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sabato 27 Aprile 2024
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Le polemiche passano, i problemi restano

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La lunga notte della pandemia sembra ormai alle nostre spalle, ora è necessario un rinnovato impegno per aprire una fase nuova di sviluppo in cui al centro della scena ci sia il cittadino. Parafrasando Sabino Cassese potremmo dire che – se bisogna rimettere gli utenti al centro dell’azione pubblica in quanto lo Stato non esiste per dare lavoro ai dipendenti ma per fornire servizi ai cittadini utenti – così lo Stato non esiste per favorire le aziende ma per garantire i diritti del cittadino consumatore. 

E il primo diritto è quello sacrosanto ad un cibo buono, sano e nutriente perché l’esercizio di questo diritto garantisce il benessere e la salute di tutti. Quindi è obbligo dei produttori una informazione completa e corretta, una etichetta chiara e trasparente comprensibile ai consumatori in cui oltre ingredienti e valori nutrizionali, oltre l’origine e i claim salutistici ci sia la descrizione del processo di produzione e gli additivi chimici che vengono utilizzati. E altrettanto importante è la competenza professionale di quanti producono cibo, dai ristoratori agli artigiani, ai manager dell’industria.

Necessario protagonista è anche la Grande Distribuzione Organizzata, di cui viene, nel regolamento europeo 625, espressamente richiamata la responsabilità per quanto offerto ai suoi clienti. Per questo sarà bene eliminare il “sottocosto”, le offerte promozionali che riducono il cibo ad un gadget, e in definitiva saranno necessarie regole più severe, che impediscano al consumatore di cadere nelle trappole della pubblicità ingannevole.

Ma sappiamo che norme e denunce non bastano. È necessario che il consumatore sia oltre che informato, consapevole e cioè sapere che se, per esempio, compra una bottiglia di olio a 2,49 euro pubblicizzato come extra vergine deve essere certo che quell’olio sia veramente un extra vergine e non, come purtroppo accade, un olio vergine perché altrimenti ha pagato un valore che non c’è. Le imprese industriali, e chiunque produce e vende prodotti alimentari, hanno il diritto di fare profitto, ma soprattutto il dovere di non ingannare il consumatore.  

Si impone quindi un cambiamento di mentalità e di offerta. La mappa dei consumi, dopo lo shock della pandemia, è cambiata. Ed è cambiato il comportamento dei consumatori: il leitmotiv oggi è “compro meno ma spendo meglio” perché preferisco la qualità. Ma cosa significa qualità?

Eventi recenti e meno recenti hanno riproposto all’attenzione dei media, delle istituzioni e dell’opinione pubblica questo interrogativo. Per esempio un anno fa la Camera dei Deputati ha avuto all’ordine del giorno la questione delle gare dell’Agea per l’olio d’oliva per i meno abbienti (si dice che un unico operatore le abbia vinte tutte con un prezzo di poco più di 2 euro al litro, confezione compresa) o più recentemente la polemica sulla corrispondenza tra contenuto ed etichetta a proposito degli oli extravergini confezionati da alcune aziende industriali. Una indagine giornalistica ha denunciato: “Non è extravergine. È questo il verdetto del panel test eseguito dal comitato di assaggio del Laboratorio chimico dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli di Roma su 7 campioni di olio che, alla prova organolettica, hanno riportato dei difetti e pertanto sono risultati appartenere alla categoria degli oli di oliva vergini”. Tutto ciò ha rimesso sul tappeto problemi che si trascinano da tempo senza trovare soluzione: la valenza qualitativa degli olii da “imbottigliamento” rispetto agli olii artigianali, anche dal punto di vista merceologico; la necessità di ordine nel settore dei controlli e dei test (competenze, procedimenti) con un focus sui panel test;  il ruolo della GDO e la responsabilità dei buyer nella scelta dei prodotti per la garanzia della qualità sullo scaffale; il ruolo dei consumatori, sia come singoli, ma soprattutto in forma aggregata (associazioni dei consumatori), visto che le associazioni non sono chiamate ad una guerra nei confronti dell’olio imbottigliato, ma a pretendere che la comunicazione delle aziende sia corretta nei confronti dei consumatori; la scarsa trasparenza delle etichette in particolare degli oli di origine vegetale o animale in cui non sono dichiarate le sostanze chimiche che intervengono nel processo di produzione. Problemi da affrontare specialmente per il settore dell’olio italiano che vive sempre di più una crescente marginalità avendo ormai una produzione risibile che non riesce da anni a soddisfare nemmeno la metà del mercato interno.

