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martedì 23 Aprile 2024
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Oggi (e ieri) si vota. E domani?

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Si vota oggi e domani a Roma, capitale d’Italia e in 5 città capoluoghi di Regione: Milano, Napoli, Torino, Bologna e Trieste, 20 capoluoghi di Provincia (Benevento, Bologna, Caserta, Cosenza, Grosseto, Isernia, Latina, Milano, Napoli, Novara, Pordenone, Ravenna, Rimini, Roma, Salerno, Savona, Torino, Trieste, Varese), nella regione Calabria, e in due elezioni suppletive per la Camera dei deputati.

Il centrodestra misura per la prima volta il rapporto di forza tra i suoi leader, Salvini e Meloni. Due anni fa, alle Europee del maggio 2019, il confronto finì con: Lega 34,2%, Fratelli d’Italia 6,4%. Ora i due partiti si dividono i consensi a metà, ognuno poco sopra il 20%.

Entrambi arrivano al voto con qualche handicap dell’ultima ora: il festino droga-sesso e rock&roll del braccio destro di Salvini, Luca Morisi, e quello su presunti finanziamenti illeciti che ha portato all’autosospensione del capo delegazione di Fratelli d’Italia al Parlamento europeo, Carlo Fidanza.

Forza Italia è impegnata a dimostrarsi indispensabile anche se sarebbe arrivato il momento di chiedere conto a Berlusconi di un centrodestra di cui è l’autore che come lui stesso riconosce non è in grado di guidare il governo del Paese.

Il Pd spera in una parziale rivincita. Il suo leader, Enrico Letta, punta a tornare in Parlamento dopo 6 anni con una vittoria personale (senza simbolo del suo partito) nel collegio di Siena. E spera che l’asse con i 5 Stelle esca rafforzato dalla prova elettorale in cui è impegnata per la prima volta la leadership di Giuseppe Conte.

La perdita di consensi del Movimento è data per scontata, bisognerà vedere se l’ex premier potrà dire di averla contenuta.

A Roma il successo della campagna elettorale di Carlo Calenda è la premessa necessaria per spingere renziani e post-radicali ad un rassemblement liberal democratico e riformista.

Roma, danneggiata, sbertucciata, ridicolizzata, è e resta la capitale della cultura mondiale e la capitale di una grande nazione. Il voto a Roma accelererà o bloccherà istanze di rinnovamento e di uscita dalla lunga stagione segnata dalla crisi oramai irreversibile della democrazia rappresentativa.

Matteo Salvini e Giorgia Meloni non devono avere in grande considerazione l’intelligenza dei propri elettori se hanno pensato che la soluzione dei loro problemi fosse un servizio fotografico di affettuosi abbracci “made Novella 2000” per smentire qualunque conflitto. I

n ogni modo rimane aperta e irrisolta nel centrodestra la questione della leadership: Fratelli d’Italia continua la sua scalata elettorale, ai danni di un Matteo Salvini indebolito dai dissensi interni, ma è improbabile che la Lega le riconoscerà la leadership soltanto perché avrà un voto in più.

E’ persino banale sottolineare che definire “alleanza” quella tra Pd e Cinque Stelle è a dir poco una forzatura se si guarda alle liste frammentate e contraddette di queste elezioni amministrative, piuttosto coltivano la speranza che siano i ballottaggi a spingere in avanti un’unità casuale.

Ma anche un buon risultato nei Comuni non risolverebbe una questione tutta politica sul che fare dopo, con un partito diviso in potentati e gruppi parlamentari figli di quella fusione a freddo mai riuscita tra democristiani e comunisti, chiamata partito democratico.

È vero che si vota per le città, ma è altrettanto evidente che vanno alle urne dodici milioni di italiani, per cui è ovvio che lo sguardo si allunghi alle prossime elezioni politiche.

La tregua nelle formazioni populiste è destinata a entrare in crisi molto presto. Le premesse della resa dei conti ci sono tutte. Anche se il livello della propaganda e della polemica preoccupa per la sua inconsistenza.

Non è affatto scontato che nel 2023 assisteremo ad una riedizione del bipolarismo, con il centrodestra da una parte e l’alleanza tra Pd e Cinque stelle dall’altra: di mezzo c’è la nuova legge elettorale e come muterà il quadro politico con l’elezione del Capo dello Stato.

Nell’immediato tutta la maggioranza che sostiene il Governo Draghi sarà, dopo le elezioni, attraversata da forti tensioni che renderanno evidenti le crisi che la attraversano.

In questo contesto sarà necessario lanciare la proposta della costituzione di un rassemblement politico che superi la consunzione dei sistemi partitici, divenuti oligarchici, ristabilendo equilibrio tra democrazia rappresentativa e democrazia partecipativa, come Carlo Calenda ha più volte affermato.

Una sua affermazione elettorale bloccherà patti di potere vecchio stile quali quelli descritti da Moondo per primo. Dei disegni consociativi inventati dalla fertile fantasia dell’onorevole Bettini così “affascinanti” da coinvolgere Letta (e per lui il PD) e Conte (e i 5Stelle in crisi) l’Italia non sente il bisogno, perché negli ultimi decenni ha pagato il triste prezzo della decrescita, impoverimento, disoccupazione, voto clientelare, demagogia spesso violenta e volgare, in sintesi incompetenza al potere e trasferimento di questo fragile potere a burocrazie le più diverse, ivi compresa la Magistratura.

Una cosa è certa, diversamente da quanto è accaduto molte volte nella storia recente, i risultati di queste elezioni amministrative non avranno alcuna incidenza sull’attività di governo.

Ma non accade per caso, è l’ennesima prova di una crisi dei partiti: è clamoroso il livello a cui si svolge, ormai da troppo tempo, il confronto politico, una totale assenza di idee e di progetti, nessuna elaborazione sui problemi del nostro Paese e sulle crisi determinate dalla globalizzazione, nessuna ricerca sui temi della transizione digitale.

Tutto si risolve nella stanca e noiosa declamazione su quota 100, reddito di cittadinanza e impegno a bloccare la riforma del catasto.

Intanto a Palazzo Chigi è convocata una riunione dei ministri per la cabina di regia, la prima sul Pnrr, sul tema dell’educazione e della istruzione. In calendario anche infrastrutture e mobilità. Inizia così il percorso che dovrà portare il governo a redigere nuove legislazioni che il parlamento dovrà discutere e approvare entro il 31 dicembre.

Come ha dovuto ricordare il premier Mario Draghi in una recente dichiarazione il governo risponde al parlamento e con questo la Costituzione è rispettata e la democrazia è salva. Ma noi sentiamo il dovere e abbiamo il compito di denunciare l’inconcludenza dei partiti che dovrebbero contribuire alla elaborazione delle politiche economiche e sociali e che al contrario sono ripiegati su sè stessi preoccupati esclusivamente di contare i propri voti.

I riformisti che difesero radicalità culturale e capacità politica di accordo per risolvere in modo competente le necessità della nazione, oggi, umilmente ed assieme coscienti del gravoso impegno, appoggiano l’iniziativa di quanti, come ha fatto Carlo Calenda, lavorano ad un progetto politico che serva all’Italia ma anche all’Europa.

La UE oggi è chiamata ad un ruolo nuovo e dinamico in un mondo che non ha bisogno di una nuova e più allargata Svizzera ma di una Unione cardine, nel disordine planetario, di politiche vocate allo sviluppo, alla pace e alla democrazia.

E l’Italia, non pasticciata e debole, ma rinnovata e forte è essenziale per una Europa propositiva.






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