venerdì 22 Novembre 2024
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Lo scenario del COI e le ripercussioni sull’Italia olivicola

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Il COI (Consiglio oleicolo internazionale) è stato fondato nel 1959 sotto l’egida dell’ONU (Nazioni Unite) per dare uniformità e omogeneità alle regole e strategie riguardanti l’olivicoltura, l’olio d’oliva e le olive da tavola. L’adesione al COI obbliga lo Stato a uniformarsi alle decisioni assunte dall’Organismo in tema di standard commerciali e qualitativi.

L’Italia è stato Membro fondatore del COI

IL COI è formato da tre organismi: Consiglio dei Paesi Membri, Comitato Consultivo e Segretariato Esecutivo.

  • Il Consiglio dei Paesi Membri è l’organo decisionale che adotta le risoluzioni e le decisioni politiche. La maggior parte delle decisioni devono essere assunte a maggioranza dei 2/3, oppure a maggioranza semplice, purché nessuno si opponga. E’ come fosse un parlamento.
  • Il Comitato Consultivo è composto dai portatori di interessi dei vari Paesi Membri, principalmente rappresentanze di industria, commercio e agricoltura, e ha il compito di fornire suggerimenti, idee e bozze di risoluzione al Consiglio dei Paesi Membri. Non ha alcun potere decisionale e una capacità di influenza che dipende essenzialmente dalla forza negoziale, nel proprio Paese, delle lobby. Si tratta essenzialmente di tavoli di concertazione.
  • Il Segretariato Esecutivo ha il compito di tradurre in pratica le decisioni del Consiglio e di delineare le strategie e le priorità. E’ in capo al Segretariato Esecutivo l’onere dei rapporti istituzionali con i singoli Paesi Membri e con quelli con cui si avvia un negoziato per l’ingresso nel COI. Il Segretariato Esecutivo vede al suo vertice un Direttore Esecutivo e due Direttori Aggiunti.
Lo scenario del COI e le ripercussioni sull'Italia olivicola
Lo scenario del COI e le ripercussioni sull’Italia olivicola

Tradizionalmente vi è un’alternanza tra Paesi arabi e rappresentanti europei alla guida del COI. L’ultimo italiano Direttore Esecutivo fu Fausto Lucchetti dal 1987 al 2002. Per accordi diplomatici informali, considerando che la Spagna non può avere il Direttore Esecutivo poiché la sede del COI è a Madrid e la maggioranza del personale è spagnolo, l’Italia doveva ottenere la guida del COI dopo il quadriennio del tunisino Abdellatif Ghedira.

La Spagna, che ha un Direttore Aggiunto nella persona di Jamie Lillo, ha però spinto in sede di Commissione europea perchè l’attuale ticket alla guida del COI fosse riconfermato per un altro quadriennio. L’Italia si è opposta ma non è stata in grado di far valere gli accordi pregressi a Bruxelles.

Il risultato è che Abdellatif Ghedira e Jamie Lillo sono stati confermati fino al 2023 alla guida del COI.

Una rielezione con giallo visto che il governo italiano, con il Ministero degli Esteri, si è mosso per raggiungere alleanze internazionali che bloccassero la riconferma, ottenendo l’appoggio di Israele. Nel corso del Consiglio dei Membri a Marrakesh (Marocco) del 26 giugno scorso, però, al rappresentante di Israele, il Prof. Ignazio Castellucci dell’Università di Teramo, non è stato permesso di essere presente alla riunione del Consiglio e di votare per un vizio di forma sull’accredito.

Non è la prima volta che, negli ultimi mesi, avvengono manovre oscure ordine dal Segretariato Esecutivo. L’Italia, il 18 aprile scorso ha dovuto contestare il verbale della riunione del Working Group sul panel test del Comitato Consultivo poiché non fedele ai risultati reali del meeting (vedi email allegata).

Perché queste manovre?

Jamie Lillo, attuale Direttore Aggiunto del COI è molto vicino ad Antonio Luque, presidente di Dcoop, attualmente la cooperativa olivicola di secondo livello più grande di Spagna. Il presidente Luque, che attraverso Dcoop commercializza 300 mila tonnellate di olio d’oliva è apertamente ostile al panel test (vedi articolo: I padroni dell’olio extra vergine d’oliva mondiale: ecco cosa vogliono fare). Dcoop è una realtà molto opaca, già inviaschiata in operazioni illegali (vedi articolo: Bufera su Dcoop: olio di colza spacciato per extra vergine d’oliva) ma è anche molto legata al mondo arabo, con i quali fa affari poco chiari (vedi articolo: Ecco come l’olio d’oliva tunisino diventa europeo).

Abdellatif Ghedira, attuale Direttore Esecutivo del COI, è molto vicino a Hayssam Jaffan, presidente della Arab Federation for Food Industries (ArabAffi), associazione che ha ricevuto dal COI il compito istituzionale di diffondere gli standard COI nel mondo arabo (vedi articolo: Ghedira Re-elected Executive Director of IOC).

E’ quindi evidente che i due massimi vertici del COI sono contigui con forti poteri industriali, spagnoli e arabi, che hanno interessi convergenti e già hanno società compartecipate e fanno affari insieme. Interesse di queste realtà, come ben spiegato da Antonio Luque, presidente di Dcoop è vendere tutto l’olio prodotto, indipendentemente dalla sua qualità, come extra vergine d’oliva. Per farlo occorre allentare le regole sull’extra vergine, anche attraverso manovre opache.

Tra queste manovre va certamente considerato il licenziamento, avvenuto un’ora dopo la riconferma del ticket Ghedira-Lillo alla guida del COI, di uno dei tre funzionari italiani presenti a Madrid (vedi lettera licenziamento). Si tratta del Dr. Nicola Caporaso che rivestiva il ruolo di capo dell’unità chimica del COI. Un ruolo strategico per salvaguardare il percorso di qualità dell’extra vergine. Al suo posto, secondo rumors provenienti da Madrid, dovrebbe andare o una chimica tunisina o una chimica spagnola.

Nel frattempo in Italia…

L’Italia olivicola nazionale è in una crisi profonda. Non solo la produzione è estremamente altalenante, da 435 a 175 mila tonnellate, ma l’olio italiano soprattutto non si vende. Secondo l’ultimo rapporto Frantoio Italia della Repressione Frodi (ICQRF) al 1 luglio erano giacenti 71 mila tonnellate di olio extra vergine di oliva nazionale, a cui si aggiungono 15 mila tonnellate di olio biologico. Il prezzo dell’olio italiano è in discesa e dopo aver toccato i 6 euro/kg a inizio anno, oggi viene quotato a 5,5 euro/kg, con un trend al ribasso. Le previsioni di raccolta, per quanto ancora premature, indicano per la prossima campagna olearia di ottobre, un ottimo raccolto, con il rischio che il prezzo scenda sotto i 3,5 euro/kg, ben al di sotto del costo di produzione medio italiano, accelerando il fenomeno dell’abbandono.






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