Quando la Patria è in pericolo scatta il richiamo alle armi. La chiamata, questa volta, è per Sergio Mattarella.
Il presidente della Repubblica, pur essendo costituzionalmente capo delle Forze Armate, non dovrà indossare alcuna divisa e, fortunatamente, non dovrà imbracciare alcun arma da guerra. Dovrà mantenere i suoi poteri costituzionali e guidare ancora il Paese per il tempo necessario affinché esso torni ad una situazione, se non proprio di pace, almeno di normalità politica.
Nei mesi scorsi il Presidente ha detto che al termine del suo mandato, gennaio prossimo, intende riposarsi e dedicarsi ai suoi amati studi giuridici. Ma la situazione è cambiata e nubi minacciose sono apparse all’orizzonte della politica italiana che rischia di precipitare e con essa la società nazionale che è appena sul punto di riprendersi dalla batosta della pandemia, dal crollo economico, dalla caduta dell’occupazione, dalla scuola che stenta a rimettersi in piedi.
Il Capo dello Stato, è più che auspicabile, dovrà fare buon viso a cattivo gioco e non potrà permettersi il lusso dell’immediato ritiro a vita privata.
Spieghiamo il perché.
A subentrare al Quirinale c’è un candidato in pectore, l’attuale presidente del consiglio Mario Draghi. Si potrebbe dire, niente di meglio!
Ma, attenzione ai tempi. Draghi è stato chiamato, appena all’inizio dell’anno, alla guida del governo per la sua valenza internazionale e per mettere mani al risanamento dell’economia anche attraverso l’utilizzo dei fondi (oltre 200 miliardi di euro) resi disponibili dall’Unione Europea. Ha iniziato un lavoro difficile e lo sta conducendo con polso e maestria. Distrarlo adesso da quel compito significherebbe riaprire il balletto della peggior politica, anzi delle manovre e dei traffici che nulla hanno a che vedere con la politica intesa nel senso alto e appropriato del concetto. Promuoverlo al Quirinale per levarselo di torno da Palazzo Chigi costituirebbe un rischio mortale per l’Italia.
Immagino l’orda degli affaristi e dei facilitatori, che si annidano in ogni anfratto pseudo politico, pronti a saltare sulla gestione di quelle risorse, come insegna duramente la storia nazionale dei disastri naturali, dai terremoti alle inondazioni, e delle ricostruzioni mai fatte o fatte male per ingrassare le tasche di pochi a danno di intere popolazioni.
Si potrà obiettare, ma non esiste solo Mario Draghi! Questo è vero, ma quelli che abbiamo provato negli ultimi anni non hanno prodotto grandi risultati. E, se andiamo ancora più indietro nel tempo, ci imbattiamo con la fine della Prima Repubblica, complice anche il malaffare della politica. In seguito, le cose sono cambiate assai poco, se non nel senso che è cresciuto il livello del prelievo sulla spesa pubblica, come dimostrano le storie delle merchant banks nate all’interno della gestione della cosa pubblica e i sorprendenti arricchimenti sfociati in acquisti di barche e tenute.
Mattarella al Quirinale e Draghi a Palazzo Chigi, senza che alcuno dei due ambisca ad essere l’uomo della Provvidenza, costituiscono oggi la polizza di assicurazione per la rinascita, dirò di più per la sopravvivenza della nostra Italia e delle sue libertà.
A proposito di libertà, il mio professore di diritto pubblico alla facoltà di economia della Sapienza, Giuseppe Chiarelli, che poi divenne presidente della Corte Costituzionale quando fu costituita, insegnava che “il diritto è proporzione dell’uomo rispetto all’altro uomo, nel senso che considera la possibilità di svolgimento dell’attività del singolo in riferimento alle possibilità di svolgimento dell’attività degli altri, proporzionandole tra loro, in modo che l’azione dell’uno non turbi, andando oltre un certo limite, l’azione dell’altro, ma anzi si coordini con le possibili azioni degli altri, così che ne risulti una armonia del tutto, nella quale consiste l’ordine sociale.” Solo quando quella proporzione è mantenuta si conserva la società, precisando “che non è che la pace sociale sia un fine al quale il diritto si rivolge, come qualche cosa che sia al di fuori di sé; ma il diritto è la stessa pace sociale, in quanto il diritto non è altro che quell’ordine, nel quale la pace sociale consiste.”
Ho ricordato il contenuto di quella lezione magistrale (metà degli anni ’50 del secolo scorso) rapportandolo alla legge Zan all’esame del Senato per la sua definitiva approvazione. Ritengo che ci sia molto da riflettere su alcuni contenuti di quella proposta legislativa in merito al rispetto del diritto altrui, affinché sia rispettato il diritto di tutti. Draghi ha correttamente sostenuto che spetta al Parlamento decidere. Ma tocca al Presidente della Repubblica promulgarla, potendo Egli rinviarla alle Camere, con messaggio motivato, qualora urti con il dettato costituzionale.
Nella baraonda politica di queste settimane, dove il gioco truccato delle tre carte sta prevalendo sul rispetto minimo dei principi che sta a cuore del più modesto dei cittadini, l’accoppiata Mattarella-Draghi, come gioca ora e per il tempo necessario che verrà, va sostenuta e salvaguardata.
Sostengo quanto appena detto per il timore che si blocchi la riforma della giustizia, che il governo Draghi, con il ministro Cartabia, sta portando avanti con fatica. Aggiungo che serve anche sottoscrivere il referendum radicale per uscire dal pantano maleodorante di ampi settori della magistratura. A sinistra (quella della porta accanto, che stava alle Botteghe Oscure), ovviamente, non piace che il referendum sia sostenuto dal leader della Lega Matteo Salvini. Amen.
Concludo sottolineando che non mi interessa se il prossimo inquilino del Quirinale sarà colorato di bianco, di rosso, di verde, di giallo o di turchino; da cittadino qualunque desidero, senza speranza, che nelle sacrestie dei partiti la smettano con i baratti e le partite di giro su personaggi logori del passato ed emuli impresentabili di oggi.