Per far bene un lavoro (o anche semplicemente per poterlo fare) abbiamo bisogno di certi requisiti e anche di certe situazioni esterne che possono favorire la nostra ricerca.
Parlo di qualunque lavoro: perfino quando cerchi lavoro come volontario in qualche ente di carità, ti chiedono se hai certi requisiti.
Ho fatto questo ragionamento in un momento di particolare disperazione per la situazione politica americana, a pochi giorni dalle elezioni, con un presidente che minaccia continuamente di non accettare i risultati elettorali se perde. Che è un classico inizio di dittatura. E per consolarmi mi son chiesto: ma potrebbe/saprebbe fare il dittatore?
Trump potrebbe (meglio saprebbe) fare il dittatore?
Perchè anche fare il dittatore è pur sempre un lavoro, e come tutti i lavori ha bisogno di requisiti e circostanze. La risposta, grazie a Dio, è stata del tutto negativa ed ecco qui il filo del ragionamento.
Requisito di base per iniziare la scalata è la popolarità, le folle che accecate dal tuo fascino vanno in visibilio. Non è il caso qui. Trump è stato eletto nel 2016 non per una maggioranza di voti popolari (la Clinton aveva due milioni di votanti in più) ma per come è fatta la legge elettorale americana. Ancor più importante, non è mai stato una figura affascinante, un conquistatore di folle, un grande oratore… anzi, parla un inglese da bambino di sette anni. Il potere di Mussolini risiedeva, per circa vent’anni, proprio nella sua immensa popolarità, nei suoi travolgenti discorsi a piazza Venezia.
Poi viene il potere sui mezzi di comunicazione (quelli che oggi chiamiamo i “media”). E qui siamo quasi allo zero assoluto. Della moltitudine di canali tv, ce n’è solo uno (Fox News) che lo appoggia. Tutti gli altri sono palesemente contro o tiepidamente neutrali, o si occupano solo di sport o spettacolo. I giornali, per quello che contano: un paio di giornalacci da niente, quelli seri tutti contro. Le piattaforme digitali (Facebook, Twitter ecc): lo ospitano, anche se spesso con molti dubbi, ma certo non lo appoggiano.
E’ palesemente e pubblicamente disprezzato dai militari, che sono invece alla base di qualunque rivolta dittatoriale, vedi al giorno d’oggi Maduro e qualche tempo fa Cesare quando varcava il Rubicone. James Mattis, ex ministro della difesa ed ex generale dei marines, licenziato di colpo perchè stava per dare le dimissioni, ha detto testualmente: “E’ il primo presidente della mia vita che non cerca di unire gli americani, non fa neanche finta di farlo, anzi cerca di dividerci”. Per non parlare di John McCain, fatto prigioniero in Vietnam, rimasto prigioniero e torturato per 6 anni, diventato poi senatore repubblicano, considerato da tutti un eroe di guerra. Trump lo definisce un vigliacco per essersi fatto prendere prigioniero, e quando muore non vuole che ci siano funerali ufficiali. Vedendo le bandiere a mezz’asta grida ai suoi: “Ma che cazzo stiamo facendo? Per quello sfigato?”.
E che dire dei servizi segreti, anch’essi fondamentali per sostenere un colpo di stato? Trump è stato sempre in lite (o per lo meno in tensione) sia con l’FBI che con la CIA, anche con clamorosi licenziamenti, come quello di James Comey, direttore dell’FBI, perchè non era d’accordo su come investigare le e-mail della Clinton o le interferenze della Russia nelle elezioni. Da qui non gli verrebbe di certo alcun sostegno.
E per finire l’appoggio delle masse: inesistente. E’ vero che ci sono minacce di violenza da parte di gruppi di estrema destra, ma le strade, come hanno dimostrato tutte le marce di protesta degli ultimi mesi, appartengono alle sinistre.
Da tutto ciò le conclusioni.
Se Trump vince le elezioni (cosa in questo momento improbabile) sarà il prossimo presidente. Se perde, e soprattutto se perde di poco, farà di tutto per non passare pacificamente i poteri.
Ma li dovrà passare lo stesso. La stoffa del “golpista”, grazie a Dio, proprio non ce l’ha. Ne ci sarà nessuno, compreso il potere giudiziario, che lo appoggerà in una simile avventura.