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venerdì 26 Aprile 2024
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Mira mi alma: un’anima di Cuba

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Qualche giorno fa mi è stato chiesto di dare un’occhiata ad un corto “Mira mi Alma”, girato a Cuba, da un’idea originale di Gianlorenzo Attene, regia Giada Pistonesi, Oscar Francesco Gariani e Gianlorenzo Attene, insieme ad un gruppo di studenti italiani e professionisti cubani.

Devo dire che il prodotto è di grande qualità e merita l’attenzione del nostro giornale, perchè di giovani professionisti, bravi ed appassionati, il mondo del cinema italiano ha davvero bisogno. Dopo aver riguardato il video, per apprezzarne ogni dettaglio, mi è venuta voglia di fare alcune domande a Gianlorenzo Attene.

Hai studiato cinema a Cuba. Perchè? Com’è la scuola di cinema a Cuba?

Ho avuto il privilegio e l’onore di poter studiare Documentario, nella prestigiosa Eictv (Escuela Internacional de Cine y Televisión), la scuola internazionale di cinema di Cuba.

La scuola è una vera e propria mecca del terzo cinema, e ancora un luogo incredibile di sapere, dove insegnano degli autori come Werner Herzog o Rolando Almirante. Con uno sguardo però anche verso la nostra nazione, colpiscono all’entrata della scuola le locandine dei film più famosi di Fellini. 

Li si insegna il tipo di cinema che ho imparato ad amare, un cinema povero, ma pieno di tematiche e di emotività. Ho avuto questa importante opportunità grazie ad un bando della regione Lazio a cui sono molto grato: “Torno subito”.

Ciò ti ha consentito di vivere una esperienza di vita che va oltre il cinema?

Se il documentario è il cinema del reale, le mie esperienze di vita riescono ad andare oltre? La mia emotività, le mie sofferenze e amori si rispecchiano completamente in questi lavori? Non so dare una risposta a questa domanda, ma spero di si.

Penso che Marco, il protagonista sia stato uno degli uomini più importanti della mia vita. E non solo per me, ma sono convinto che posso parlare a nome di tutta la troupe sia la parte italiana che cubana.

La sincerità nel suo sguardo, ci aveva travolti completamente. Ci siamo ritrovati a disperarci per le ingiustizie che gli erano capitate. Commuoversi di fronte all’amore per sua madre. Infine abbiamo cantato e gioito insieme a lui.

Eravamo ossessionati da raccontare la sua storia nel miglior modo possibile, in un lavoro emotivamente difficilissimo. Era come se Marco, grazie all’arte del documentario, ci avesse regalato una parte di se stesso, che in qualche modo è entrata dentro di noi. E non penso che se ne andrà mai via.

Che cosa è Cuba per te. Com’è la vita a Cuba? La storia che racconti in “Mira mi Alma” può essere letta come un simbolo della società cubana di oggi?

Non penso che “Mira mi Alma” parli di tematiche prettamente legate a Cuba, ne che possa rappresentare la società cubana di oggi. Questo tema lo abbiamo affrontato meglio nel lungometraggio che abbiamo girato subito dopo, dal titolo: “Cubania, el espíritu del luchador cubano”, che spero di riuscire a far uscire a breve.

Penso che il racconto di Marco, nonostante la sua intimità, abbia invece dei temi internazionali. L’amore per la madre, i difficili rapporti con la famiglia, la sua povertà. Sono questioni politiche ed emotive che esistono ugualmente in tutto il mondo. Che fanno parte dell’umanità. Cuba c’è, ma sta soprattutto nell’emotività di Marco e nel suo modo di guardare il mondo, che condivide spesso con la gente di Cuba.

Nell’essere così estroverso. Nella sua dignità nonostante la povertà. Una dignità che spesso vedevi dentro altri cubani. Un popolo che, penso sia giusto ricordarlo, vive da più di 60 anni un embargo ingiusto e infame, peggiorato ancora di più dall’era Trump e Biden.

Per avere come unica colpa, quella di aver deciso di scrivere da soli la propria storia. Spesso lo dico, non ho amato particolarmente Havana come città, ma ho adorato i cubani come popolo. Così come ho amato il cuore di Marco.

Tre cose sono evidenti nel tuo docufilm: il “gusto” del particolare, la musica e i sentimenti per descrivere la condizione umana.

Il tentativo di “Mira mi alma” è quello di raccontare attraverso una storia intima, una parte dell’emotività umana. Proprio per suscitare un’emozione, il gusto nel particolare è fondamentale in questo.

