Sono come una pioggia di frammenti di una meteorite disintegrata dall’atmosfera che si abbattono in modo indiscriminato sui telespettatori, non se ne può più! Sto parlando delle notizie su come uscire dalla pandemia di Covid-19 sparate dalla televisione a getto continuo e senza interruzioni (fatta salva la pubblicità, ovviamente).
Spengo per salvare me stesso, non dalle notizie che sono in grado di filtrare da solo, ma dal metodo. Il fatto è che non ho mai amato l’insalata russa, il thousand islands come gli americani chiamano un contorno fatto di tutto, tutto insieme; io fuggo quello che non ha un sapore deciso. Nell’insalata russa, la quantità di maionese provoca l’effetto TV, qualsiasi ingrediente di pregio si aggiunga finisce confuso nel nulla. Aggiungi questo, ascolta quello, ma il sapore è sempre lo stesso.
Nemmeno la giornata mondiale contro la violenza sulle donne è riuscita a far cambiare troppo il fuoco alle illazioni, tanto che dopo 30 minuti di dibattito in cui presentatori, cantanti, attori, con l’aggiunta di un medico che ha la stessa funzione del provolone di Agerola nella insalata russa, mi è venuta voglia di consultare l’oroscopo nella ragionevole certezza che, almeno per caso, possa predirmi il domani.
Spero che almeno Maradona, dall’alto, questa volta davvero, dei suoi incredibili slalom palla al piede, riesca a far cambiare argomento per un giorno. Un ultimo (o primo?) miracolo; lui che ha fatto impazzire gli appassionati di calcio, ha fatto applaudire gli avversari, ha fatto ragionare e scrivere di talento, di istinto, ha lasciato quasi in ombra la vera essenza del suo unico modo di giocare, lo scoglio che si frapponeva tra il suo procedere verso la meta e la necessità di contrastarlo: la sua imprevedibilità.
L’imprevedibile crea le emozioni perché smuove tutto quello che era fermo da tempo, l’imprevedibile permette di vedere quali siano le direzioni nuove verso cui andare, l’imprevedibile è l’inizio di ogni percorso di conoscenza, apre a quello che prima era nascosto, invisibile, toglie quel velo che celava a Parmenide la verità.
Imprevedibile è la cultura, prevedibile è il mercato
Si fanno ricerche di mercato per indagare il gusto del pubblico in modo da fornire proprio e solo quello che ciascuno ama, desidera, vuole, conosce. Questo è il punto cruciale sul quale il mercato insiste e crea danni, il pubblico vuole quello che conosce, quindi è impossibile creare nuova conoscenza all’interno delle leggi di mercato. Poichè il progresso necessita di conoscenza il mercato è il freno più diretto al progresso.
Per evitare di essere frainteso prendo in prestito un ragionamento fatto da Pier Paolo Pasolini ai tempi degli Scritti Corsari. Lui amava distinguere il progresso dallo sviluppo. Definiva il progresso come la ricerca di una spinta ideale che, attraverso la società e la politica, potesse soddisfare le esigenze di una collettività. Lo sviluppo è invece una necessità dell’industria una spinta tutta economica alla produttività e di conseguenza al consumo.
Non importa se il bene prodotto e poi consumato sia necessario o superfluo, importante è che induca il sogno di una promozione sociale, della liberazione dalle catene di un senso della vita originalmente inteso come povertà o come marginalità. Vecchie identità dismesse diventate un peso di cui liberarsi per appartenere ad un branco transnazionale popolato di simili e asservito a chi costruisce per noi una nuova identità fittizia, virtuale ben prima della esistenza della rete, ma appagante dei nuovi ideali.
L’abiura dei valori culturali egemoni nei modelli precedenti, fa delle masse le vittime e i carnefici di se stesse in cambio di uno specchio magico che, come in una favola, indica sempre la più bella del reame (al maschile funziona nello stesso modo). Ormai produciamo da soli l’aridità in cui vivere e, mentre ai tempi di Pier Paolo Pasolini lo specchio lo si pagava di tasca propria, oggi è molto peggio, le grandi industre digitali forniscono gratuitamente l’identità in cui credere perché fanno di tutti noi l’oggetto da vendere.
Siamo diventati il bene primario di una industria che fornisce a pagamento i nostri comportamenti e non ha bisogno di indagini per scoprire quale sia “la media”, ne costruisce l’esemplare e poi lo replica, ne indaga i comportamenti in modo che fugga l’imprevedibile affinché non sia più in grado di produrre conoscenza. Se ai tempi dei Greci la felicità era considerata la realizzazione del proprio talento individuale al servizio della collettività, oggi si cerca la felicità assomigliando agli altri, nascondendosi, appartenere è essere. Sulle origini economiche e sociali di questa trasformazione, oltre Pasolini, suggerisco la lettura del libro di Sergio Bellucci L’industria dei sensi.
Pasolini distingueva categoricamente una destra che cerca lo sviluppo ed una sinistra che cerca il progresso e per sostenere le sue tesi con un esempio, siamo nel 1973, cita Jesus, quello nato a Natale nella grotta, la piccola statuina del presepe, e la compara con Jesus, una marca di blue jeans che mostra un sedere fasciato ed esibisce uno slogan apparentemente evangelico che né Marco né Matteo, che descrivono l’invito di Gesù ai pescatori non ancora apostoli, riportano.
