del nostro paese, che ha attraversato tutta l’Età moderna e l’Età contemporanea, fino ad arrivare intatta ai nostri giorni.

Se il potere erede del mondo latino è rimasto immutato nei secoli, le potenze imperiali cui si è contrapposto, si sono via via avvicendate, secondo la loro prevalenza in Europa e nel mondo occidentale. Tuttavia, a parte la breve parentesi in cui si è vista obbligata a fronteggiare i “miscredenti” rivoluzionari francesi e il loro imperatore Napoleone, la Chiesa si è sempre trovata a dover contrastare l’aspirazione alla supremazia mondiale di potenze di origine germanica.

Così il Sacro Romano Impero medievale è stato sostituito nell’Età moderna dall’Impero britannico, padrone del globo fino alla prima guerra mondiale, forte della sua egemonia sui mari. L’inizio del ventesimo secolo, che concettualmente si fa risalire ai nuovi equilibri determinati dalla Grande Guerra, segnò il passaggio del testimone dall’Impero britannico alla nascente superpotenza globale degli USA, che poi si è definitivamente affermata come tale con la seconda guerra mondiale. La contrapposizione medievale tra il Papa latino e l’Imperatore germanico si è ripresentata, dunque, in chiave moderna, nella contesa tra la Chiesa cattolica, da una parte, e l’asse anglo-sassone USA/UK, dall’altra, il più esteso e potente “impero” che l’umanità abbia mai conosciuto.   

L’evoluzione politica italiana ha testimoniato sulla sua pelle tutte le età delle contrapposizioni del Papato. In tale contesto il Risorgimento è stato anche, se non soprattutto, il risultato della guerra vittoriosa che la Corona inglese (e la massoneria a essa legata) ha mosso contro la Chiesa romana e i suoi alleati italiani. Solo con l’avvento del Fascismo antimassonico e anti-inglese, il Vaticano è uscito dal suo isolamento e ha ricucito le relazioni politiche con la nuova Italia attraverso i Patti Lateranensi del ’29. E se durante la seconda guerra mondiale la posizione ambigua della Chiesa tra gli anglo-americani e il nazifascismo è ancora fonte d’infiniti e aspri dibattiti, forzata è stata l’inedita alleanza tra i due poteri per contrastare il comune pericolo comunista che veniva da Est.

Tuttavia appena sono apparse le prime crepe nella “cortina di ferro”, ecco già le avvisaglie italiane di un’imminente guerra di riposizionamento tra il Vaticano e l’asse anglo-sassone. Guerra deflagrata definitivamente con la caduta del Muro di Berlino e lo scoppio di Mani Pulite, una sorta di colpo di Stato con il quale un’intera classe dirigente politica, e una parte di quella economica, sono state spazzate via. Le chiavi di lettura di un evento così traumatico, da determinare nell’immaginario collettivo una frattura tra una “prima” e una “seconda” repubblica, sono state e ancora sono molteplici; a posteriori, vista l’evoluzione nei decenni a venire, sembrerebbe essersi trattato soprattutto di una guerra di riposizionamento tra grandi poteri dopo la rottura di un’alleanza forzata. Da una parte il mondo cattolico romano, la sua finanza, il suo capitalismo e la sua classe politica emblematicamente rappresentata da Andreotti; dall’altra, una finanza e un capitalismo anglo-americani ben impiantati nei “salotti buoni” lombardo-piemontesi, il cui massimo punto di riferimento è stato l’asse tra la famiglia Agnelli e la Mediobanca di Enrico Cuccia. 

Nei tre decenni che ci dividono ormai dalla caduta del comunismo sovietico, il Vaticano si è naturalmente contrapposto all’unico potere globale sopravvissuto e fortemente rafforzato dalla vittoria della guerra fredda: la finanza e il capitalismo anglo-americano di matrice protestante ed ebraica. Ciò l’ha portato, altrettanto naturalmente, a convergere verso gli interessi geo-strategici di tutti quei centri di potere mondiale che si oppongono all’omologazione della “pax americana”. Da qui gli ottimi rapporti del Papa con la Cuba castrista, con una certa area del mondo musulmano e, last but not least, con la Cina. La composizione del secolare contrasto sulla nomina dei vescovi cattolici cinesi ne è uno degli effetti più diretti e più importanti.

La politica estera italiana non può che risultarne fortemente segnata, da decenni impegnata in un equilibrismo “levantino” tra la necessaria fedeltà atlantica, da un lato, e la naturale tendenza all’appiattimento sugli interessi geo-strategici del Vaticano, dall’altro. Tuttavia, come ormai consuetudine da secoli, è soprattutto al suo interno che vive quotidianamente la lacerazione della contrapposizione tra i moderni guelfi, cattolici e filo-cinesi, e i moderni ghibellini “laici” e filo-atlantici.

In una fase nella quale le mire cinesi nel Mediterraneo si fanno particolarmente audaci e insidiose, con le conseguenti reazioni degli anglo-americani a contenerle (vd Draghi e il bazooka americano per riprendersi l’Europa), ha suscitato molto clamore il brusco e repentino cambio al vertice di Repubblica, a seguito della sua acquisizione da parte della dinastia Agnelli, già padrona del britannico The Economist. Il secondo quotidiano più letto d’Italia è, dalla fondazione, punto di riferimento di una certa intellighenzia nazionale e indubbiamente ha contribuito a orientare le decisioni di una certa classe dirigente, politica ed economica. Quello che molti commentatori hanno qualificato come un vero e proprio “blitz” sulla linea editoriale di un organo d’informazione così importante per la nostra società, sembrerebbe dunque inquadrarsi dentro a una più ampia missione politica (e culturale) che coinvolge l’Italia.

Una fetta importante del nostro establishment – quello riconducibile ai guelfi – da un periodo di tempo ormai relativamente lungo, guarda con sempre maggior simpatia alla Cina. Repubblica, anziché contrastare questa tendenza, si è posta sempre più come linea editoriale di riferimento di quell’area. Vicina da sempre alla parte politica prodiana e veltroniana, ha flirtato con Papa Francesco fin dalla sua elezione e, da ultimo, ha seguito con interesse e poi sostenuto il movimento delle sardine.  

In tale ambito il blitz della dinastia Agnelli di settimana scorsa per riallineare la testata su posizioni filo-atlantiche, proprio come l’intervento di Draghi sul britannico Financial Times d’inizio aprile, somiglia tanto a un messaggio forte e chiaro che arriva dall’America: “Cara Italia, la sbornia asiatica è finita, è ora di tornare a casa!”






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