da Il barone rampante “di Calvino.
Il tempo sospeso, prodotto dal Covid 19, ha generato un tempo inquietante, caratterizzato da un profondo senso di precarietà esistenziale, sociale ed economica.
Quello che si mostra all’orizzonte è un panorama preoccupante, qualcosa che assomiglia ad una vera tragedia umana che coinvolge tutti e da cui nessuno può trovare scampo. In situazioni simili non ci si può salvare da soli, nè come uomini, nè come italiani, nè come europei, ci si salva soltanto attraverso un forte senso di comunanza, di solidarietà, di interconnessione.
In circostanze come queste o si sta insieme o si muore tutti, non sono ammissibili, nè possono ritenersi risolutive forze centrifughe che riportano ad un al di là rispetto a ciò che si vive e si vede e ad un al di là opaco e indecifrabile.
La storia insegna che in momenti difficili come il nostro, la salvezza non sta nelle divisioni, nelle contrapposizioni egoistiche e opportunistiche ma nell’unione di menti, in particolare, di menti LIBERE.
La storia dei “capponi di Renzo”, per esempio, è la storia di chi si procura il macello da solo pur avendo a disposizione una soluzione se non altro fondata sulla compartecipazione ad un destino comune.
L’insegnamento di Calvino ne “Il Barone Rampante”
Calvino, vissuto nell’età dei totalitarismi, della guerra fredda e quindi delle contrapposizioni estreme, individua ne “Il barone rampante” una strada di salvezza possibile. Quella del barone è la storia di Cosimo Piovasco di Rondò, che avendo deciso di vivere sugli alberi per avere una visione più ampia e particolareggiata della realtà, è costretto a difendersi dagli incendi che, oltre a mettere a rischio la propria vita, danneggiano il bosco e l’economia contadina.
“Cosimo per prima cosa pensò di fare incetta di barilotti e li issò pieni d’acqua in cima alle piante più alte e situate in luoghi dominanti […]. Ma non bastava, bisognava organizzare una guardia di spegnitori, squadre che in caso d’allarme sapessero subito disporsi a catena per passarsi di mano in mano secchi d’acqua e frenare l’incendio prima che si fosse propagato. Ne venne fuori una specie di milizia che faceva turni di guardia e ispezioni notturne […]. Capì questo: che le associazioni rendono l’uomo più forte e mettono in risalto le doti migliori delle singole persone, e danno la gioia che raramente s’ha restando per proprio conto, di vedere quanta gente c’è onesta e brava e capace e per cui vale la pena di volere cose buone (mentre vivendo per proprio conto capita più spesso il contrario, di vedere l’altra faccia della gente, quella per cui bisogna tener sempre la mani alla guardia della spada)”.
La morale di questa favola antica ma senza tempo è facile: di fronte ad un problema comune che sta a cuore a tutti di risolvere, i propri interessi personali vanno accantonati per la necessità imperativa di tutelare la collettività. Oggi, purtroppo, anziché spegnere gli incendi, si soffia sul fuoco nella speranza di accaparrarsi consensi e potere senza avere alcun progetto di senso compiuto se non quello di garantirsi una “nomination” in prima pagina su qualche nota testata giornalistica allo scopo di “far presa” e di guadagnare visibilità.
E così mentre Mattarella invoca un’unità morale, le Istituzioni mettono in evidenza la loro bieca mediocrità e la loro prevalente attitudine alle beghe personali. Nel frattempo il popolo soffre per la disoccupazione incalzante, per un’economia che langue e a causa di licenziamenti che arrivano numerosi.
E fra tutto questo non manca l’incendiario di turno impegnato a rompere partiti, scassinare parlamenti, a dividere, a frantumare senza avere nessun progetto alternativo se non quello di incenerire tutti per guadagnarsi, poi, il trofeo della vittoria.
In realtà occorrerebbe, invece, un FRONTE COMUNE, un nuovo Cosimo che abbia l’attitudine ad associare la gente, attitudine però di cui non abbia voglia di abusare ma di metterla in opera solo in situazioni di emergenza ed in vista di importanti risultati da conseguire a vantaggio di tutti.