Sommario: tra l’800 e il 900 i siciliani cercavano lavoro in Tunisia
Ancora oggi a Tunisi esiste un quartiere chiamato “la piccola Sicilia”. E’ la Goulette, una località tra Tunisi e Cartagine. E’ stata creata dai siciliani provenienti per lo più da Palermo, Trapani, Agrigento (ma anche da Lampedusa e Pantelleria) che continuavano a parlare il loro dialetto, infarcito da un po’ di arabo, ancora oggi lingua locale.
A dire il vero, i primi ad arrivare nella colonia ottomana sono stati ricchi mercanti ebrei toscani a inizio 800, seguiti da fuoriusciti politici, liberali, carbonari e mazziniani (Garibaldi vi approdò per la prima volta nel 1836 con il falso nome di Giuseppe Pane). L’Italia era ancora divisa in tanti stati e statarelli e la cosa non dà fastidio a nessuno. Ma una volta fatta l’unità, il governo di Vittorio Emanuele stipula un trattato, nel 1868, con cui la Tunisia riconosce per l’Italia il principio della “nazione più favorita” in considerazione dell’ampiezza degli scambi commerciali e, appunto, della presenza di tanti connazionali.
I siciliani infatti si erano già trasferiti in massa dall’epoca borbonica. Siccità, carestia, crisi delle miniere di zolfo inducono una frotta di disperati ad attraversare il canale e andare a cercare fortuna in un paese così vicino. I primi ad arrivare in diverse località costiere sono soprattutto trapanesi: tonnaroti (gli specialisti nella cattura dei tonni) e corallari (capaci di immergersi anche in profondità per raccogliere il pregiatissimo corallo). Da emigrazione in certo modo specializzata, che operava in condizioni disumane di vita e di lavoro, i trasferimenti acquistano presto le dimensioni di veri e propri flussi migratori a partire dagli Anni Settanta, grazie – appunto – al trattato de La Goulette. Ma già nel 1860 nella sola città di Tunisi – a dircelo è Agostino Spataro, ex deputato del Pci e studioso dell’emigrazione – su una popolazione di 100 mila abitanti vi erano tra i tre e i quattromila siciliani, quasi quanto i maltesi (sei-settemila, gran parte dei quali di origine siciliana) e solo seicento francesi.
E questo comincia a preoccupare la Francia, che nel 1881 mette in campo eserciti e ingenti flussi di denaro e si impadronisce del paese. L’italia non era in grado di controbattere con le stesse armi e in una convenzione del 1896 riconosce apertamente ai cugini d’oltralpe la preponderanza politica. Però, sotto sotto, non rinuncia alla Tunisia.
Qui la vicenda da triste storia di emigrazione, diventa vicenda politica perché il nostro paese vuole mantenere i suoi interessi e mette in atto un sistema di colonizzazione, per così dire, silenziosa. Intanto, raddoppia gli sforzi per affermare la dominazione economica. Poi incentiva, non ufficialmente beninteso, l’arrivo di contadini. Inoltre, gli italiani in Tunisia si organizzano: dispongono di una Camera di commercio fondata nel 1884, di alcune banche (tra cui la “Banca siciliana”), e di una rete culturale ed assistenziale di tutto rispetto: il quotidiano l’Unione, teatri, cinema, librerie, un ospedale italiano, scuole e numerosi enti di beneficenza. C’era persino una loggia massonica – “Concordia” – per far fronte, anche in questo campo, alla preponderanza francese.
L’emigrazione siciliana “organizzata”
Poi si muove la borghesia. I ricchi siciliani cominciano a inviare i loro lavoratori senza moglie e figli e a comprare terre. Solo intorno a Tunisi vengono acquistati e assegnati 18 mila ettari a circa 20 mila coloni siciliani. Ma non sono rose e fiori per tutti. Manovali, muratori, pescatori, piccoli commercianti si stabiliscono come possono. Arrivano di notte in massa su barche che a malapena avrebbero potuto portare 40 persone e non certo centinaia come invece accadeva. I più poveri facevano i braccianti, i mezzadri, i jurnatari (lavoratori a giornata) e solo nel corso di molti anni riescono ad acquistare la proprietà dei terreni. Gli originari dell’isola di Lampedusa ad esempio, insieme a quelli di Pantelleria, vivono di pesca ad Hammamet e solo in seguito diventano proprietari di frutteti e vigneti. (Archivio storico dell’emigrazione italiana a.s.e.i.)
Una volta ben “integrati” nel tessuto sociale tunisino e francese, inizia la seconda fase, con l’acquisto di campi immensi su cui stabilire i loro compatrioti in massa compatta. Non appena i siciliani occupano la terra, cacciano immediatamente i nativi e creano la loro colonia. Secondo il censimento del 1898 effettuato dalla polizia coloniale, i siciliani erano 64 mila, e in meno di due anni passeranno a 80 mila.
La “controffensiva” della Francia
In Francia scatta l’allarme. Loro avevano costruito strade, grandi porti, ferrovie ed edifici pubblici (notare: usando anche manodopera siciliana), non possono permettere che gli italiani diventino dieci volte più numerosi dei francesi e pure proprietari della Tunisia.
Cominciano con la propaganda xenofoba. I giornali descrivono gli italiani, in particolare i siciliani, come “criminali incalliti, irascibili, imprevedibili, violenti e molto pericolosi nella loro maggioranza”. Lo si legge in una inchiesta condotta tra il 1918 e il 1929 da Arthur Pellegrin, e recuperata negli archivi dell’Università Paris 12: “Gli immigrati italiani sono circa centomila e appartengono in gran parte alla classe lavoratrice e analfabeta. …. La maggioranza è originaria della Sicilia e della Sardegna. I loro costumi, in particolare quelli dei siciliani, sono un po’ rozzi e violenti. Nella loro evoluzione mentale sono più passionali che razionali”.
Poi iniziano ad alterare i dati delle presenze. La scrittrice Marinette Pendola nel suo libro “La traversata del deserto”, spiega: «Definire il numero di questa migrazione (italiana, n.d.r.) è pressoché impossibile poiché i dati furono frequentemente manipolati a fini puramente politici». Ovvero, dal 1923 viene imposta la naturalizzazione francese a tutti gli immigrati nati in Tunisia, così che i francesi apparissero di più. Non servì a molto perché tre anni dopo, nel censimento de 1926 su una popolazione europea, in Tunisia, di 173mila abitanti figuravano 89mila italiani, 71mila francesi e poco più di ottomila maltesi.
Infine, si mettono d’impegno per agevolare l’arrivo di contadini dalla madrepatria e stringono le maglie degli arrivi alle frontiere. Nel 1944 saranno chiuse le ultime scuole italiane rimaste aperte e presenti in tutto il Paese, a favore di una politica di naturalizzazione e di diffusione della lingua e cultura francese.
Dopo la seconda guerra mondiale la comunità italiana scompare quasi del tutto: la Tunisia nel 1956 ottiene l’indipendenza , e i piccoli braccianti perdono il lavoro perché il presidente Bourguiba dà precedenza ai tunisini. Inoltre confisca tutte le proprietà, a meno che il proprietario non diventasse cittadino tunisino. Furono in pochi ad accettare. E oggi la storia si ripete al contrario.