È, oramai, pacifico per gli esperti che studiano le ragioni socioeconomiche e politico-culturali alla base della furia iconoclasta della democrazia rappresentativa che queste hanno avuto ed hanno molti interpreti e che si sono sviluppate per differenti motivazioni.
Uno dei casi oggetto di studio è certamente il CNEL, specificatamente la sua soppressione. Il Consiglio Nazionale Economia e Lavoro è un organo di rilievo costituzionale della Repubblica italiana previsto dall’art. 99 della Costituzione con funzione consultiva rispetto al Governo, alle Camere e alle Regioni. “Ha l’iniziativa legislativa – scrive la Costituzione – e può contribuire alla elaborazione della legislazione economica e sociale secondo i principi ed entro i limiti stabiliti dalla legge”.
Sostanzialmente i padri costituenti faticarono non poco per accordarsi sulla sua istituzione, fortemente sostenuta da giuristi del calibro di Calamandrei, dai socialisti, dal vivace mondo cattolico soprattutto desgasperiano e fanfaniano, ma, se non osteggiato, visto con diffidenza dal mondo liberal-conservatore, preoccupato per una possibile influenza del sindacalismo comunista, il quale, a sua volta, influenzato dal PCI, preferiva l’uso degli strumenti garantiti dai regolamenti parlamentari allo studio meticoloso delle questioni economico-sociali elaborato con discussione e confronto da un organo costituzionale, sia pur consultivo ma abilitato alla iniziativa legislativa.
Insomma, la vita del CNEL non è mai stata semplice. Rischiò la soppressione con la modifica alla Costituzione proposta da Matteo Renzi e dal governo che egli presiedette. Il referendum confermativo bocciò, nonostante l’interpretazione di costituzionalità che non soltanto i presidenti delle Camere, le Commissioni Affari costituzionali, ma soprattutto il garante massimo, il Presidente della Repubblica, generosamente offrirono al metodo usato per redigere il testo di riforma e quello praticato per votarlo.
Malgrado il notevole lavoro svolto dall’attuale presidente del CNEL Tiziano Treu nella consiliatura in corso, continuano a registrarsi critiche sull’effettiva utilità dell’Istituto, tant’è che alcuni parlamentari ritengono che il CNEL sia un ente inutile dalla nascita, quasi non sia un organo costituzionale, ma un distributore di prebende e un “poltronificio di lusso”, accusato anche di essere allocato in una splendida proprietà demaniale, Villa Lubin, nel cuore di Villa Borghese a Roma – addirittura dotato di un piccolo parcheggio in pieno centro città – dove lavorano 50 dipendenti e 8 dirigenti. Gli stipendi di questi ultimi sono allineati ai migliori della PA.
Nella direzione dell’inutilità dell’Istituto, va detto che giacciono in Parlamento diverse proposte per la sua abolizione, la più nota delle quali è a firma congiunta del leghista Roberto Calderoli e del pentastellato Gianluca Perilli, che si è arenata dopo il voto unanime in Commissione Affari Costituzionali del Senato, anche a causa della caduta del governo Conte I nel 2019.
Diversamente dall’opinione “critica” di alcuni parlamentari, il governo, nella persona del presidente del Consiglio Mario Draghi, ha premiato l’attività del professor Treu nominandolo coordinatore del Tavolo permanente per il partenariato economico, sociale e territoriale, istituito presso la Presidenza del Consiglio dei ministri nell’ambito dell’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza ‘Italia Domani’. Al Tavolo permanente partecipano i rappresentanti delle parti sociali, del Governo, delle Regioni, delle Province autonome, degli Enti locali, di Roma capitale, delle categorie produttive e sociali, del sistema dell’università e della ricerca, della società civile e delle organizzazioni della cittadinanza attiva.
Però, qualche segnale di preoccupazione e confusione esiste, perché allo stato attuale il professor Treu si ritrova, nello stesso momento, a ricoprire una carica istituzionale super partes (presidente CNEL) e una squisitamente politica (coordinatore Tavolo). La competenza del professor Treu, che fu importante ministro del governo Prodi, nonché parlamentare apprezzato, è indubbia. Ma può il presidente di un organo di rilievo costituzionale svolgere un’attività così operativa del potere esecutivo dello Stato? Come sempre è una questione legittimamente discutibile, ma, all’apparenza, il dubbio non sembra sia stato preso in esame né a Chigi, né in Parlamento né, a quanto è dato sapere, dal garante degli equilibri costituzionali, il Presidente Sergio Mattarella. Comunque, ammesso che sia teoricamente possibile, è eticamente corretto?
Entro la prima metà del 2022, scadrà il mandato quinquennale alla guida del CNEL. Stando alle solite voci che circolano nei palazzi, che restano voci sino a che – messe in circolo – non vengono smentite, l’ottantaduenne professor Treu, in quota PD, starebbe puntando anche alla riconferma al vertice dell’Ente, da affiancare al coordinamento del Tavolo sul PNRR, che dura 4 anni. Per dare al lettore il senso dell’enormità della notizia: soltanto l’allora sessantenne professor Giuseppe De Rita, nella storia del CNEL, è stato confermato presidente per due consiliature; è mai possibile che, nel giochino del farmacista attento misuratore in milligrammi dei pesi pattizzi, l’onorevole Enrico Letta pensi sia possibile che il Governo presieduto dal dottor Draghi proponga al Capo dello stato la conferma a Presidente del CNEL del presidente Treu? A me sembra difficile immaginarlo, ma, come si sa, spesso l’immaginazione supera la realtà.
Se, come mi auguro, l’ex ministro Treu rinuncerà a farsi rinominare al CNEL, per evitare che si rafforzi la proposta di abolire l’organo di rilievo costituzionale, va comunque segnalato che la situazione amministrativa gestionale a Villa Lubin era, è e resterà altamente deficitaria. Non certamente per l’alto numero di dipendenti, addirittura dimezzato rispetto ai tempi di De Rita; né per l’attività svolta, ottima per qualità e quantità; né con la scusa del compenso sotto qualsiasi forma ai consiglieri, per il semplice fatto che la loro attività è totalmente ed espressamente gratuita; quanto per l’eccessivo numero di dirigenti confrontato al personale in servizio, con una tendenza all’aumento.
Un esempio? Lo scorso aprile, Repubblica e Mediaset hanno riportato il caso della pubblicazione sul sito del CNEL di un bando per conferire un incarico dirigenziale (il 9°!) del tutto illegittimo. Tale bando è stato immediatamente revocato solo dopo l’attenzione mediatica. Alla revoca dell’avviso non ha fatto, però, seguito alcuno spostamento dall’incarico del dirigente delle risorse umane che aveva redatto il bando. A conferma che al CNEL la cattiva amministrazione può serenamente convivere con i sostanziosi stipendi. Speriamo – per ovvie ragioni – che l’ottimo professor Treu non trasferisca inavvertitamente il modello gestionale utilizzato per il CNEL al Tavolo sul PNRR.