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giovedì 18 Aprile 2024
Classici contemporaneiUlisse, Dante e Primo Levi

Ulisse, Dante e Primo Levi

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Parlare della Shoah, di Auschwitz e di antisemitismo non è facile, si rischia di essere retorici, scontati, prevedibili, banali. In realtà, invece, parlarne non è mai banale, banale, piuttosto, potrebbe apparire il male, anche quello assoluto, infinito, abnorme, come avverte Hannah Arendt.

È proprio la mancanza di consapevolezza, l’assenza ignorante di percezione, l’indifferenza, la superficialità cieca a generarlo nelle sue forme estreme.

La Shoah richiederebbe una spiegazione, pretenderebbe di conoscere come sia potuta accadere, come mai il cammino dell’umanità si sia potuto arrestare e sia rimasto inceppato per molto tempo nella fornace del Male, di un Male che diventò IMMANE, METAFISICO, che coinvolse tutti, vittime e carnefici, colpevoli e innocenti.

Non esiste una risposta. Averne UNA significherebbe poter disporre di un antidoto.

Purtroppo ad Auschwitz non c’è spiegazione. ” Impossibile comprendere ” dice Levi. Auschwitz è mostruosa proprio perché inspiegabile: l’unica logica che tenga al suo confronto è il non senso, è quella di arrendersi alla sua completa mancanza di senso. È la resa totale della mente e del cuore ed è proprio per questo che diventa una minaccia persistente, un virus endemico che può attaccare sempre e chiunque non sia ben munito di anticorpi efficaci.

primo levi
pixabay.com

Primo Levi, testimone tragico e vittima a sua volta, nei suoi scritti-documenti, avverte che ciò che è accaduto una volta può accadere di nuovo. Come difendersi allora? In che modo l’umanità può salvarsi dagli orrori di Auschwitz?

Immedesimarsi in quella realtà attraverso la commemorazione, per artificio retorico, è impossibile farlo, anzi è delicato non provarci neppure.

E allora? Levi nella sua opera più famosa “Se questo è un uomo” ci racconta che nel recuperare la memoria del Canto di Ulisse di Dante ritrovò la forza per difendersi dall’annientamento fisico e morale, dalla disumanità in cui era immerso.

“MA MISI ME PER L’ALTO MARE APERTO” perché “CONSIDERATE LA VOSTRA SEMENZA, FATTI NON FOSTE A VIVER COME BRUTI MA PER SEGUIR VIRTUTE E CANOSCENZA” (XXVI canto dell’Inferno)

Ripetere nella mente quei versi significò per Levi ritrovare il senso della vita nel non senso di Auschwitz. L’Inferno di Ulisse, pertanto, servì a salvarlo dall’Inferno umano in cui l’uomo lo aveva condannato. E forse è questo l’antidoto di cui abbiamo bisogno: la “virtute” e “la canoscenza”.

In un tempo in cui la cultura sembra essere un demerito, in cui si fa l’elogio dell’ignoranza e si assiste al dileggio delle competenze, Auschwitz è dietro l’angolo e ci minaccia di nuovo. La storia, per chi la studia, ci insegna che chi “parla male pensa male e agisce male”.

Le parole sono importanti soprattutto se appartengono a cariche istituzionali di grossa responsabilità. La vita e la morte di Auschwitz si gioca su questo se, cioè, la parola debba continuare ad essere espressione di razionalità, di confronto onesto e rispettoso tra posizioni diverse o divenire miccia per accendere focolai di odio e aggressività, se il pensiero debba continuare costantemente ad interrogarsi sul bello e il brutto, sul bene o il male o rinunciare alla sua missione di civiltà perché la destrutturazione culturale è sempre generatrice di pericolose demagogie e di ciniche indifferenze, è sempre la causa prima della disumanizzazione di ogni consorzio umano.

Un popolo ignorante e inconsapevole non ha neppure bisogno di bombe per divenire un pericolo fatale al cammino avventuroso e affascinante del genere umano, è sufficiente che rinunzi alla attività discriminante dell’uomo, quella del pensiero. Ma se è vero come è vero che l’uomo è un “animale sociale ” bisognerebbe che ragionevolmente imparasse a vivere insieme a tutti i livelli, in tutti i luoghi e in tutti i tempi e circostanze.

La storia è tanta, forse troppa e lo spazio è stretto per cui bisogna imparare a rispettarsi, a condividere a riconoscersi e accettarsi per quello che si è, e a negare vita agli odi, alle meschinità, alle bassezze e alla brutalità dell’uomo contro l’altro uomo.

Fuori da questa strada non c’è futuro che si prospetti luminoso. Questa cosa così banale è l’unico antidoto possibile a cui si possa ricorrere oggi come domani, come sempre, per quello che siamo e che saremo e affinché un’altra Shoah ebraica, islamica, rossa o nera sia scongiurata, affinché ciò che è stato sia stato per sempre e una sola volta. MAI PIÙ.

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