Settimana dopo settimana, intervista dopo intervista questo sette per cinque diventa sempre di più un termometro della malattia Italia. Così mentre il presidente Draghi e il generale Figliolo si industriano a organizzare la fuoriuscita dalla pandemia e la ripresa dell’economia del Bel Paese i cosiddetti movimenti o partiti sono sempre più concentrati sugli affari loro. L’attenuante è che si sono trovati dalla sera alla mattina a navigare in un mare sconosciuto in cui un premier inamovibile tiene sicura la rotta verso l’orizzonte del nocovid e del pil che sale. Una rotta che ha molti salutari effetti collaterali come la scoperta da parte dell’opinione pubblica della inaffidabilità della magistratura, che gode ormai di un vasto discredito: “ad alcuni pubblici ministeri non gli sembra vero di scagliarsi contro gli amministratori o contro i politici – ha detto Clemente Mastella (a proposito dell’avviso di garanzia alla sindaca Stefania Bonaldi per il dito dolorante di un bambino di una scuola della sua città) – Il Parlamento e il Governo non possono restare muti e limitarsi a esprimere ai sindaci la loro finta solidarietà. Devono fare in modo che la legge cambi”.
Ma Clemente Mastella non poteva lasciarsi sfuggire l’occasione di una intervista esclusiva di Antonello Sette per SprayNews per raccontarci una vicenda giudiziaria che lo riguarda personalmente come sindaco di Benevento: “dopo cinque mesi dalla mia elezione ho ricevuto un avviso di garanzia perché Benevento non aveva il depuratore. Mi ricordo che chiesi scherzando alla Procura perché non lo avesse mandato ai romani, ai longobardi o ai sanniti prima che a me. Ora il depuratore è in corso d’opera, ma mica me l’hanno tolto l’avviso. Sono quattro anni e mezzo che pende immutabile su di me. Incredibile, ma vero. Ero appena arrivato, mica potevo fare un depuratore nuovo di zecca in tre mesi. Lo stiamo costruendo a regola d’arte. Neppure questo gli è bastato. C’è una forma di divertissement su di noi.” Non sappiamo se sia davvero un “divertimento” questo modo alquanto singolare che hanno alcuni pubblici ministeri di interpretare la legge, certo è che appare urgente un intervento del legislatore per cambiarla, anche nell’interesse della stessa magistratura che ha visto crollare la fiducia dei cittadini italiani dal settanta al trentanove per cento. Oppure prendiamo per buona l’idea di Clemente Mastella e proponiamo a GIOCHI PREZIOSI d’inventare un gioco da tavolo per il prossimo Natale dedicato ai PM…
La notizia è: nel processo di appello per la cosiddetta trattativa Stato-Mafia, la Procura di Palermo ha chiesto la conferma delle condanne a 12 anni di detenzione per l’ex comandante del Ros Mario Mori e a 8 anni per l’ex capitano del Ros Giuseppe De Donno. Un’altra condanna infamante, dopo quella di Bruno Contrada, per uomini dello Stato che hanno trascorso la loro vita al servizio delle istituzioni. Tanto più che ad accusarli è Giovanni Brusca, 150 omicidi e un bambino sciolto nell’acido. Antonello è andato a trovare il comandante Contrada: “ La mia battaglia e la mia tragedia giudiziaria sono durate ventinove anni. Il 2 settembre compirò 90 anni. Un terzo della mia vita, dai miei sessanta anni ai miei novanta, se n’è andata fra incartamenti, aule di giustizia e carcere militare. Sono stato privato della libertà per otto anni, di cui la metà trascorsi in carcere e l’altra metà agli arresti domiciliari. Otto anni sono tanti. Specie quando la pena da scontare è ingiusta, come ha dovuto riconoscere e sancire la Corte di Cassazione”. Che cosa direbbe a Mario Mori, ad Antonio Subranni e a Giuseppe De Donno, gli domanda Antonello, se li avesse in questo momento davanti a lei? “Direi loro di avere perseveranza, tenacia, coraggio e di considerarsi ancora uomini delle istituzioni italiane, degni, come sono, di uno dei più grandi e civili Paesi del mondo, della nostra Italia e della nostra patria” è la risposta di Bruno Contrada dirigente della Polizia di Stato, dirigente del Sisde e capo della Squadra Mobile di Palermo.
