27 agosto 1978: il settimanale espresso pubblica un lungo articolo a firma di Bettino Craxi.
Il titolo (Il vangelo socialista) è sottilmente provocatorio, allusivo com’è ad un documento al quale il segretario del PSI sembra volere dare la stessa importanza che i cattolici danno al vangelo, ritenendosi egli stesso una sorta di messia.
Scalfari, ex deputato socialista ed allora Direttore del settimanale, non aveva mai amato Craxi, convinto com’era – e sembra essere restato – che l’ostilità socialista nei confronti del PC bloccassero la strada intrapresa dai comunisti italiani verso il riformismo: proprio nella settimana precedente aveva pubblicato un articolo di Enrico Berlinguer in cui il Segretario del PC criticava a fondo l’illuminismo e la via rivoluzionaria come unica strada per la conquista del potere, una tesi che però sembrava non avere grande seguito in un partito comunista ancora legato alla rivoluzione di Ottobre.
Craxi da tempo meditava l’idea di un documento che segnasse una netta cesura del partito di cui era diventato Segretario politico due anni prima con ciò che esso era stato nei trenta anni precedenti. Leggeva molto, lesse un saggio di Luciano Pellicani sul pensiero di Edmond Barnestain, il politologo francese che alla fine dell’800 aveva criticato duramente criticato il marxismo ritenendo la vittoria del socialismo non passasse attraverso la sconfitta del capitalismo della rivoluzione ma scaturisse invece dall’auto determinazione dei singoli e delle masse usando gli strumenti della democrazia. Nell’orizzonte socialista non doveva esserci dunque l’identificazione del partito o lo Stato come nello schema leninista ma l’esercizio dei diritti di libertà.
Nel vangelo socialista ci fu tutto questo, sintesi di un socialismo che ripudia l’analisi marxista e sente fortemente l’influenza del pensiero di Proudhon con le sue stanze libertarie, nell’acquisire consapevolezza che un programma politico fondato sulla lotta di classe non sia proponibile ad una società completamente mutata rispetto a quella ottocentesca con la diffusione delle macchine, l’aumento del livello culturale medio ed il consolidamento della democrazia nei paesi dell’Europa occidentale. In quell’articolo, che sollevò molte critiche da parte del PC, c’era il socialismo della tradizione italiana, da quello umanitaria di Prampolini alla mutualità delle leghe contadine ottocentesche, insieme con la sottolineatura della necessità di ritrovare un equilibrio tra uguaglianza e libertà, un problema del quale parlerà ampiamente l’Alberto Bobbio.
C’è la difesa dello stato sociale, con i diritti sociali accanto a quelli civili della Rivoluzione liberale, c’era l’affermazione alle dignità della persona, c’era l’anticipazione di gran parte della tematica politica dei giorni nostri. La globalizzazione è ancora al di là da venire ma ci sono già le avvisaglie dei nuovi scenari economici internazionali: da questo documento traspare chiara la convinzione che occorre affrontare in modo nuovo nuovi problemi avendo fede negli uomini e la forza delle idee: forse avrà ragione quel titolista dell’Espresso che identificò quell’articolo con un vangelo, cioè con la buona novella che richiama tutti ad operarsi per un migliore futuro, un futuro che già si preannuncia non proprio roseo.
Un vangelo laico, in piena sintonia con il vangelo dei cattolici, in nome dell’alienabile della persona: non a caso Pellicani dedicherà in seguito uno studio alla comparazione tra la dittatura stalinista e quella nazista in quanto entrambe negazione dei diritti dell’uomo.
Si trattava di un documento di prospettiva lunga, che avrebbe dovuto essere al centro del dibattito politico all’interno del partito socialista anche per affermare la posizione dialettica nei confronti delle altre forze politiche, o da almeno da quelle che costituivano la maggioranza di governo: non fu così anche per un errore di valutazione di Craxi. La decisione presa al congresso del PSI di Palermo (1981) di modificare lo statuto del partito affidando al congresso e non più al consiglio nazionale la nomina del segretario politico rendeva quest’ultimo titolare di ogni potere nel partito tagliando decisivamente l’erba sotto i piedi delle correnti che ne avevano fino a quel momento condizionato l’azione. A tempo stesso però tagliava qualunque occasione di dibattito interno: gli esponenti di maggior rilievo del partito non erano solo molto spesso esponenti di truppe cammellate ma avevano in molti casi qualcosa da dire sulla linea politica da seguire, a cominciare dagli intellettuali facenti capo al mondo operaio che dopo un momento di perplessità avevano mostrato di condividere la linea politica di Craxi.
Dopo il Congresso di Palermo preferirono tacere nel timore di non incontrare il consenso del Segretario da cui ormai dipendeva tutto, da un seggio del Parlamento alla nomina in un ente pubblico.
Quando dissero qualche cosa, lo dissero per troppo tempo con troppa cautela: il vangelo socialista restò un documento politico da dare per scontato e non sollecitò come avrebbe dovuto una riflessione di programma.
E’ paradossale che possa apparire oggi quel documento e torna di attualità anche se non c’è più lo stalinismo, di Lenin resta la mummia nel museo della piazza rossa a Mosca, mentre lo stato sociale scricchiola sotto il peso della crisi economica, il capitalismo globalizzato tende a sostenere lo stato sociale con l’assistenzialismo paternalistico, l’anti politica, che significa poi svuotamento sostanziale del sistema politico, il sistema democratico sembra provare sempre più proseliti.
Torna alla ribalta l’antica tesi del socialismo sull’interventismo statale dell’economia: la crisi Alitalia e quella dell’Ilva e gli interventi per evitare i dissesti bancari sono all’ordine del giorno. Vecchi problemi, vecchi dubbi, vecchi interrogativi: forse è opportuno rileggere attentamente quel vangelo socialista di tanti anni fa: può offrire un contributo di idee per un dibattito politico sempre più povero di contenuti.