Il romanzo La peste nuova di Fulvio Abbate (LA NAVE DI TESEO 2020) come il suo precedente La peste bis fanno riferimento al famoso La peste, il capolavoro, del premio nobel lo scrittore franco algerino Albert Camus, che racconta il dilagare di un’epidemia in una città dell’Algeria alla vigilia della seconda guerra mondiale
- Certamente la pandemia del covid 19 è stato un incentivo per Fulvio Abbate per affrontare la scommessa della riscrittura della Peste bis con un meticoloso e complessivo riesame del testo alla luce delle esperienze e dei cambiamenti intervenuti nei 24 anni trascorsi dalla pubblicazione del primo romanzo. Dobbiamo prendere atto della dichiarazione dello scrittore che “non c’è nessun riferimento alla cronaca”, nella sua opera, tuttavia è giusto osservare che non sono i libri ad essere attuali, ma gli eventi sono attuali e i libri ci possono aiutare a ricavarne il senso, quel senso che secondo Camus è la solidarietà (scrive che si può essere “felici insieme agli altri“) mentre in Abbate il senso della sua narrativa è la fine di ogni speranza.
- La peste nuova e La peste bis hanno a che vedere con l’opera di Camus almeno per due ragioni: la prima è la trama, costruita per creare la rappresentazione di uno stato di allarme; la seconda è nelle comuni radici filosofiche, la peste come rappresentazione simbolica del Male. E’ semplice constatare che la realtà narrata, quella dello scrittore francese come quella di Abbate, riproduce le caratteristiche di quella che il lettore sta vivendo. Ciò dà allo scrittore la possibilità di fornire al lettore una chiave di interpretazione della realtà nella quale viviamo, nel caso di Camus è il male è il nazismo che scatena la pandemia (la guerra), in Abbate la realtà di un mondo in cui il più stupido souvenir ci sopravviverà mette in luce la vulnerabilità dell’uomo e quanto sia stupida la convinzione che la modernità possa tenerci al riparo dalla morte.
- In Camus un medico, nel romanzo di Abbate il protagonista, lo scrittore Guido Battaglia, viene investito della responsabilità di salvare tutti facendo il suo lavoro, cioè inventare barzellette. «Non abbiamo mai visto in faccia gli inventori di barzellette — dice Abbate — ma sappiamo che hanno l’obbligo della perfezione. Molto più degli scrittori i loro componimenti devono essere esatti, compiuti, coerenti».
- «In un solo mese l’epidemia si è fatta pandemia, e ha conquistato, almeno per sé, sempre più certezze”: fino a quando due belle ragazze non abbordano il protagonista e gli chiedono di inventare una barzelletta per liberare dal male la città. In cambio gli garantiscono piaceri sessuali. Se il dottor Rieux di Camus è l’eroe che ogni giorno combatte, coltivando la speranza della salvezza degli ammalati: «Il mio protagonista, dice Abbate, non è mosso da un intento salvifico, ma dal desiderio dei corpi delle due ragazze. Ma neanche l’eros sembra davvero riscattare individui e città dal senso di morte.
- Se ne La Peste di Camus l’uomo lotta con la medicina contro l’assurdo per salvare il mondo, nella Peste nuova il protagonista lotta con la scrittura per conquistarsi i favori di due ragazze. Ma le due ragazze sono vere? Fulvio Abbate ci consegna un mondo senza speranza: ha scritto “non sappiamo di cosa sia fatta la speranza, se ha uno stato liquido o gassoso ed è comunque impalpabile”.