“Dopo Palamara, il mondo giudiziario dovrà cambiare.” Non ha dubbi Federico Mollicone, deputato di Fratelli D’Italia. “E’ necessario ripristinare i necessari equilibri istituzionali, riconoscendo l’essenzialità delle garanzie di indipendenza ed autonomia previste dalla Carta costituzionale del potere giudiziario e, al tempo stesso, per salvaguardare il ruolo indispensabile e insostituibile che in tutti gli ordinamenti di democrazia costituzionale deve essere riconosciuto alla giurisdizione come unica istanza di terzietà e imparzialità per la tutela dei diritti dei cittadini. La politica ha, spesso, abdicato nei confronti della magistratura molte scelte, fomentando un fervore giustizialista e giacobino, come è accaduto con i 5 Stelle”. Forse sarebbe il caso di ricordare all’on.le Mollicone che gli equilibri istituzionali furono scardinati dalla procura di Milano quando, in piena tangentopoli, si oppose, con un proclama televisivo, alla firma del Presidente della Repubblica di una legge che non aveva il suo gradimento. Da quel giorno in poi le invasioni di campo non si sono più contate e se non bastasse ci si è messo anche un comico di piazza che travestito da Robespierre ha incitato ed eccitato i suoi fans e una buona dose di ignari cittadini contro il malaffare della politica. Sappiamo come è andata a finire, ma sappiamo anche che “le conversioni garantiste della politica, come quella di Luigi Di Maio che sul caso dell’ex sindaco di Lodi Simone Uggetti è passato a da Robespierre a Cesare Beccaria” servono a poco se non si affronta il nodo della questione, “è sulla riforma della Giustizia che bisogna passare dalle parole ai fatti” conclude Mollicone. Ma sappiamo anche che la malattia della giustizia italiana si deve al perverso e intrigato rapporto con l’informazione, osserva Antonello Sette. “Il rapporto fra media e giustizia va ristabilito, gli risponde Mollicone, Il clima inquisitorio di certa parte della politica ha portato a mostri giuridici: il reato di traffico di influenze illecite, la legge sulle intercettazioni, la riforma della prescrizione. Il sorteggio dei membri del Csm è l’unico strumento, come detto da Giorgia Meloni, per spezzare il correntismo e il sistema della lottizzazione.Il Consiglio d’Europa dice per l’Italia, oltre alla lentezza dei processi, preoccupano i dati sulla fiducia nell’indipendenza della magistratura. E’ necessario ristabilire le regole del giusto processo fatte a pezzi da questa armata Brancaleone di giustizialisti senza arte né parte, che vogliono dare sangue al popolo in piazza, non certo attenuato dall’ipocrita conversione garantista di Di Maio che ormai, come il famoso protagonista di Zelig di Woody Allen, prende le sembianze del governo in cui si trova pur di rimanerci.”
Della stessa opinione è Elena Fattori, Senatrice di Sinistra Italiana, eletta nelle liste del movimento 5 stelle: “Di Maio è stato eletto capo politico con la vecchia associazione nel 2017. Doveva essere solo quello che depositava il programma politico prima delle elezioni. Con la nuova associazione i poteri del capo politico sono cambiati. Il paradosso è che con la nuova associazione non si è mai votato. Di Maio non dovrebbe essere più il leader almeno da quando si è deciso il passaggio a una segreteria composta da più persone. Il Movimento non esiste più. Loro lo hanno adottato perché era un brand, un marchio. E’ come se avessero acquistato un vestito firmato, ma che non c’entra niente con il sarto”.
Parole pesati come un macigno. Un Movimento, in cui centinaia di migliaia di persone hanno riposto le loro speranze, sarebbe diventato solo un brand da sfruttare… “Il simbolo Cinque Stelle è un brand, ma dietro quel simbolo non c’è più niente, continua Elena Fattori, C’è solo il vantaggio di non partire con qualche cosa di nuovo, ma con un patrimonio di iscritti che potrebbero ancora votarli, magari perché non si sono accorti che è cambiato tutto. Non sono dentro il sistema. Sono il Sistema. Questo non è più il Movimento Cinque Stelle. Si portano dietro un simbolo che non ha più quei contenuti. Ora c’è un nuovo partito”.
Se Sparta piange, Atene certo non ride, dice un vecchio detto. “Non è stata ancora presa nessuna decisione. Io personalmente ho sentito domenica il Presidente Berlusconi. Mi ha detto che, anche secondo lui, non c’è la possibilità che si faccia una federazione e tantomeno che si arrivi, come pure in questi giorni si è detto, a gruppi parlamentari unici – osserva Renata Polverini, deputata di Forza Italia, già Presidente della Regione Lazio –Semmai si tratta di coordinarci sui lavori parlamentari e sulle posizioni da prendere sui vari provvedimenti. Se così fosse, va bene. Certo, se si dovesse fare un passo in più, per me sarebbe, come dire, un po’ disagevole. Ho posizioni diverse su tutto. Abbiamo cominciato con il sovranismo di Matteo Salvini. Io sono un’europeista convinta. Credo nell’Europa che, come abbiamo visto durante la pandemia, ha dimostrato tutta la sua importanza. L’abbiamo criticata per tanto tempo. Ora abbiamo tutti toccato con mano la sua capacità di saper essere solidale, come avevamo sempre in questi anni, in tutte le maniere chiesto. Sulla questione dei diritti tutti sanno che la mia posizione è opposta a quella di Salvini. Dalla legge Zan, che ho votato, alla cittadinanza per le nuove generazioni di ragazzi immigrati per cui ho presentato nella scorsa legislatura una proposta di legge, che ho ripetuto in questa, sullo ius culturae. Nella corsa legislatura ho anche votato la legge sulle unioni civili, su cui c’è stato un grande contrasto con Salvini”.
P.S. – Tra le cinque interviste di Antonello Sette di questa settimana una citazione particolare merita la cura che il deputato di Fratelli d’Italia Federico Mollicone propone per la malattia della giustizia italiana:“la separazione delle carriere della magistratura giudicante e inquirente. La separazione delle carriere non è un fine ma un mezzo. Si tratta di un obiettivo la cui realizzazione non è più prorogabile perché è inscritto nella nostra Costituzione ed è quello proclamato dall’articolo 111, il quale impone che il giudice sia non solo imparziale, ma anche terzo. E terzietà non può che significare appartenenza del giudice a un ordine diverso da quello del pubblico ministero. Il processo penale deve essere rispettoso dei diritti e delle garanzie. La separazione delle carriere serve a rendere il processo penale più equo perché lo assegna a un giudice terzo a garanzia dell’imparzialità della decisione”.