Vorrei sommessamente segnalare che, contrariamente a quella che sembra essere l’implicita convinzione di molti, non abbiamo trovato una cassa con 55 miliardi di euro nascosta nell’isola del tesoro. Le risorse che serviranno per finanziare le misure previste nel nuovo decreto dovranno essere prese in prestito e, anche se grazie all’appartenenza all’Unione Europea e all’adozione dell’euro le condizioni sono particolarmente favorevoli, prima o poi andranno restituite. Ciò significa che stiamo usando per gli italiani di oggi i soldi che dovranno essere presi (attraverso maggiori tassazioni o minori prestazioni) agli italiani tra cinque o dieci anni.
Avendo avuto la fortuna di studiare una trentina di anni fa J.M.Keynes, i suoi seguaci e i suoi critici, non considero uno scandalo il finanziamento in deficit della spesa pubblica in situazioni di depressione economica (come è certamente quella in cui ci troviamo), soprattutto se causate ad shock esogeno. Tuttavia mi è altrettanto chiaro che questo tipo di operazioni hanno senso se determinano una ripresa della produzione e del reddito, in modo tale da creare, nel medio periodo, le risorse per finanziarle. Bisognerebbe dunque avere molta attenzione nello scegliere come impiegare le risorse prese in prestito dal nostro futuro.
In verità una sommaria analisi del provvedimento in via di definizione mostra che esso contiene cose utili (come la parziale riduzione dell’Irap) e cose necessarie (il finanziamento della CIG), ma contiene anche un guazzabuglio di interventi a sostegno del reddito o delle attività differenziati secondo stravaganti criteri per questa o quella categoria di cui è facile cogliere le ragioni ispiratrici (ricercare il consenso di tutti sbandierando ad ogni gruppo cosa si è fatto per tutelarlo) ma è difficile cogliere la valenza futura. Da questo punto di vista non colgo particolari differenze tra maggioranza e opposizione: entrambe sono dominate da forze (il M5S e una parte consistente del PD nella maggioranza, Fratelli d’Italia e una parte consistente della Lega nella opposizione) che paiono decisamente più interessate a massimizzare la raccolta del consenso a breve che a ricercare soluzioni di valenza strategica.
Il mio, modestissimo, parere è che un altro approccio era (ed è) possibile ma avrebbe richiesto una chiarezza concettuale e un coraggio politico che non mi sembrano molto diffusi. L’approccio alternativo dovrebbe, infatti, consistere in una chiara separazione tra gli interventi “tattici”, tesi ad assicurare un minimo (uniforme) di risorse vitali a tutti i cittadini e le attività, e gli interventi “strategici” finalizzati a riattivare dinamiche di crescita e sviluppo, impiegando sul primo fronte ciò che è strettamente necessario e il massimo disponibile al secondo.
A puro titolo di esempio possiamo immaginare come appartenente al secondo filone un grande piano strategico per l’innovazione tecnologica e organizzativa dell’intero comparto socio-sanitario, comprensivo non solo della riorganizzazione della rete ospedaliera e della medicina territoriale ma anche delle attività di ricerca, dei settori industriali (penso al chimico-farmaceutico) e di quelli dei servizi pubblici e privati (dai presidi socio sanitari e socio assistenziali alle assistenze domiciliari) ad essi collegati. Per usare un’analogia un po’ semplificata si tratterebbe di fare del comparto socio-sanitario in Italia ciò che il comparto militar-industriale è stato a lungo per l’economia degli Stati Uniti: un settore che utilizza ingenti finanziamenti pubblici ma restituisce un valore alla collettività sia in forma diretta (in questo caso la capacità di assistere le persone invece di quella di combatterle) sia in forma indiretta, generando innovazione e domanda che si trasferiscono ad altri settori.
Certo questo richiederebbe una eccezionale capacità di direzione pubblica e una fluidità di relazioni tra pubblico e privato (imprenditoriale e sociale) che non sono esattamente quelle mostrate finora dal Dott. Arcuri…