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sabato 27 Aprile 2024
Idea-AzioneQuel che resta del socialismo

Quel che resta del socialismo

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Vent’anni fa moriva ad Hammmet Bettino Craxi, l’uomo politico che aveva guidato il Partito Socialista per quasi due decenni, dal 1976 al 1993. La figura di Craxi era emersa nella drammatica riunione del Comitato centrale socialista tenutasi al Midas nel luglio del 1976 all’indomani dell’insuccesso elettorale che produsse una crisi profonda nel vecchio partito, portando alle dimissioni del segretario Francesco De Martino che lo aveva guidato con alterne fortune.

Il Midas, albergo romano all’inizio della via Aurelia, diventerà un totem per gli anni che seguiranno. C’è da chiedersi perché avvenne quella che fu una rottura vera e definitiva nel modo di essere e nell’animo del socialismo italiano.

Finiva un mondo, quello nato nel 1892 con la costituzione del Psi, passato poi attraverso vicende drammatiche dalla lotta di classe di fine secolo XIX, al no alla guerra del 15-18, all’affermazione elettorale del 1919, allo scontro e alla sconfitta contro il fascismo, la lunga catena di martiri da Giuseppe Di Vagno a Giacomo Matteotti, dai fratelli Carlo e Nello Rosselli, fino a Bruno Buozzi, all’affermazione di un nuovo gruppo dirigente guidato da Pietro Nenni che portò il partito all’affermazione delle Repubblica. Quindi il Fronte popolare, la sconfitta e il subordine numerico nei confronti del Partito comunista. Il sentimento autonomista riemerse presto e fu Nenni a rompere il patto con il Pci, dopo i fatti d’Ungheria (l’invasione sovietica) e il congresso di Venezia del 1956.

Partito_Socialista_Italiano
Simbolo del Partito Socialista Italiano (logo dal 1978 al 1985)

La stagione socialista riprese lena con una prima decisiva rottura politica rappresentata dal centrosinistra, con il ritorno ni maggioranza e al governo del Psi. Anche quelli furono anni importanti e costruttivi, marcati da ministri socialisti di forte personalità, come Giacomo Mancini, Francesco De Martino, Giacomo Brodolini, Antonio Giolitti ed altri che seppero far emergere con forza, nel governo e in parlamento, le ragioni democratiche, i valori civili, le istanze del mondo del lavoro, la necessità di un gestione programmata dell’economia. Quella presenza produsse risultati profondi che cambiarono la società italiana e vivono tuttora: dalla vaccinazione obbligatoria contro la poliomelite, allo statuto dei lavoratori, al divorzio e all’aborto, tutto frutto dell’impegno e della costanza politica socialista.

Eppure, quella fase si concluse con un grande insuccesso elettorale, nel 1976, quando il Psi rimase tra il 9,70 e il 10 per cento. I socialisti avevano scosso l’albero e altri, il Pci in particolare, avevano raccolto i frutti. Quell’elezione determinò un taglio epocale nella storia del socialismo italiano. I fattori furono di natura interna e internazionale. Quelli interni stanno nel logoramento dell’esperienza del centro-sinistra che mancò l’obiettivo di una trasformazione in senso definitivamente riformista della società italiana e quindi si esaurì.

Ma c’è un’altra ragione, mai posta in evidenza come necessario, di natura internazionale. Nel 1976, dopo l’affermazione elettorale comunista, la Dc, guidata da Aldo Moro, lavorava per il compromesso storico (l’accordo Dc-Pci) . Quell’ipotesi urtava contro l’assetto internazionale al quale l’Italia era legata. Un partito comunista al governo di un paese dell’alleanza atlantica non poteva convivere con la dottrina politica americana. D’altro lato, il maggior partito comunista dell’occidente che passava dall’altra parte del campo per un’intesa con il portavoce dell’atlantismo non garbava all’Unione sovietica.

