C’era una volta Cavallo Pazzo, era per così dire, un eroe della prima Repubblica, non era il famoso Capo pellirossa, ma ne aveva i capelli lunghi, il profilo duro, la pelle scura, grandi occhi, barba incolta, sorriso sofferente. In tante manifestazioni pubbliche cercava di infilare la sua testa davanti alle macchine fotografiche e cinematografiche che riprendevano gli eventi ed i protagonisti. Veniva cacciato a forza, trascinato via, pur non facendo nulla di male, voleva solo farsi vedere senza scopi, senza mercede! Ma…. ma turbava l’ordine pubblico e privato della società parruccona di fine XX secolo, tutti giacca e cravatta, capelli in ordine, viso rasato, pochi sorrisi, strette di mano senza abbracci, linguaggio forbito, turpiloquio punito per legge.
Poi c’è stato il cambio di secolo che per la verità non è stato solo un fatto numerico, perché a parte l’Euro, è cambiata l’era e lo spettacolo, l’apparire ha preso il sopravvento sulla sostanza e sull’essere. Qualcuno parla di società leggera, liquida, a ciclo breve e chi più ne ha, più ne dica. La televisione ha preso il sopravvento, ma rischia di morire di Internet. Pare non ci sia terapia, e l’unica soluzione potrebbe essere l’accordo, l’integrazione tra i due grandi media, foriera del grande fratello quello di Orwell, non delle fictions o equivalenti. Ed in questa società dell’immagine l’apparire è difficile e fugace, per sopravvivere bisogna inventarsi qualcosa oppure aggrapparsi a qualcosa inventato da altri o altrove. È il caso COVID: valorosi medici, scienziati, filosofi, sociologi, giornalisti, storici, tuttologi, eccetera, hanno colto l’occasione al volo e sono usciti dalla loro ombra di pertinenza sotto la luce dei riflettori. Qualcuno ha resistito, i più hanno fatto la fine dei moscerini sulle lampade elettriche, bruciati al volo!
Ma nel tritatutto dell’apparire ci finiscono tutti, protagonisti, comprimari e comparse, compreso il coronavirus. La macchina dell’immagine ha bisogno di linfa nuova, di notizie non notizie, di tragedie vere false, di protagonisti diversi da proporre e consumare: siamo in piena era dell’usa e getta.
Il turpiloquio pubblico via etere lo inventò Pannella. Erano gli anni ’80 ben noti per i colpi di pistola delle Brigate rosse. Pannella pretese di fare ancora più rumore, a prescindere da ogni scopo reale ed aprì al pubblico i microfoni di Radio radicale garantendo l’anonimato. Voleva dare voce al popolo contro il palazzo, invece finì a rissa tra tifosi di calcio, con assoluta libertà al genio italico ed alla enfasi dialettica di insultare ascendenti, genitori, mogli, figli, eccetera delle opposte fazioni. Dopo qualche oscena settimana anche Pannella capì, per così dire, che l’acqua era finita fuori del lavandino. Tuttavia bisogna ammettere che l’incantesimo del perbenismo dei medi era stato rotto e che nulla sarebbe ritornato come prima.
A dargli ragione ai nostri giorni ci hanno pensato i tre Moschettieri delle offese gratuite e del turpiloquio a tutto canale: Sgarbi, Travaglio e Feltri. La loro parte politica non conta anche perché nella loro non breve vita politica e professionale l’hanno cambiata più volte con disinvoltura. Per loro, certamente conta il colpire, ferire gli assenti e qualche volta anche i presenti, catturare il televedente con lo stupore, la sorpresa. Ovviamente ingiurie, offese, turpiloqui, bestemmie, insulti di tutti i tipi, sono sempre a pagamento, giacché i canali tivù che li ospitano, anzi che se li contendono, corrispondono loro sostanziosi gettoni di presenza. Purtroppo fanno audience. La tivù, i suoi talkshow, i suoi dibattiti sono diventati la riproduzione moderna ed informatica delle lotte dei gladiatori nel Colosseo o quantomeno della Plaza de toros: ci deve essere il vincitore feroce ed implacabile e la vittima sacrificale. Oggi qualche volta la vittima è virtuale, ossia assente, ma il popolo inebetito e inchiodato davanti al teleschermo è ugualmente soddisfatto: il turpiloquio rende tutti uguali, chi lo pronuncia, chi lo subisce e chi lo ascolta perché prescinde dai titoli di studio, dalla cultura e rappresenta l’appiattimento al minimo livello di quello che rimane del cervello umano. La via d’uscita ci sarebbe ed è quella di cambiare canale, ma è una manovra purtroppo minoritaria e comunque improduttiva perché su altri canali si ritrova lo stesso spettacolo.