Per quanto riguarda la musica, essendo il documentario il cinema del reale, le canzoni che cantano Marco e la madre, sono brani legati alla loro storia personale, e il loro gusto.

Spesso cominciavano a cantare all’improvviso, senza che noi glielo avessimo chiesto. Come fosse possibile che le canzoni che cantavano fossero così legate alla tematica della storia che stavamo raccontando per me resta un mistero. Forse Caos? Forse destino? Non so dirlo.

Resta il fatto, rispondendo alla tua domanda che quella passione per la musica e questa aura quasi magica sia una caratteristica incredibilmente tipica dell’isola Cubana.

Hai realizzato il film con una equipe numerosa di professionisti molto bravi. Penso al montaggio, alla fotografia e alla stessa direzione del film fatta con due tuoi compagni di lavoro. Come è nato il progetto e come hai messo insieme questo gruppo?

Il progetto nasce all’interno dell EICTV. Dopo due settimane di corso di teoria, ci hanno chiesto di scrivere un progetto per fare poi una presentazione che sarebbe stata valutata dagli stessi studenti, per capire quali documentari realizzare.

Io portai Mira mi alma che, per fortuna passò. La troupe era composta da tre miei compagni di corso italiani e il restante della troupe erano professionisti cubani, che collaborano con la scuola.

Va spiegato che questi tipi di lavori, legati alle tecniche del terzo cinema, sono lavori di condivisione in cui non esistono i meriti dei singoli, ma sono sempre di gruppo.

Mi basta ricordare la passione del nostro operatore Duanis Mesa Aponte. La pazienza del nostro montatore Yadriel Pérez Falcón, che è stato per una settimana notte e giorno a montare il lavoro, con tre italiani e diversi cubani che gli urlavano all’orecchio.

La sala di montaggio era diventata una specie di accampamento, dove noi vivevamo e dormivamo (per la verità poco). Un vero inferno per il montatore. Non posso dimenticare la cultura e l’intelligenza del nostro fonico Ruben Isaac, che ha avuto per la verità anche un ruolo molto importante per la struttura del cortometraggio. Lui ci teneva così tanto che quando le cose andavano male si arrabbiava anche più di noi.

Altra persona molto importante per il lavoro è stato sicuramente Oscar Francesco Gariani, uno dei tre registi. Bravissimo nel capire l’umanità di Marco, come renderlo a suo agio durante le interviste, capendo intuitivamente quando era il momento giusto di porre domande. E’ stato di grande aiuto sia nelle traduzione che nel strutturare le interviste al montaggio.

Sia dal lato umano che professionale, penso sia stata fondamentale Giada Pistonesi, la direttrice alla fotografia: che attraverso una fotografia poverissima (non è stata usata una sole luce di scena in tutto il corto) è riuscita a farmi girare ad un livello difficilmente sperato, facendo risplendere i colori tipici cubani. Lei è stata importante anche al livello umano, diventando di fatto una mia amica intima e compagna di avventure. Sostenendomi, quando mi serviva, e criticando i miei comportamenti quando pensava che sbagliassi. Sopportando il mio carattere spesso non facile, ma continuando sempre a rispettarmi.

Alla fine con tutto questo gruppo eravamo diventati una strana creatura dalle molteplici teste, che parlava diverse lingue, aveva molteplici braccia e capacità. Che mangiava dormiva e pensava alle stesse cose. Una creatura multiforme, fatta di passione e ossessione. Una passione che ci ha permesso in meno di due mesi di fare due lavori, un corto e un lungometraggio.

Il lavoro è così grazie alle persone che ho elencato. Vi ringrazio. Mi mancate, ogni faticoso giorno.

Dopo il tuo rientro in Italia quali sono i tuoi progetti futuri?

Di progetti ne ho avuti anche troppi, che per rispondere penso non basterebbe un libro! Ho continuato a collaborare con Giada Pistonesi, che penso sia una delle migliori direttori della fotografia della capitale. In un ambiente troppo spesso, esclusivamente maschile dove per una donna è ancora difficile farsi valere.

Come mio progetto più importante, c’è, grazie alla vincita di un altro bando pubblico dal nome “Impresa formativa”, la nascita della mia società di ripresa, montaggio e noleggio attrezzatura video dal nome Atlantide srls. Una società che vuole essere uno strumento utilizzabile dai giovani autori, e quindi un centro importante per il nuovo cinema della capitale.






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