Si sono stata testimone della speranza, testimone del miracolo della scienza, della corsa contro il tempo. Qualche giorno fa sono entrata all’Auditorium Parco della Musica, non come facevo di solito per un concerto, non c’era James Taylor, né Mario Biondi, non sono andata a sedermi ai tavolini del bar e non sono entrata nella libreria.
Ero lì per il vaccino antiCovid Moderna. Sudata e “mascherata” ero pronta ad una sfida per far sì che i miei suoceri, due ragazzini di 89 e 87 anni, potessero ricevere il tanto agognato vaccino. Un appuntamento importante, direi fondamentale, un evento da non perdere per nessuna ragione, e contro la mia anima superstiziosa molto partenopea, eredità di un padre assai particolare e amato, il 17 febbraio siamo pronti a regalare ai due over80 un’altra possibilità di diventare centenari. Forse ero io la più tesa, con la paura di sbagliare, l’ansia della burocrazia e dell’imprevisto.
In un secondo siamo nel parcheggio sotterraneo dell’opera architettonica di Renzo Piano, tutti ci sorridono e ci trattano con grande gentilezza, per fortuna la ormai famosa FFP2, non mostra il mio nervosismo. Con grande solerzia saliamo al piano “vaccinazioni”, ascensore ampio anche per due anziani con deambulatori e accompagnatori, ovunque disinfettante e misurazione della temperatura. Temo attese e file, temo minuti da riempire di chiacchiere che non ho voglia di fare perché il mio parka da donna di sinistra è troppo pesante per un ambiente caldo e accogliente.
In un lampo è pronta una sedia a rotelle per agevolare i miei suoceri e altrettanto rapidamente senza neanche accorgercene siamo all’Accettazione, postazioni singole con dottori e dottoresse che sorridono con gli occhi e che capiscono che hanno di fronte una donna lievemente tesa e preoccupata, ma perché esserlo?
Poche domande, qualche firma digitale, e tanto disinfettante. La mia interlocutrice mi placa “signora stia tranquilla”. In pochi minuti siamo alla postazione, luci forti ma rilassanti, tutto di un bianco caldo, nel corridoio una mostra sulla storia dei vaccini. Ci siamo, il dottore in camice celeste, un uomo con lo sguardo buono con gli occhi azzurri di mio padre, con garbo inocula il vaccino. Ha capito subito che sto per commuovermi, si mi sono commossa, avrei voluto urlare come una ragazzina grazie… grazie… grazie alla scienza, grazie alla ricerca, grazie a tutti. Forse se non ci fosse questo malvagio virus avrei abbracciato il dottore. Non ho potuto abbracciare nessuno e non ho potuto urlare, ma lo ho ringraziato 300 volte. Il suo sguardo era felice, mi ha dichiarato “la sua commozione mi ha fatto bene lo facessero tutti…”.
Mi sono sentita fanciulla e sono corsa a vedere come era andata a mio suocero, la sua era una giovanissima dottoressa, deliziosa e dopo con la voglia di saltellare di gioia ci siamo accomodati nell’area osservazione, il cuore a mille e gli occhi lucidi. C’è una macchinetta del caffè, un buon odore ne avrei proprio bisogno, avrei bisogno di abbracciare e di piangere per la felicità ma sarei troppo teatrale. Quattro chiacchiere con i dottori, qualche scambio di opinioni e dopo quasi mezz’ora ci siamo incamminati all’uscita. Liberi da ogni ansia, con mio suocero ci siamo soffermati a vedere la mostra sulla storia dei vaccini, le grandi conquiste della medicina, della ricerca, ci siamo rilassati di fronte ai successi ed ai progressi della scienza.
Ringrazio tutti, auguro buon lavoro e mi stupisco, mi sembra di essere in Svizzera, ma sono a Roma. Tra 28 giorni ritorneremo e sarò felice di ritrovare il personale che ha placato le mie tempeste emotive, le mie ansie, la mia diffidenza immotivata verso il mio Paese. Perché quello che più mi dispiace era che temevo disservizi, errori, inefficienze, e invece la mia Italia mi ha fatto un grande regalo, la mia Regione di adozione e diciamolo un gran bravo assessore come Alessio D’Amato hanno sconfitto i miei pregiudizi.
Ero pronta a graffiare, a combattere, invece mi hanno coccolata, mi hanno dato sicurezza e mi hanno sorriso dietro le mascherine, che queste persone usano ininterrottamente senza perdere la pazienza. Eccomi in macchina, paura svanita, solo voglia di comunicare a tutti che #andratuttobene, che dobbiamo crederci davvero. Vorrei solo che tutti venissero vaccinati, tutti, vorrei svegliarmi in un Paese pronto a riprendere, con i dovuti insegnamenti, la vita di “prima”.