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venerdì 19 Aprile 2024
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Quirinale. Meditazione italiana – Commento ad urne aperte

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Un’Italia più povera politicamente approda ad un porto sicuro, ma come i battelli dei migranti naufraghi. Comincia con qualche elemento di sicurezza e molti fattori di rischio la campagna elettorale

La “Meditazione milanese” di Carlo Emilio Gadda fu negli anni ‘20 la pur nobile “ridotta” di un’impresa tentata ma fallita, quella di abbozzare un “Racconto italiano”.

Era questo il titolo pensato per uno sforzo di indagine post-manzoniana sulla nostra realtà.

Ai “grandi scrittori” italiani a volte non è riuscito di descrivere nel suo complesso la vicenda morale italiana. Ai “grandi elettori” italiani può capitare di non riuscire a scrivere un nuovo capitolo della vicenda politica italiana.

Così potrebbe essere un po’ ridotto il senso di colpo di un sistema politico che esce sconfitto dal 13° scrutinio repubblicano convocato per eleggere il Capo dello Stato. Non sempre si può fare un passo avanti.

La macchina del tempo

Il rifugio della macchina del tempo che, con sollievo degli italiani, chiede a Sergio Mattarella di restare a presidio della più alta istituzione del Paese, si accompagna ad altre due notizie rassicuranti “di sistema”.

L’alta probabilità di conferma di Mario Draghi alla guida di Palazzo Chigi, pur con diversi elementi di scricchiolio nel quadro di governo. La certezza della contemporanea elezione di Giuliano Amato a presidio del delicato ambito di regolazione del processo costituzionale, cioè la Consulta.

Ma malgrado questi risultati – che politicamente si misureranno con gli sviluppi delle ventilate dimissioni del ministro Giancarlo Giorgetti e altre questioni – la settimana di travaglio parlamentare lascia sul campo quattro esiti negativi.

  • Il primo è quello del sistema dei partiti politici, attore naturale della responsabilità delle scelte di assetto delle istituzioni. Un sistema che, nell’anno di copertura esercitata dal governo di emergenza, aveva guadagnato cinque punti percentuali rispetto al drammatico 8% di fiducia degli italiani dell’anno precedente, lasciando comunque in evidenza che quasi 9 italiani su 10 non si fidano delle forze politiche. In questa settimana si è confermata una grave incapacità di fare scelte, di tenere salde le maggioranze, di selezionare al meglio le possibilità, di mantenere uno stile di grande e visibile serietà.
  • Il secondo è quello delle principali  leadership che non hanno governato quelle forze parlamentari, considerate solo “peones” manovrati a comando, rivelatesi un sistema semplicemente sbandato.
  • Il terzo è l’impoverimento oggettivo del rapporto tra il trattamento istituzionale e il novero delle figure di maggiore rappresentatività istituzionale. Parole irrituali sono incredibilmente sfuggite sia a destra che a sinistra nei confronti di nomi alti del sistema istituzionale nel suo complesso.
  • Il quarto è che il modo spavaldo e senza cautele che i leader politici hanno espresso per mettere in campo l’innovazione di una soluzione al femminile, pur avendo avuto una accelerazione, si è dimostrato incauto e con un retroterra immaturo.

C’è, insomma, un’Italia più povera politicamente, che – è vero – approda ad un porto sicuro, ma come i battelli dei migranti naufraghi.

Averne coscienza costituisce al tempo stesso una percezione collettiva del carico ulteriore che il presidente Mattarella assume sulle sue spalle con il ringraziamento degli italiani.

Ma sollecita anche l’importanza di una sorveglianza sociale, malgrado le paure non svanite degli italiani per la crisi sanitaria in atto. Una sorveglianza che una democrazia moderna deve saper sviluppare sull’evoluzione delle condizioni della res publica democraticamente vulnerabile.

L’estensione della responsabilità.

Avere associato alla consultazione dei capigruppo parlamentari anche l’opinione dei rappresentanti delle Regioni (da cui sono venute parole condivise di attenzione alle domande oggi cruciali degli italiani) è un primo passo di appello al Paese.

Che deve prevedere estensione di responsabilità ai Sindaci, ai soggetti delle rappresentanze socio-economiche, alle organizzazioni del civismo organizzato e all’associazionismo di scopo.

E’ una complessa storia che potrebbe mettersi in movimento.

Non proprio per significare un commissariamento dal basso del sistema dei partiti, ma per ridisegnare almeno la trama democratica in modo chiaramente più allargato.

In un certo senso uno spunto è venuto dal moto che ha preso i “grandi elettori” a un certo punto delle ripetute confusioni e irritualità commesse dai leader dei partiti. Veder crescere un altolà, sia pure difensivo, potrebbe già essere interpretato come una pressione decidente contro l’indecisione conflittuale dei partiti.

Quanto all’attuale premier, il suo ruolo resta abbastanza salvaguardato, perché compreso nelle preoccupazioni dei grandi elettori (almeno di maggioranza) in ordine al presidio attuale circa le priorità del Paese.

E’ vero che non era questa l’aspettativa profonda di Mario Draghi. Ma le sue parole avevano previsto questo esito “al servizio delle istituzioni”, con il rafforzamento del fatto che la conferma di Sergio Mattarella è l’opzione che grava meno sulla sua immagine, insieme al fatto che formalmente il suo nome non è stato compreso nello stuolo dei nomi bruciati.

Il quadro che si ricompone attorno a personalità formate civilmente nella prima Repubblica (Quirinale, Palazzo Chigi, Consulta) è un passaporto a breve. Che alza complessità e responsabilità, pur nell’aver tenuto in salvaguardia la reputazione internazionale dell’Italia. Che vuole anche dire che lunedì non ripartirà lo spread negativo sul “valore in borsa” del Paese.

Giorgia Meloni ha preso con linearità il diritto di lanciare prima degli altri la campagna elettorale del 2023.

Il primo a farne le spese sarà il cosiddetto leader rivale, che non ne ha azzeccata una in questa settimana.

Si vedrà come centro e sinistra sapranno cogliere costruttivamente questa spaccatura. Oggi non si possono fare previsioni. Le dichiarazioni trionfalistiche di alcuni esponenti del PD (che pur ha il merito di non aver bruciato i propri nomi a vanvera) va considerato come una comprensione non molto ragionevole dell’accaduto. Su cui Enrico Letta è stato più cauto ammettendo l’esigenza di “ricostruzione generale”.

Al presidente Mattarella va certamente il ringraziamento della grande rete di chi ha a cuore la reputazione nazionale (questa testata compresa).






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