lunedì 25 Novembre 2024
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La politica che verrà

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E’ tempo di cominciare a stare in ansia per quello che sarà l’andamento della politica italiana alla ripresa di fine estate. Diversi  movimenti  sono in corso tra le forze di ogni arco dello schieramento, a sinistra come a destra e persino in un centro che stenta a definirsi.

Certo è l’obiettivo della competizione, scandito da un duplice momento: la gestione del grosso pacchetto di fondi in arrivo dall’Unione Europea (circa 209 miliardi di euro del recovery fund, più altri 30-35 del Mes destinati al sistema sanitario) e la successiva scadenza del mandato  presidenziale con l’elezione del successore del Presidente Mattarella.

Il legame tra i due momenti, anche se tecnicamente vacuo, è fortissimo sul piano politico.  Chi potrà e saprà gestire quell’ingente volume di risorse avrà la chance più opportuna per portare un candidato al Quirinale.

Fissato il traguardo la competizione sta per avviarsi. Come i campionati sportivi, anche quello politico partirà a settembre. I contendenti, mentre si concludono i ritiri estivi, stanno dando gli ultimi ritocchi alle rispettive squadre.

Il centrodestra, forte di Lega, Fratelli d’Italia e Forza Italia, ha appena chiuso la trattativa e firmato un patto “anti-inciucio” per evitare che qualcuno tra loro (ma l’indiziato era solo Forza Italia) possa offrire stampelle al governo 5Stelle-Pd.

A cantare vittoria è soprattutto Giorgia Meloni, presidente di FdI il partito che più correva (o corre) il rischio di restare fuori da un eventuale accordo con l’altra parte della barricata.

A sinistra, dopo che la piattaforma Rousseau si è espressa per un accordo con il Pd da portare anche a livello di enti locali, le tensioni anziché calmarsi hanno preso a ribollire sotto sotto, da entrambi i lati. Tra i grillini la fronda può esplodere da un momento all’altro, in attesa dei famosi “stati generali” divenuti una sorta di araba fenice. Intanto Di Maio sembra riprendere forza in vista di un confronto con il premier Conte per la guida del Movimento. Ma Conte fa mosse preventive e si accredita come il fautore e punto di riferimento per ora e, soprattutto, per il dopo della nascente unità politica con il Pd.

Nel Pd, la stretta di alleanza con i 5Stelle non va giù a quegli esponenti di estrazione renziana rimasti nel partito. Essi, prima che siano fatti passi decisivi per il futuro, reclamano almeno un congresso. L’impressione è che il segretario Zingaretti consideri quell’ipotesi come l’anticamera della sua estromissione e quindi la respinga. Ma, anche lì la situazione è problematica.

A gioco fermo, sembra che una tenaglia di bipolarismo, centrodestra contro sinistra, stia per chiudere l’evoluzione della politica italiana, lasciando poco spazio alla possibile aggregazione di forze riformiste di ispirazione liberale e progressista. 

Senonché, prima dell’inizio del campionato politico, è avvenuto un fatto nuovo, che può scombussolare i giochi. Da Rimini, dove martedì  scorso è intervenuto su invito degli organizzatori del tradizionale meeting di Comunione e Liberazione, Mario Draghi, ex  presidente della Banca Centrale Europea, ha mandato un messaggio chiaro e forte all’Italia, che vale tanto per il governo quanto per l’opposizione. 

“Non voglio fare oggi una lezione di politica economica – ha avvertito Draghi – ma darvi un messaggio di natura etica per affrontare insieme le sfide che ci pone la ricostruzione e insieme affermare i valori e gli obiettivi su cui vogliamo ricostruire la nostra società, le nostre economie in Italia e in Europa”.  

E così piantando paletti in campo etico morale, ha messo le dita negli occhi un po’ a tutti, ha ammonito che bisogna distinguere tra “debito buono e cattivo” e andare oltre i “sussidi”, che servono a sopravvivere ma poi finiranno. Occorre pensare ai giovani, non lasciare ad essi soltanto i debiti, ma investire sulla loro formazione professionale, dare di più per fare in modo che tutti abbiano gli strumenti per affrontare il futuro e pagare il debito che viene lasciato.

Così che lo scontro dal piano etico si è trasferisce immediatamente a quello politico: a chi la gestione dei fondi che vengono dall’Unione Europea? E quale sarà la loro destinazione?

E’ una chiamata senza appello. La tavola imbandita fa gola a tanti, ma – se ci si riesce – vanno tolte le sedie e le forchette e pronti a tagliare qualche mano. 

Draghi non aveva necessità di farlo, ma il suo intervento vale un garbato ma spietato altolà. Quella tavola va considerata per avere la soluzione dell’equazione “fondi UE-Quirinale”.






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