Venti turbolenti agitano il panorama internazionale. All’ormai netto conflitto cino-americano sui dazi, si sono aggiunte le preoccupazioni per la crisi tra Iran e Arabia Saudita, l’incertezza dovuta alla Brexit, la flessione della congiuntura economica nell’area europea, il crescente isolazionismo statunitense, l’espansione cinese che dall’Africa punta all’Europa. Tutti fenomeni già di per sé consistenti che nel rincorrersi e nell’intrecciarsi producono un clima generale negativo.
La guerra dei dazi genera una restrizione del commercio mondiale, poiché coinvolge altri paesi, anzitutto europei, che nell’insieme costituiscono il fulcro degli scambi mercantili. Nel contesto del sistema globalizzato, gli effetti perversi del fenomeno non sono affrontabili con politiche di chiusura dei mercati nazionali, mentre generano una caduta di tutta la produzione ad iniziare dai generi destinati all’export che, inevitabilmente, trascina l’intera economia dei singoli paesi. Quando saltano le regole che governano gli scambi a livello mondiale, si innesca una sorta di guerra commerciale che finisce per acuire i conflitti politici portandoli al limite di rischi militari.
L’Iran, che sia o meno responsabile dell’attacco coi droni alle grandi raffinerie dell’Arabia Saudita, costituisce da tempo un punto caldo sullo scacchiere mondiale, sia per il menage politico militare dell’area medio-orientale, dove ha mani in pasta nella guerra civile in Siria e l’attenzione mai sopita verso Israele. La politica americana voluta dal presidente Trump, a cominciare dal rifiuto dell’accordo sul nucleare, innesca venti di guerra. Per il futuro, finché non riprenderà la piena attività delle raffinerie saudite, che coprono una metà del consumo mondiale, appare scontato un rincaro del greggio e conseguente riflesso sul sistema generale dei prezzi.
La Brexit, l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea, viaggia verso una rottura senza accordo. Il premier britannico Johnson sta portando lo scontro a livelli parossistici, buttando il proprio paese verso l’ignoto con la convinzione che fuori dall’UE tornerà ad essere grande, come ai tempi dell’impero britannico. A Londra, gli analisti economici e gli osservatori politici più attenti parlano di disastro annunciato, che sarà negativo anche per i rapporti economici, politici e umani per il resto dell’Europa. Il governo inglese, preso dal furore antieuropeo, non avverte un doppio pericolo: quello interno del riaccendersi di un conflitto per la frontiera irlandese a cui si somma una spinta separatista della Scozia; quello internazionale, per il possibile calo dell’influenza della piazza londinese sul mercato finanziario, con la crescente acquisizione da parte cinese di prede importantissime, come l’obiettivo dichiarato per la London Stock Exchange, la borsa di Londra, che andrebbe ad aggiungersi al già acquisito controllo della borsa dei metalli (la London Metal Exchange).
La Cina gioca già come un player economico e politico a tutto campo, ormai il confronto è diretto con gli Stati Uniti, dei quali sta cercando di scalzare antiche posizioni acquisite. Dopo la penetrazione economica su vasta scala in Africa, Pechino ha messo nel mirino l’Europa lanciando una lungimirante politica che va sotto il nome di “via della seta”. Dopo l’acquisizione del porto greco del Pireo, ecco il recente accordo con l’Italia per una base commerciale a Trieste e la prospettiva di arrivare ad Amburgo. E’ evidente che questa avanzata economica comporta una crescita della stessa influenza politica.
Ed ecco la questione europea, costretta badare alla Brexit e già intenta a scontare sulle proprie economia i riflessi delle diverse crisi internazionali. Qui il problema si chiama coesione e rilancio dell’unione che attiene sia al piano economico che a quello politico, ivi incluso il versante militare. L’America, il nume tutelare di cinquant’anni, guarda altrove. Ad Est la Russia è su posizioni tanto ambigue che incerte. Della Cina si è detto. Adesso la parola è all’Europa; l’Unione Europea deve diventare maggiorenne e assumere in proprio tutte le sue funzioni e le sue prospettive. Non esiste alternativa. Sconfitta nelle recenti elezioni continentali la tendenza sovranista, sta al nuovo parlamento di Strasburgo e alla nuova commissione esecutiva di Bruxelles avviare quella svolta in positivo che è nelle attese. Deve farlo avendo chiaro che potrà farlo solo in proprio, mettendo in campo le sue forze e la sua capacità politica. Non esiste alternativa.