Problemi e questioni che periodicamente sono oggetto di inchieste giornalistiche come quella de Il Salvagente, una testata specializzata in test sulla qualità dei prodotti alimentari, che inevitabilmente generano polemiche. Alberto Grimelli, direttore di Teatro Naturale, ha difeso l’operato del giornale: “Il Salvagente effettua test, seguendo le normative UNI-ISO non su controlli e certificazione, ma sui test comparativi, pratica giornalistica diffusa in tutto il mondo. E’ quindi lecito, da parte di commercio e industria, sminuire la portata dell’inchiesta sulla base della limitatezza della rappresentatività del campione, meno affermare che un giornale non può utilizzare per l’olio vergine di oliva un’analisi ufficiale (come è il panel test) mentre identica procedura di può applicare per bagnoschiuma e mascherine. O si contestano in toto, in principio e come metodo, i test comparativi effettuati dalle associazioni dei consumatori e dai giornali, oppure si accettano. Non si può sollevare obiezioni quando si è colpiti e ignorarli quando sono altri comparti a esserne interessati”. E non è mancato l’eco a Palazzo Madama dove il senatore De Bonis, membro della Commissione Agricoltura del Senato, ha chiesto con una interrogazione parlamentare un’azione più incisiva del governoa salvaguardia del patrimonio olivicolo e dei “frantoiani veri e propri custodi della biodiversità. L’olio non è una semplice commodity.” Oppure la dichiarazione dell’on.le Colomba Mongiello, che nell’ ormai lontano 2012 promosse una importante legge di difesa dell’olio italiano: “I consumatori hanno diritto di pretendere etichette trasparenti che narrano il prodotto che stanno acquistando. Non possono essere ingannati comprando un olio extravergine così come indicato in etichetta e ritrovarsi a casa un olio di categoria inferiore ad un prezzo superiore”. All.on.le Mongello ha replicato Valentina Sabatini manager dell’azienda Coricelli: “Si vuole difendere un metodo di miglioramento della qualità degli oli? Bene, mi fa piacere, possiamo e dobbiamo farlo anche noi appartenenti alla industria olearia e siamo già pronti da tempo per farlo. Ma la politica non può pretendere che qualcuno si faccia paladino della qualità con metodi irrituali atti solo a screditare le aziende, messe alla berlina senza possibilità di alcuna difesa. Perchè una difesa non esiste, almeno sui media, quando qualsiasi cosa si dica e si proponga, automaticamente, se viene dall’industria, è usata per marchiarla con l’infamia della malefatta.”

Le aziende coinvolte nell’inchiesta come Eurospin e Todis, le cui etichette La Badia e il Saggio Olivo vengono imbottigliate dall’oleificio Fiorentini, hanno ribadito che i test effettuati stabiliscono che il loro prodotto risulta conforme, mentre la De Cecco ha sostenuto che il difetto riscontrato sarebbe da attribuire a scorrette modalità di campionamento e di conservazione del prodotto. L’azienda Colavita, ribadendo la conformità dei propri prodotti alla normativa, ha annunciato azioni giudiziarie. La Carapelli ha presentato una segnalazione all’antitrust con la quale chiede di avviare un procedimento nei confronti dell’editore Matteo Fago, titolare della Editorialenovanta Srl che edita Il Salvagente, per un presunto conflitto di interesse avendo una quota di partecipazione nella Startupbootcamp Foodtech Srl, società di cui è azionista Monini. A seguito di questa segnalazione, il CODACONS  ha diramato un comunicato stampa con il quale prende atto e conoscenza della posizione di conflitto di interesse della testata IL Salvagente e chiede che si chiarisca in tempi brevi la vicenda, ritenendola gravissima. IL Salvagente ha reagito, unitamente ad altra associazione dei consumatori ASSOCONSUM presentando esposti a varie procure della Repubblica.

Un mese dopo questi fatti, sul magazine “MOONDOMANGIARE”, in coda ad un mio articolo sulla crisi dell’olio italiano, prendevo spunto dal dibattito che si è generato per rilevare la contraddittorietà delle comunicazioni pubblicitarie sull’agroalimentare ed in particolare sull’olio. Ho criticato, ad esempio, la comunicazione pubblicitaria della Carapelli e l’azienda  ha ritenuto che la mia critica fosse non rispondente alla realtà dei fatti e lesiva della sua reputazione per cui ha esercitato il diritto di rettifica con una lettera che il magazine ha pubblicato, come disciplinato dall’art.8 della legge 47/1948,  nella edizione di giovedì 17 giugno.

Non intendo rispondere alla rettifica ma posso rilevare che essa, a mio avviso, non è completa né del tutto veritiera. E che comunque ognuno fa il suo mestiere: si tratta di prese di posizione (legittime) da una parte della testata de IL Salvagente e dall’altra della Carapelli che ovviamente ha interesse a tutelarsi e a difendersi.

Ma tornando al contenuto della lettera rilevo che ha poco a che vedere con il vero oggetto del mio Post del 5/6/21: ossia che la Carapelli ha promosso una pubblicità ingannevole, che è la vera questione che intendevo proporre ai lettori. Infatti la stessa ambientazione dello spot televisivo evoca la bottega artigiana, di un pittore “che al posto dei colori usa carne e verdura per realizzare la sua opera e una voce f.c. dice “lasciati ispirare dall’olio Carapelli frutto di una maestria centenaria che seleziona le migliori olive”. Parole che non lasciano adito a dubbio che la critica giornalistica sia assolutamente rivolta a tale profilo e non ad evidenziare che l’olio di Carapelli non abbia superato i panel test. Più in particolare la critica della ingannevolezza riguardava il riferimento alla “maestria” intesa evidentemente in rapporto alle competenze tecniche per la produzione dell’olio extravergine dalle olive (che richiede sicuramente maggior perizia, tecnica e “sensibilità” che curare l’imbottigliamento e la miscela di olii) e paradossalmente l’ingannevolezza appare confermata dalla stessa Carapelli, che non contesta che “non c’è nessuna selezione di migliori olive”.

Il contesto del Post, strettamente connesso con il contenuto dell’articolo a cui si riferisce, è chiaramente rivolto ad evidenziare la differenza qualitativa tra gli olii imbottigliati e gli olii artigianali e come i primi, forti anche di maggiori risorse finanziarie, riescono ad ottenere una visibilità anche per mezzo di messaggi pubblicitari non sempre fedeli al livello di qualità che vorrebbero vantare, il tutto a discapito, da una parte, delle nicchie di mercato degli olii artigianali, e dall’altro, della effettiva e concreta possibilità di effettuare scelte consapevoli da parte dei consumatori.

Certamente si tratta di una tematica che può essere catalogata tra quelle per addetti ai lavori o si può giudicare di scarso rilievo se paragonata a problemi attuali della nostra società ben più gravi, tuttavia pensiamo che sottovalutare, o non dare soluzione a questioni che attengono ai diritti del cittadino , prima o poi degenerano inquinando la convivenza civile.






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