Si susseguono un giorno dopo l’altro notizie di alimenti ritirati dal commercio perché nocivi per la salute umana. Ciò rende sempre più urgente predisporre interventi normativi che regolino in modo più stringente l’uso di sostanze chimiche sia come ingredienti che come additivi durante il processo produttivo degli alimenti. La chimica ha avuto uno spazio sempre più largo nella produzione di molti alimenti, sia per i risultati ottenuti dalla ricerca sia per l’utilizzazione di macchinari sempre più complessi che rendono possibile conseguire risultati impensabili alcuni anni or sono, come per esempio ottenere burro da sostanze che con il latte non hanno nulla a che vedere.
L’etichetta con le sue misteriose sigle non fornisce indicazioni soddisfacenti per il consumatore sempre più attento agli effetti che ciò che acquista può avere sulla sua salute: libero il produttore di continuare ad immettere cibi potenzialmente a rischio sul mercato, ma altrettanto libero deve essere il consumatore di rifiutare quel rischio e di rivendicare un’adeguata informazione come una chiara indicazione in etichetta della caratteristica artigianale o industriale del cibo, garantendo nel primo caso il non uso di ingredienti chimici o, qualora ne sia indispensabile l’uso, delle loro potenziali conseguenze per la salute. È da rilevare che sono numerose le sostanze chimiche consentite dalle norme in vigore e di cui non è pacifica l’assenza di effetti negativi per il consumatore.
Non sembra assurdo pensare a una class actions di consumatori nei confronti dei produttori di alcuni alimenti analoghe a quelle azioni legali intraprese alcuni decenni fa negli Stati Uniti d’America nei confronti delle aziende del tabacco. Basta pensare a questo proposito alle sostanze emulsionanti: recenti ricerche nell’Università della Georgia hanno portato a concludere che almeno due di esse, ben lungi dall’essere innocue come assicurato da quelle industrie che le utilizzano, sono dannose per la salute dell’uomo in quanto agiscono negativamente sulla flora batterica intestinale.
L’occasione per una svolta drastica in questo senso è offerta dal Regolamento del Parlamento Europeo n.625 del 2017, che vincola i controlli anche alla fase di produzione degli alimenti, sancisce il principio troppo spesso dimenticato della trasparenza della filiera.
È vero che si tratta di materia già ampliamente disciplinata dalle norme nazionali e comunitarie, ma è anche vero che proprio il nuovo sistema di controlli possibili rende evidente, almeno per quanto riguarda il nostro Paese, la esistenza di angolini bui che dovranno essere eliminati.
Richiamare, come si fa nel nuovo regolamento, la responsabilità sia del produttore sia di chi commercializza gli alimenti, grande distribuzione compresa, alle proprie responsabilità a proposito di ciò che viene offerto al consumatore significa anche rendere gli uni e gli altri garanti della non nocività dell’alimento.
Lo spazio che tutto ciò apre agli Artigiani del Cibo è enorme. La distinzione tra prodotti industriali e prodotti artigianali, garantiti questi ultimi sia riguardo agli ingredienti che a proposito delle modalità produttive in base a disciplinari più rigorosi quanto all’uso di sostanze chimiche nella fase di produzione. E poi facilitazioni per la nascita di un mercato proprio dei prodotti artigianali, anche ai fini della loro garanzia del Made in Italy nella esportazione, delega al Governo per la emanazione di un decreto che rechi un codice degli alimenti che dia soluzione normativa ai casi più controversi. Sarà anche necessario accreditarsi presso i competenti organi della Comunità Europea per far sentire la voce degli “Artigiani del Cibo” non solo italiani ma anche francesi e spagnoli ad esempio e con i quali avviare gli opportuni contratti per la tutela in Europa di interessi comuni.