In pieno Covid 19 lockdown, da torino sono finalmente andato a seguire la filiale inglese.
Dopo tre mesi non era possibile rimandare oltre, documenti da firmare, tasse da pagare, strategie per il futuro da scegliere. E settlement status che scade a giugno. Non importa Covid.
A Malpensa tutto sembra eguale. Il Terminal 2 è eguale a sé stesso nella sua vecchiezza anni 70. Sembra non sia successo nulla. Lavori dentro, autisti fuori. Per entrare misurano la temperatura con una telecamera poi il gate. Poche, ovviamente, pochissime persone. L’impiegata del gate mi chiede dove vado, perché. Londra. Lavoro. Non sa cosa fare. Londra nella lista non c’è. Perché è un paese aperto, aggiungo io. Deve andare a chiedere. Ma Londra nelle direttive su cosa chiedere, su come fare, non compare. Faccio vedere la lista delle mie società inglesi. Si parte.
Manca ancora un poliziotto, vuole la famosa autocertificazione. Dove vai? Con chi vai? Dove vivi? Perché vivi? Indirzzi? Specifica meglio! Un sacco di informazioni che non sai a chi dai, perché tu le stia dando, come verranno manutenute e/o controllate e da chi. Mi viene quasi da ridere alle centinaia di documenti eguali che per lavoro devo compilare e firmare ogni anno: “il documento per la privacy” … “ “la dichiarazione per la privacy”. Se mai qualcuno fosse in grado di mettere insieme tutte le mie auto dichiarazioni di questo periodo saprebbe di me più di mia moglie.
In pullman ci sono disegni di piedi per terra. Per dove stazionare. Tutto molto sensibile. Tutto molto bello. Il check in è veloce. La cosa bella, finalmente si salta quella stupida gimcana obbligatoria fra i duty free; tutto è chiuso.
Nessun aereo sulla pista. Anzi uno. Sembra un aeroporto abbandonato.
Il volo è tranquillo. In aereo il primo form da compilare. Le autorità tedesche non vogliono sapere cosa faccio o dove vado. Ma su che volo sono, con chi viaggio, dove trovarmi. Se ci saranno problemi, o positivi, sapranno farmelo sapere.
A Francoforte, un’altra immagine. Si aspetta dappertutto. Gli autobus pochi e vuoti. Si aspetta a scendere per il controllo per non essere tanti nella hall. Ma intanto stiamo 20 minuti in un piccolo autobus a aria condizionata. La polizia è gentile. Si segna chi passa in un computer portatile montato su desk di emergenza. Tutto è ordinato e pulito.
Poi la scala mobile. L’unica in movimento fra altre 5. Vuota. L’aeroporto è enorme. Nuovo. Asettico e moderno come tutti gli aeroporti tedeschi. Ma vuoto fa impressione. Sono solo nei transiti e passo un nuovo controllo dei bagagli. Veloce, efficiente. Al nuovo terminal ci sono più persone, giornalai e bar sono aperti anche se non puoi mangiare seduto. Tutto il circo della moda e del consumismo invece ha le serrande abbassate. Mi mangio un pretzel. La prima cosa che compero in un bar da un po’ di tempo.
Destinazione Londra. Volano in tanti, da tante parti. La mancanza di voli diretti si sente, e non solo nel prezzo del biglietto. La coda non è così distanziata, è quasi come sempre. Ma tutti con la mascherina d’ordinanza.
La coda prima è ordinata. Uno ogni metro. Poi si accorgono che non ce la faranno in tempo. Liberi tutti. In aereo non ci sono spazi vuoti sembra un volo “old stlye”.
Ma la strada dall’aeroporto a casa è vuota. Sembra tutto irreale. Più vuota che in Italia, se si può dire.
Mentre aspetto di salire mi chiedo quanto in fretta si tornerà alla normalità. Non può andare avanti così. Non è pensabile. Non è sperabile.
Londra riapre parzialmente, noi la chiameremmo fase 2. Vedremo cosa succede.