domenica 22 Dicembre 2024
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Luigi De Filippo la commedia della vita non finisce mai

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Un anno fa ci lasciava Luigi De Filippo, un uomo straordinario, un attore unico, una leggenda, non solo perché erede della più grande dinastia del teatro italiano. Una vita sul palcoscenico, circondato dall’arte, dalla passione, dal talento. Quel talento innato nella famiglia De Filippo, ma come in tutte le famiglie importanti, non è sempre facile trovare il giusto spazio e il giusto riconoscimento, zii come Titina e Eduardo De Filippo, un padre straordinario come Peppino, il cugino Luca e il numero pazzesco di attori che hanno calcato le scene con le opere dei De Filippo. Il fuoco sacro, il bisogno di sentire le tavole del palcoscenico sotto i piedi, vivere di applausi e girare senza fermarsi portando ogni sera in scena la propria anima.

Luigi De Filippo
Luigi De Filippo

Nel suo libro, del 2010, “Un cuore in palcoscenico” diede una definizione del teatro che descriveva molto bene le sue emozioni: “Fare il presepio è come fare il teatro. Ci vogliono passione, fantasia, creatività, amore per la tradizione e, soprattutto, bisogna crederci. Io ho sempre creduto nella validità del teatro di grande tradizione. E alla fine il pubblico mi ha dato ragione. E ho imparato che nella vita non è tanto importante far bene il teatro, ma è importante far bene il mestiere di uomo. E io lo faccio attraverso il teatro, che è la sola cosa che so fare bene. Assieme al presepio, si capisce”!

Ma Luigi amava ricordare e ribadire di essere napoletano, i De Filippo e Napoli una sola bandiera, l’uno un simbolo per l’altro, come scrisse “un napoletano che ha sempre lottato per essere se stesso, per sentirsi libero da stupide convenzioni, libero di seguire ciò che gli dettava il cuore, libero dal “pare brutto”.

Luigi amava scrivere , aveva iniziato da piccolo su una vecchia macchina da scrivere di suo padre, racconti, novelle, vinse premi, ma poi’ scoprì la scrittura teatrale, a cui si appassionò, una tra tutte “Storia strana su un a terrazza napoletana”, con 150 repliche  in una sola stagione. Lavorò come attore televisivo, regista, commediografo e soprattutto come maestro per moltissimi attori che un anno fa si sono stretti intorno alla famiglia per un ultimo tributo.

Nel 2011 intraprende una nuova avventura, sempre con al fianco sua moglie Laura Tibaldi, il suo sostegno, la sua complice, rilancia il Teatro Parioli di Roma dedicandolo a suo padre Peppino.

“Ho dedicato questo teatro a mio padre perché è stato un grandissimo artista. Ma, più in generale, è un omaggio alla famiglia De Filippo. Eduardo, Peppino e Titina sono stati quanto di meglio abbia offerto il teatro italiano. Eduardo meritava il Nobel, Peppino è stato il più grande attore comico di teatro, Titina un’ineguagliabile interprete. Siamo una famiglia che, a partire da Eduardo Scarpetta, attraverso tre generazioni ha dato tantissimo al teatro italiano”.

Sua moglie Laura, vive nel suo segno e ricorda un amore, un amore durato trent’anni, una condivisione totale, Luigi amava dirle che “avrebbe voluto tenerla nella tasca della sua giacca”. Preferiva alle vacanze meritate stare nel suo teatro, lavorare, vivere con la sua compagnia, aspettare di vedere il suo pubblico e così ricominciare senza sosta.

A 87 anni sino all’ultimo giorno ha calcato le scene, con fatica nonostante le sue condizioni fisiche, io lo ho salutato, qualche mese prima, nel suo camerino, volevo che i miei figli conoscessero l’ultimo De Filippo, che rimanesse impresso in loro un ricordo che li legasse per sempre ad una stirpe artistica, a Napoli, alla bellezza dell’arte, alla passione teatrale, volevo manifestargli un affetto sincero e la gratitudine per avermi fatto amare il teatro.

Il suo teatro è vivo, il “Parioli – Peppino De Filippo” grazie alle nuove generazioni e alla compagna della sua vita chiude e apre il sipario, nel segno di un amore e di una tradizione. Il suo sorriso, la sua voce inconfondibile, il suo garbo, appartengono a tutti noi, una commedia della vita senza fine. In un’intervista a Antonio Gnoli nel 2016 disse:”Uno non sa mai veramente quando è l’ora in cui deve smettere. È la nostra fortuna. Gli attori poi vorrebbero scrivere la parola fine solo su quelle quattro tavole fatate”.

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