Chi qui scrive è stato protagonista, o meglio testimone di un episodio chi rivisitato dopo tanti anni appare illuminante. Alla fine di giugno del 1976, pochi giorni dopo le lezioni politiche italiane, si tenne negli Stati Uniti, esattamente a Porto Rico, il vertice dei sette paesi più avanzati dell’occidente (Stai Uniti, Canada, Giappone, Regno Unito, Francia, Germania e Italia). Si discusse di questioni economiche, del commercio e delle monete. La delegazione italiana era guidata dal presidente del consiglio dei ministri Aldo Moro. Fin qui tutto nella logica. In sala stampa, chi scrive, fu contattato dall’ex direttore del Resto del Carlino, Girolamo Modesti, al tempo corrispondente dagli Stati Uniti, che gli presentò una collega americana, tale Claire Sterling (che si rivelò poi come esponente di rilievo della CIA), la quale chiese le venisse illustrato un quadro della situazione politica italiana all’indomani delle elezioni. Nel corso della conversazione, in lingua inglese, chi scrive ebbe chiaro che la collega, più che volere informazioni, stava dando degli input importanti per quella che sarebbe stata l’evoluzione politica italiana. Il tema fondamentale fu quello che sarebbe stato il ruolo delle “democrazie chiave”, vale a dire il rispetto della divisione mondiale tra Est e Ovest e relative sfere di influenza.

Al ritorno in Italia, chi scrive, stimolato dai direttori del giornale, Gaetano Arfé e Franco Gerardi, sulla base della conversazione avuta a Portorico, redasse un corsivo, apparso sulla prima pagina dell’Avanti! (mercoledì 30 giugno 1976), intitolato “Democrazie chiave e fatti italiani”, nel quale, ricordando le posizioni Usa “sulla solidarietà occidentale e l’esplicito interesse per l’Italia e le sue vicende politiche” si sosteneva “ci dovremo attendere nel prossimo futuro pressioni crescenti sul nostro Paese, dove la necessità di una svolta politica resta intatta nonostante i risultati elettorali, che, anzi, l’hanno rafforzata. Le pressioni si faranno sentire in vario modo. Nella prospettiva di un’intesa tra Democrazia Cristiana e Partito Comunista, non è azzardato pensare che oggetto delle maggiori pressioni finirà per essere proprio il Partito Socialista. E’ un’eventualità da tenere presente, che avrà tempi più o meno lunghi di proposizione, ma a cui occorre prepararsi per essere in grado di articolare la risposta che il Partito nella sua piena autonomia e nella coerenza alla sua linea politica giudica adeguata.”

Pochi giorni dopo, a metà luglio, al Midas avvenne la svolta decisiva per il Psi, con le dimissioni di De Martino e l’elezione di Bettino Craxi a segretario del Partito. Due anni dopo, nel marzo del 1978, il rapimento e poi l’assassinio di Moro. Il socialismo italiano prese tutt’altra piega, il compromesso storico tra Dc e Pci fallì. Stando alla fantasia si potrebbe affermare che le vicende andarono bene, da un lato agli Stati Uniti, dall’altro all’Unione sovietica. Ma questa è fantasia.

Dopo il Midas, pian piano il Partito socialista cambiò pelle, si può sostenere che avvenne una cesura storica tra il socialismo d’antan, quello che va dagli albori di Filippo Turati e Anna Kulishoff a Pietro Nenni, al post di Bettino Craxi. Indubbiamente era cambiata la società italiana, il suo modo di essere, i suoi problemi, la sua portata internazionale, ma lo stacco fu netto e senza remore, tanto che di lì a poco cambiò tutto il quadro dello stesso personale politico e lo stesso Nenni fu poco più che un sopravvissuto politico.

Fu un bene o un male. La vecchia storia era conclusa con l’ennesimo insuccesso socialista. Il nuovo corso, all’inizio difficile, ebbe poi l’occasione irripetibile di portare il segretario socialista a rappresentare il fulcro della politica italiana, fino ad assumere la guida del governo, a metà degli anni ’80, nel periodo che coincide con il maggior sviluppo economico, sociale e internazionale di questo Paese.

La stagione di “mani pulite” pose fine a tutto. C’è da aggiungere che Craxi fu lasciato solo, anche da quelli che più avevano beneficiato del suo successo, e ciascuno cercò la via individuale per salvarsi, anziché – come sarebbe stato sacrosanto – scendere in piazza per affrontare a viso aperto quel giustizialismo che ancora non si estingue.

Passerà del tempo, ancora molto tempo, prima che storici onesti saranno in grado di pronunciarsi. Nel frattempo del socialismo non resta che il sentimento nell’animo e una guida morale nella vita di ogni giorno.






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