Les mots janus, così i francesi indicano parole e frasi che ammettono la possibilità di una lettura a rovescio. La moderna enigmistica distingue il «palindromo» dal «bifronte»: a seconda che il rovesciamento riproduca esattamente la prima lettura, ovvero ne riproponga un’altra diversa, ma comunque di significato.
Tali virtuosismi, cui nel passato si vollero attribuire anche origini soprannaturali e misteriose, ebbero diverse denominazioni: “cancrini” furono detti i versi palindromi perché, come il gambero (cancer), vanno all’indietro; e furono detti anche “sotadici” dal nome del poeta greco Sotade; e di Sotade si racconta che il re Tolomeo Filadelfo, esasperato dai continui esempi che il poeta gli dedicava, lo fece precipitare in mare. Diomede chiamò “reciproci” i versi palindromi e, più tardi, Sidonio Apollinare li definì “concorrenti”. E non basta: per il Tabourrot delle Bigaurres erano “retrogradi” ed Étienne Pasquier, nelle sue Recherches, li chiamò “rigiranti” (retournantes), senza contare altre denominazioni come “rotolanti”, “anaciclici”, “rovesciantisi” ecc.
Notissimo è il palindromo latino riportato da Sidonio: in girum imus nocte ecce et consumimur igni (andiamo in giro di notte ed ecco ci consumiamo nel fuoco), verso che si dice riferito alle falene che il poeta vedeva andare bruciandosi alla fiamma della lucerna. Molto bella è anche l’iscrizione palindroma riportata su molti fonti battesimali ortodossi (e anche nel battistero di Nôtre-Dame des Victoires a Parigi): nizon anomemata me monan ozin (làvati i peccati, non soltanto il viso).
Elle difame ma fidelle, così si espresse il Conte di Chasteauneuf nei riguardi di una non tanto gentile “demiselle” che aveva detto male della propria fidanzata. Del tutto fantastica, invece, è l’ammissione (in inglese…!) di Napoleone: able was I ere I saw Elba e altrettanto la presentazione che Adamo fa di sé a Eva: Madame, I’m Adam. In italiano, infine, sono da ricordare i palindromi di Arrigo Boito: Ebro è Otel, ma Amleto è orbe!,per esempio, e ancora i due versi
È fedel non lede fe’
e Madonna annod’a me.
che il compositore segnò sul biglietto unito a un anello donato a Eleonora Duse. «Le parole son fatte per giocare», scrisse Arrigo Boito all’attrice in un’altra occasione; e lo dimostrò divertendosi molto con questo genere di giochi, per i quali utilizzò lo pseudonimo di Tobia Gorrio, anagramma del proprio nome e cognome.
Di Boito, per altro, è noto un pezzo musicale che poteva suonarsi anche a foglio di musica rigirato. E altrettanto noti sono quei suoi versi scritti soltanto per mostrare che nella metrica contano gli accenti e non l’effettivo numero di sillabe:
Sì crudo è il gelo
che le rime sdrùcciolanosene
tremando e, in fondo al verso,
rincantùcciolanosene;
le gòcciole d’inchiostro stalattìficanomisi
sotto la penna, ovvero stalagmìtificanomisi.
Il meccanismo ben si prestava allo svolgimento di enigmi secondo l’antica tecnica del diagramma letterale incluso nello svolgimento: un esempio di frase palindroma è quello svolto (in tempi lontani…) sulla combinazione i tassi fissati:
PRESTITI
X xxxxx xxxxxxx
al dieci per cento
son troppo elevati
in questo momento!
Le Banche centrali
dovran ribassarli,
oppur le cambiali
nessun porterà.
Questa che segue è una «frase bifronte sillabica» di Cesare Strazza, enigmista d’inizio ‘900, svolta con la stessa tecnica del diagramma letterale:
IL DONGIOVANNI E LA SARTINA
– Senti bella sbarazzina,
dirti vo’ una parolina….
– Per favor, mi lasci stare:
non ho tempo da sprecare!
– Sù, non fare la ritrosa,
xxoo yyzz, cara Rosa:
non lo vedi che impazzisco?
– zzyy ooxx? Non capisco.
con la lettura in chiaro degli ultimi versi:
– Sù, non fare la ritrosa,
Cedi meco, cara Rosa:
non lo vedi che impazzisco?
– Come dice? Non capisco.
Sulla rivista “Il Labirinto” apparve molti anni addietro (1991) un gioco illustrato di Giovanni Ragonese svolto su due immagini, per le quali, naturalmente, era da tenere in conto la successione temporale. Si trattava di una “frase palindroma” (4,5,2,4,1,2,2,5,5): alle sette di sera a re si dette sella, ma l’idea della trasposizione grafica dello schema non convinse il recensore Sal Kierkia, che, il mese seguente, osservò come il “palindromo” «per innato e costruttivo irrealismo, mal sopporta una sua figurazione concreta: è un fenomeno spudoratamente letterale e non serve vestirlo di immagini».
Sì, è vero – può aggiungersi – ma questo deve pur succedere quando un artificio letterale diventa schema di gioco enigmistico: allora la figurazione è equivalente allo svolgimento in versi e diventa semplicemente la forma, nella quale il gioco letterale si pone a base di una costruzione enigmistica.