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giovedì 25 Aprile 2024
Classici contemporaneiPerchè dobbiamo tendere ad un destino di grandezza?

Perchè dobbiamo tendere ad un destino di grandezza?

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L ‘INFINITO (G. Leopardi)

Sempre caro mi fu quest’ermo colle,

E questa siepe, che da tanta parte

Dell’ultimo orizzonte il guardo esclude.

Ma sedendo e mirando, interminati

Spazi di là da quella, e sovrumani

Silenzi, e profondissima quiete

Io nel pensier mi fingo; ove per poco

Il cor non si spaura. E come il vento

Odo stormir tra queste piante, io quello

Infinito silenzio a questa voce

Vo comparando: e mi sovvien l’eterno,

E le morte stagioni, e la presente

E viva, e il suon di lei. Così tra questa

Immensità s’annega il pensier mio:

E il naufragar m’è dolce in questo mare

L’Infinito è uno dei testi poetici più noti e il suo messaggio è talmente grande e profondo che non smette mai di emozionare. Nel nostro presente di persistente precarietà offre ancora una speranza di salvezza. 

La condizione esistenziale, difatti, in cui l’uomo vive, oggi più che mai, è quella di un’estrema fragilità. Ogni termine, ogni realtà a cui si pensa di ormeggiare fluttua in una varietà indecifrabile di possibilità che continuamente sfuggono alla mente e al cuore. Nulla si ferma per l’uomo di oggi che avverte forte il bisogno di trovare un assetto stabile, una base sicura dove “accasarsi”. La fluidità di ogni cosa, l’incertezza sono, invece, la costante di una vita sempre più vacillante. Solo una possibilità resta lontana ma persistente: l’infinito. Solo la sua immagine, idea o suono è fonte di piacere inesauribile in quanto realtà senza odi,  simbolo di mistero ma anche di ordine e serenità. A questa realtà hanno guardato, come osservatori privilegiati, i poeti di  tutti i tempi che, per reagire alla negatività del mondo sussistente, hanno inventato il mito, la poesia, “storie consolatrici”: ed ecco che il cosmo, la luna, le stelle e il loro baluginare sono diventati meta di un viaggio immaginario verso l’infinito e paradossalmente verso la consapevolezza della propria grandezza.

Infinito Giacomo Leopardi
Infinito Giacomo Leopardi

Sia lo sguardo di Dante, abbandonato all’idea rassicurante di un cosmo centrato e finalizzato secondo disegni divini, sia lo sguardo scientifico di Galileo o quello affascinato dal mistero di Leopardi, quello del fanciullino di Pascoli o ancora quello razionalmente contemplativo di Calvino, sempre l’Infinito, come esperienza dell’anima oltre i limiti pensabili della ragione, diventa un’esperienza consolatoria, un mondo a cui tendere almeno spiritualmente, la metafora possibile di una fuga intelligente verso la Bellezza.

È così che la siepe che limita l’orizzonte, la voce del vento e il sentimento del tempo sono echi di infinito che la poesia riesce a creare e in cui lo spirito si tuffa assetato, scoprendo forme di conoscenza alternative. Quando non esistono più punti di vista privilegiati e fissi, nè teorie che possono poggiare cartesianamente su basi  incrollabili, quando la ragione snatura l’uomo, anzi diventa sua nemica, è il senso d’Infinito a dare forza e sostengo all’uomo, ad insegnare che c’è sempre qualcosa per cui vale la pena vivere e lottare. È l’Infinito, in quanto voce dell’anima, nella nostra realtà della comunicazione di massa, dell’esibizionismo isterico, del frastuono insulso, a richiamare al valore della riflessione su se stessi e sull’uomo, alla ricerca di ciò che è più autentico.

Nel mondo degli integralismi, dei grigi  sovranismi, della violenza gratuita, l’Infinito dovrebbe continuare a persistere come possibilità pronta ad esserci per regalare suggestioni di indicibile bellezza. Contro la minaccia di disumanizzazione, dovrebbe essere una sorta di caveau svizzero da cui attingere sostanza vitale, capace di illuminare anche la notte più profonda, indirizzare lo sguardo oltre la superficialità e salvare l’uomo da quel nemico di se stesso che può diventare. Nessun grande progetto, sono certa, potrà mai essere realizzato se si smetterà di confrontarsi con l’infinito e di tendere ad esso.

Quello che preoccupa di più, oggi, difatti, è proprio la evidente sproporzione tra la prosaicità dell’uomo tecnologico e la profondità della sua anima, sproporzione che ha fatto smarrire il rapporto tra l’io e l’infinito. E così oggi il nostro orizzonte è, nonostante tutto, infinitamente più ristretto rispetto a quello dell’uomo antico e dell’uomo cristiano. Se il primo poteva con la stupita creatività della sua fantasia rapportarsi al divino, l’uomo moderno può appena avere rapporti con la sua società globale quando non si trincera entro la limitatezza dei suoi miseri e fragili confini. La conseguenza di tutto questo è l’incapacità dell’uomo moderno a capire in maniera piena i suoi rapporti con il Tutto a cui appartiene. È per questo che l’Infinito oltre la siepe ci affascina e coinvolge sempre. Esso ci restituisce il fascino e lo stupore della contemplazione oltre a ricordarci che la misura umana è l’universale e il suo destino è un destino di grandezza. A questo destino dobbiamo tendere perchè più ci convinceremo che nell’uomo si nasconde qualcosa di grandioso più la nostra vita sarà alla ricerca del bello e del bene, valori oggi minacciati da una devastante  perdita di significato.

E se questa ricerca dovesse fallire per contingenze controverse, non potremmo mai rimproverarci di aver creduto nella Bellezza e nel Bene ma soprattutto non smetteremo mai di credere che la lotta per la sopravvivenza può essere vinta anche restando in pace con i propri vicini in un reciproco conforto.






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