Nonostante la gravità della situazione causata dalla pandemia, in più occasioni sono state diffuse false informazioni che hanno contribuito a creare panico e incertezza. Si tratta del reato di Procurato allarme, così definito dall’art 658 del Codice penale: «Chiunque, annunziando disastri, infortuni o pericoli inesistenti, suscita allarme presso l’Autorità, o presso enti e persone che esercitano un pubblico servizio, è punito con l’arresto fino a sei mesi o con l’ammenda da euro 10 a euro 516». Invero, chi procura un allarme falso o sproporzionato, provoca un danno a tutti i cittadini e può pregiudicare il regolare svolgimento del lavoro delle Forze dell’ordine e di quanti sono coinvolti, creando falsi allarmismi e possibili disfunzioni.
Durante la pandemia si sono avuti casi di “procurato allarme”: i carabinieri hanno denunciato per il reato di procurato allarme un medico che, abusando della sua posizione, postava messaggi su Whatsapp con i quali comunicava di falsi casi di positività al virus Covid-19, creando di fatto una situazione di allarme sociale. Un infermiere è stato denunciato a causa di un proprio video diventato virale in rete, che ha scatenato il panico e nel quale, personalmente, munito di mascherina e cuffia, denunciava un caso sospetto di coronavirus. La Procura di Bari ha aperto un’indagine per procurato allarme scatenato da alcune fake news su falsi casi di coronavirus ad opera di un infermiere e di un’altro cittadino che, riferendo di una ragazza positiva al coronavirus al ritorno da Wuhan, attribuiva per certo l’origine della “epidemia” ad una “bomba chimica scappata da un laboratorio al fine di inginocchiare l’economia mondiale e decimare la popolazione mondiale”.
Chi commette il reato di procurato allarme rischia l’arresto fino a 6 mesi. In realtà, però, perché si configuri l’ipotesi di reato e possa scattare la denuncia e la conseguente condanna, occorre che la notizia divulgata sia falsa e data per certa abbia creato panico sociale e indotto le Autorità competenti ad intervenire. Qualora, invece, la notizia resa provochi solo un turbamento dell’ordine pubblico, tale da non far scattare le procedure d’emergenza delle Autorità, si configurerà il reato di “Pubblicazione o diffusione di notizie false, esagerate o tendenziose, atte a turbare l’ordine pubblico” (art. 656 c.p.) che prevede l’arresto fino a 3 mesi.
“Il pensiero va a Camilla e a coloro che hanno pensato di usare bimbi e ragazzi come cavie da laboratori” ha dichiarato il senatore Matteo Salvini “contro il comitato tecnico scientifico e per competenza politica il ministro della Salute Roberto Speranza” sottolinea il Corriere della Sera. Forse per essere più chiaro ha poi aggiunto: ”sulla salute dei nostri figli e nipoti non si scherza chi ha sbagliato sulla pelle dei ragazzi, paghi”. Sono parole che non trovano alcuna giustificazione se non il tentativo maldestro di Salvini di comprendere, per ragioni elettorali, le posizioni No vax.
L’ex Ministro dell’Interno non ha mai smentito le sue ambigue posizioni sulla vaccinazione, basterà ricordare l’intervista televisiva in cui gli fu chiesto se si sarebbe vaccinato. La risposta fu “lo farò se me lo consiglia il medico”. Salvini ha adottato per tutta la pandemia una strategia della tensione, ma speculare sulla morte di una ragazza è veramente una cosa che fa schifo!
E non si invochi la libertà di opinione, un dirigente politico ha il dovere della responsabilità, sempre anche al di là delle proprie personali convinzioni. Altrimenti si applichi l’articolo 656 del codice penale. La qualità di membro del parlamento può tutelarlo dinanzi al giudice penale ma non dinanzi a quello civile. Sarebbe ora che qualcuno facesse capire a Salvini che non può continuare ad indossare l’abito di Nembo Kid violando qualunque norma del vivere civile senza pagarne in qualche modo il prezzo in base alle leggi vigenti per tutti gli italiani, senza eccezione alcuna, nemmeno l’essere senatore della Repubblica.