Il Re del turpiloquio non è però televisivo, ma radiofonico. Chi la sera rientra a casa nel tardo pomeriggio con la radio accesa, se commette l’errore di sintonizzarsi sulla radio confindustriale, ossia Radio 24, avrà il piacere o meglio il disgusto di imbattersi nell’eloquio forbito di tale Cruciani, composto di almeno due bestemmie o parolacce ogni tre parole, su argomenti che variano tra le anomalie del comportamento sessuale e le anomalie del comportamento sessuale e qualche volta con le anomalie del comportamento sessuale! C’è anche un pubblico che interviene con entusiasmo e che porta contributi personali qualificati, anzi inqualificabili, al dibattito sulle anomalie del comportamento sessuale! Per fortuna tra linguaggio e tema, l’audience sta rapidamente diminuendo attestandosi sullo zoccolo duro dei bestemmiatori e dei praticanti delle anomalie del comportamento sessuale! Ma la Confindustria padana, proprietaria dell’emittente, non voleva rappresentare la forza trainante del Paese?!
Una volta la radio e soprattutto la tivù erano appalto di grandi comici e di deliziose ballerine con lo scopo di rallegrare gli spettatori con la parola e con le immagini. Quando il sabato sera l’Italia degli anni 70 si fermava davanti a Canzonissima, con tutto rispetto per gli altri protagonisti, il clou era Alighiero Noschese, giovane bravissimo imitatore napoletano, capace di mettere in burletta i grandi personaggi della politica da Fanfani ad Andreotti ,da Leone a Berlinguer, del teatro e del cinema da Sordi a Modugno ,da de Filippo a Nilla Pizzi, del giornalismo da Ruggero Orlando a Tito Stagno a Ugo Zatterin: sempre apprezzato da tutti, garbato ed ironico, maledettamente vero. Aveva un linguaggio semplice ed efficace senza ricorrere alle offese o alle bestemmie, purtroppo morì giovane forse non resistendo allo stress. Oggi l’equivalente di Noschese è Crozza, ma il linguaggio è cambiato perché è quello dei suoi personaggi che, per diventare tali, hanno fatto ampiamente ricorso alle offese, al turpiloquio, per bucare lo schermo, senza considerare che chi fa buchi spesso ci casca dentro! Al punto che anche Crozza e le sue immancabili bestemmie sono finiti su un canale minore seppure in prima serata, ma non è escluso che anche lui possa cadere nel buco nero scavato dalla volgarità.
Alla fine non rimane che pensare che questa società dello spettacolo, della immagine, degli schermi bucati, altro non è che il riflesso della nostra società nell’insieme, ossia soprattutto di quella politica ormai priva di ideologia, ma anche di contenuti, ove tutti i protagonisti si sforzano di promettere meno tasse e distribuzione di denaro a tutti, ai disoccupati, ai pensionati, ai giovani, ai commercianti, agli industriali grandi e piccoli, ai teatranti, ai musici,ecc. finendo miseramente nell’assistenzialismo più bieco, nell’attesa di un lavoro che non c’è , di un benessere che è andato via, di una ripresa economica che se si farà, si farà con i soldi europei che ovviamente, MES o non MES, dovranno essere restituiti.
Chi parla male della prima Repubblica, è servito!