Si tratta di due poteri Jesus, quello vero, e Jesus, quello carpito dal potere del mercato, contrapposti. Entrambi propongono un senso della vita: il primo fatto di valori, di ricerca in se stessi, di fatica intellettuale, il secondo di una facilità impressionate: si compra per poco, basta solo il danaro. Profondo l’uno superficiale l’altro.
“Convertitevi e credete al Vangelo” disse il primo, per diventare “pescatori di uomini”, intendeva dire: vi insegnerò come prendere esseri umani e tradurli ad una nuova vita. Che bello! Pensate alla faccia di Pietro, sentire una cosa che era il contrario del suo lavoro. Pescatore di pesci era abituato a prenderli vivi, ma questi potevano fornire sussistenza agli uomini solo dopo morti. Jesus proponeva il contrario, pescare per dare alla vita biologica un senso. Mi immagino la scena, una barca e Jesus sulla riva con un gesto della mano sollevata a indicare una strada non ancora tracciata che muove verso l’infinito.
“Chi mi ama mi segua” dice il secondo sostituendo un prodotto all’idea, esibendo un culo al gesto etereo, mercificando un corpo in funzione di una strategia materiale fatta di industria, mercato e gradi masse di consumatori devoti alla nuova religione. Del tutto imprevedibile per i discepoli il gesto di Jesus, del tutto prevedibile e studiato nei minimi particolari quello dell’altro Jesus.
Del tutto prevedibili e quindi privi di spunti conoscitivi, sono le prese di posizione degli esponenti in vista della destra Italiana. In questi giorni sono tutti impegnati nella difesa del Natale: come vacanza, svago, ritrovo enogastronomico condito con qualche bacio alla nonna. Sarei anche d’accordo con loro se non fossero gli stessi e le stesse che ad Agosto tuonavano contro il rischio di chiusura delle discoteche la cui fine avrebbe costretto ad una vita monastica piena di stenti e di privazioni. Finalmente si ballò, la destra vinse e quelle danze sfrenate foriere di felicità estiva, insieme ai comportamenti sociali della stessa massa che Pasolini additava come distruttrice di se stessa, diventarono la principale causa della drammaticità di una seconda ondata il cui arrivo sarebbe stato prevedibile fin dagli studi seicenteschi sulle pandemie.
Ora se questa è la destra, io sono orgogliosamente un uomo di sinistra (spero torni ad esistere prima o poi) e avevo bisogno di questo spazio che generosamente il direttore mi concede per affermare che considero ignobile qualsiasi discussione sul cenone di Natale e il veglione di Capodanno in presenza di 52.000 morti di Covid e oltre 30.000 morti indiretti dovuti alla saturazione dei nosocomi (fino ad oggi). Se fosse consentito anche ad un non credente di pregare, questo è il mio desiderio di Natale. Jesus, fa che il bambino che sta per nascere ci liberi dagli sciacalli che calpestano i morti ed il sacrificio dei vivi per un po’ di visibilità politica, io ti prometto che continuerò a lottare contro la supremazia del mercato finché avrò fiato in gola.
Uno di questi signori nella ufficialità di un discorso al Senato ha affermato: “Negare ai bimbi il sogno del Natale è indegno e ingeneroso”. Forse solo perchè sono di sinistra, ma io ritengo indegno e ingeneroso anteporre un cenone alla salute pubblica, e si che sono stato bambino anche io e il Natale lo ricordo ancora. Il Presepe e i miei esperimenti da elettricista per illuminare le casette dei villaggi, la scorrettezza delle dimensioni prospettiche tra le costruzioni vicine e le dimensioni delle montagne, il percorso affannoso dei magi che ogni giorno che passa dovevano essere avvicinati alla grotta della natività. Una fatica, ma un percorso di conoscenza fatto insieme alla mia famiglia: madre, padre, nonna ed un fratello più piccolo. Con loro il cenone, i dolci che inaspettatamente arrivavano solo in quel periodo, i regali insieme al freddo prima dei termosifoni, il panettone che ogni anno provocava la solita lotta tutta italiana e ancora una volta tra la destra e la sinistra: Motta o Alemagna?
In questa situazione intima e poco festaiola siamo cresciuti, io e mio fratello, diventando adulti con alle spalle una carriera professionale di successo senza mai fare una sola settimana bianca. Questa notizia assolutamente privata serve per dire che mi sono convinto che tutti coloro che sono spaventati per i possibili effetti negativi sulla psiche dei propri figli dovuti alla mancata stagione sciistica stiano solo mettendo le mani avanti. Se ciò accadesse, e vi auguro di no, i problemi dei piccoli vanno cercati altrove, forse proprio nell’idea di sviluppo che Pasolini sosteneva oppure nella convinzione errata che nella grotta di Betlemme, in quella notte stellata, la cometa indicasse un paio di jeans di piccola taglia. Volevo rassicuravi, nessun testo, canonico o apocrifo contiene questa informazione.
Scusate il disturbo.
Aldo Di Russo
P.S. come nelle favole lo specchio magico si potrebbe rompere, diamoci da fare.