martedì 5 Novembre 2024
Classici contemporaneiLa Ginestra (G. Leopardi ) e l'arte di essere fragili (A. D'Avenia)

La Ginestra (G. Leopardi ) e l’arte di essere fragili (A. D’Avenia)

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La Ginestra è un’opera ultima, una sorta di messaggio testamentario di Leopardi sui tristi destini umani. È l’espressione più alta di un uomo presente alla propria fragilità in quanto essere umano uguale a tutti gli altri esseri al mondo. Ma a questa fragilità non sa e non vuole piegarsi. Per Leopardi esistere è resistere. E resistere, richiede, in primis, una scelta di chiarezza, di onestà, di lucidità di fronte alla tragicità del vero, per quanto annichilente possa essere. Chiudere gli occhi, negare (secondo lo stile negazionista dei nostri giorni) è un “pargoleggiare”, un  favoleggiare che non aiuta ad affrontare il male del “formidabil monte sterminator Vesevo“(ne La Ginestra ) o, nel nostro presente, di  un mortifero nemico invisibile, ugualmente “formidabil sterminator”, che toglie l’aria ai polmoni e nega il soffio vitale.

“UOM DI POVERO STATO E MEMBRA INFERME  CHE SIA DELL’ALMA GENEROSO ED ALTO, NON CHIAMA SÈ NÈ STIMA RICCO D’OR NÈ GAGLIARDO … MA SÈ DI FORZA E DI TESOR MENDICO LASCIA PARER SENZA VERGOGNA… E DI SUE COSE FA STIMA AL VERO UGUALE (da La  Ginestra vv 87 -97).

Di fronte ad un male incombente, quindi, Leopardi chiede mente lucida e petto coraggioso, invita a non tirarsi indietro costruendo “fole” ridicole e ancora più tragiche della tragicità presente; di fronte ad  una “guerra comune” chiede compattezza nella solidarietà.

“NOBIL NATURA È QUELLA CHE A SOLLEVAR S ‘ARDISCE GLI OCCHI MORTALI INCONTRO AL COMUN FATO E CHE CON FRANCA LINGUA NULLA AL VER TRAENDO CONFESSA IL MAL CHE CI FU DATO IN SORTE E IL BASSO STATO E FRALE, QUELLA CHE GRANDE E FORTE MOSTRA SE NEL SOFFRIR NÈ GLI ODI E L’IRA FRATERNE ANCOR PIÙ GRAVI D’OGNI ALTRO DANNI ACCRESCE ALLE MISERIE SUE ……(op.cit vv 111- 121).

Sarà questa l’arte di essere fragile di cui parla Alessandro D’Avenia, è questo il titanismo resiliente che affiora da un animo sofferente, impavido ma lucido che apre ad un abbraccio fraterno  tra “l’umana compagnia” per quella social catena che sola può aiutare ad affrontare e a sopportare le difficoltà e i pericoli che ci sovrastano in quanto: ” …ALLE OFFESE DELL’UOMO ARMAR LA DESTRA E LACCIO PORRE  AL VICINO ,STOLTO CREDE ” (op.cit vv 136-138).

Siamo nel pieno di una seconda ondata pandemica che pare mostrarsi ancora più drammatica della prima: i contagi crescono in modo esponenziale, ci viene detto, e con i contagi anche una folle infodemia ancora più pericolosa. Tutto e il contrario di tutto bolle in un calderone che può solo ustionare : negazionismo, complottismo, panico, rabbia, ignoranza dilagante, superficialità e irresponsabilità. Ma quello che spaventa di più è la rabbia delinquenziale di un popolo cieco pericolosamente capace solo di moltiplicare dolore e sofferenza con atteggiamenti irresponsabili e con la  sua violenza carica di odio, dissennata e volta prevalentemente a generare caos e destabilizzazione.

La realtà dei nostri giorni obbliga, invece, ad un senso di responsabilità. Il pericolo che ci sovrasta impone un’unica considerazione:  la nostra estrema fragilità e un giudizio oculato su quelle che ritenevamo “le magnifiche sorti e progressive”, espressione sarcastica di cui Leopardi si è servito per ricordare all’uomo la sua finitezza e il suo sciocco e superbo orgoglio antropocentrico.

Quanto sarebbe stato e sarebbe meglio guardare con lucidità la realtà, resettare la mente e l’agire umano, scegliere consapevolmente una disciplina anche rinunciataria, senza contrasti  intestini e senza “fole” ingannevoli e stupide, farsi forti in una “social catena” contro il male comune per affrontare i pericoli che una natura, oggi, vilipesa e malata “ci destina” e , infine, attuare  una resilienza attiva, coraggiosa e lucida ,ciascuno a seconda del ruolo che occupa , senza distinguo.

Quanto sarebbe meglio che l’uomo   smettesse  di essere “stolto”, abbandonasse il proprio “fetido orgoglio” che ” lo porta a credere in “eccelsi fati e nove felicità, quali il ciel tutto ignora” che prendesse coscienza di essere ” di povero stato e membra inferme” e senza fare “risibil mostra” di stupide ostentazioni di vana gloria acquisisse la consapevolezza della sua fragilità di fronte al potere devastante di una pandemia violenta che in poco tempo può annichilire l’intera umanità ; avesse il coraggio di sollevare “gli occhi mortali incontro al comun fato , di superare gli sterili contrasti e le “superbe fole” per combattere “ordinati e congiunti” la “guerra comune” recuperando  l’antico senso della lealtà, della giustizia e soprattutto della pietà, sentimento quasi defunto per realizzare una solidarietà resistenziale, una necessità civile ormai imprescindibile.






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