Surreale a volte la sfasatura tra i tempi delle decisioni e i tempi delle indecisioni.
Abbiamo nei giorni scorsi lodato i media per lo sforzo in atto di dare risposte alla crescita di domanda di una certa qualità informativa e di spiegazione che si è fatta più evidente da parte dell’opinione pubblica nel corso della crisi. Ci sia anche per questo concesso di segnalare, tra la tv di ieri sera e i quotidiani di oggi, un passaggio che appare in controtendenza. Ovvero con le lancette indietro.
Mentre ieri sera alle 21.30 l’Eurogruppo a Bruxelles – il baricentro dell’Europa dell’euro – iniziava, dopo quattro ore di negoziati bilaterali, la riunione che, in capo alle 23, avrebbe portato a un accordo che il commissario italiano Paolo Gentiloni ha definito nella notte “un’intesa senza precedenti”, i nostri programmi televisivi riprendevano l’antico costume di dividere come al solito le opinioni su tutto, al di là e al di qua del teleschermo:
- speranze e delusioni per l’Europa, che ogni volta che discute è data “per persa”;
- a favore o contro la Lombardia, che fronteggiando (in rapporto alla popolazione) dieci volte la massa d’urto dello tsunami mondiale, vede ora un’alzata di accuse che un paese con la testa sulle spalle non scatenerebbe a guerra aperta; pur restando giusta e necessaria l’indagine dei fatti soprattutto sulle case di riposo per gli anziani;
- tra le voci della scienza e quelle dell’industria, attorno alla risibile domanda che la Vp di Confindustria Licia Mattioli rivolge a un pur autorevole infettivologo come Massimo Galli “dovete darci una data certa”;
- sulle date di proroga attese a breve dal nuovo provvedimento del governo che indicando l’allungamento al 3 maggio inquieta chi si aspettava il via libera dopo Pasqua e al tempo stesso disinforma sul già convenuto ulteriore allungamento di sicurezza su cui la comunità scientifica pare compatta.
Assistere al dibattito se viene prima la vita delle persone o la vita delle imprese può anche essere un esercitazione edificante di filosofia della politica e del diritto. Ma richiede il rigore drammatico delle scelte che appartengono a quel genere di conflitto decisionale. Qui è stato, per lo più, solo sommare ansie in assenza di qualunque responsabilità di chi dovrebbe rappresentare appunto il momento della decisione istituzionale. L’unico programma che ieri sera avrebbe avuto senso nei teleschermi delle nostre case sarebbe stato quello di spiegare con calma e precisione come, a partire dalle ore 21 e 30, stava evolvendo il posizionamento degli stati europei più influenti attorno alla decisione più importante – insieme a quella assunta dalla Bce – per mettere in campo quattro cose di complessa rilevanza. Sempre – si intende – nel quadro di un compromesso (nella durezza che c’è in questo genere di negoziati) tra posizioni che sembravano incomponibili e in cui per mantenere gli equilibri ognuno avrebbe dovuto rinunciare a qualcosa, in via di principio e di sostanza:
- dare decisive garanzie a stati, imprese e lavoratori attorno alla crisi economico-occupazionale in corso ;
- creare uno spazio/tempo per programmare seriamente le ricadute nazionali e territoriali di queste misure senza dare l’assillo ai medici in corsia e nei laboratori di dare “date certe”;
- far capire un po’ meglio come va evolvendo il braccio di ferro tra europeisti e nazionalisti da cui può dipendere il rovesciamento della palude europea a cui abbiamo assistito negli ultimi anni;
- riaprire il rubinetto della “volontà politica comune”, materia non scontata ma che serve a disegnare il futuro; cioè immaginare possibile mettere l’Europa nelle condizioni di negoziare con il resto del mondo, a nome di tutti, le garanzie per i paesi membri di stare nella globalizzazione non da spettatori e puri consumatori, ma come partner nella ricerca, nella tecnologia, nella riduzione degli arsenali distruttivi.
Per questa volta i nostri teleschermi – per quanto si è potuto cogliere arroventando il telecomando – hanno mancato questo accompagnamento e non ci hanno portati per mano nella stanza delle decisioni, dimostrando che se anche i media rinunciano a un po’ di cultura partecipativa (a cui purtroppo hanno già rinunciato le forze politiche) proprio nel momento in cui bisognerebbe spingere su capire e partecipare noi rischiamo – proprio nella fase forse più difficile della storia che ci aspetta – che l’intera nostra opinione pubblica rischi di finire tutta al bar (appena riaprono) a giocare a tresette.
Questa mattina, poi, leggendo i giornali, che su questo argomento hanno scritto nei margini notturni delle prime notizie arrivate, il rischio è che i cittadini italiani (vedremo gli altri) abbiano tante opinioni diverse quante sono le testate. Non solo il governo plaude e l’opposizione di centro-destra tuona. Ma i soli titoli di prima pagina propongono ciò che dovremmo pensare della vicenda: molto bene, bene, abbastanza bene, maluccio, malissimo. Esattamente come fanno i sondaggi. Diciamo “informazione à la carte”.