I cinquant’anni della prima Repubblica erano stati caratterizzati da un dibattito politico per lo più dal risultato scontato, ma pur sempre politico: la prevalenza dei cattolici era schiacciante e la spinta dei socialisti si arrestava davanti al monolite della Democrazia Cristiana. Era un Paese politicamente bloccato perché la vera opposizione, quella comunista, non aveva possibilità, per ragioni internazionali, di arrivare al potere e doveva accontentarsi della gestione di Enti locali quali Regioni e Comuni dell’Italia centrale. E fu, malgrado il terrorismo, un’epoca felice, epoca di certezze nelle quali il Paese era veramente andato oltre il fascismo, oltre la cieca fiducia nel Capo, nella convinzione di una partecipazione paritaria alla democrazia.
Poi ci fu la caduta del muro di Berlino, la liquefazione del comunismo ed alla fine Tangentopoli cancellò non solo i partiti, ma un’intera classe politica, perché la magistratura scoprì che c’era un giro nero di danaro che finanziava la politica: falsa scoperta perché da sempre tutti sapevano che anche prima e anche dopo di allora, il sistema, l’intero sistema, aveva queste regole.
La seconda Repubblica nacque all’insegna del bipartitismo: capitale contro lavoro, imprenditori contro operai e contadini, col ceto medio a fare da arbitro o meglio ad oscillare tra le due parti periodicamente. Venti anni di berlusconismo metà dei quali gestiti da destra e metà da sinistra. Furono gli anni della illusione con il benessere a portata di mano, con la speranza individuale di una ricchezza che non venne e la delusione collettiva dello Stato, ossia della comunità, indebitato che non riusciva più a risanare il bilancio. In questo ventennio ricominciò la fiducia nel Capo, nell’uomo del destino, del demiurgo al quale affidare il proprio futuro e quello dei propri figli.
Questa volta però, invece del crollo di un muro, il sistema fu travolto dal crollo dello spread, ossia del vuoto di cassa e di idee riformatrici. La politica si arrese: una truppa di tecnocrati accreditati a Bruxelles sostituì la classe politica e trovò il modo di fare pagare agli italiani i debiti contratti dai Governi. Finì così la seconda Repubblica.
L’attuale terza fase repubblicana è frutto della fine delle illusioni, alla ricerca non della politica dialogante e combattente, non di idee guida, non di riforme salvifiche, ma di vendette e di rancori. Chi tra decenni giudicherà questi anni non potrà fare a meno di ridere o di piangere scoprendo che un comico ha buttato per aria il sistema esistente a furia di insulti e denunce contro tutti e contro tutto. Il comico è riuscito ad impadronirsi di un terzo del Parlamento e di tante realtà territoriali, affidandone la gestione ad una truppa di incompetenti venuti dal nulla senza alcuna esperienza e senza alcuna cultura specifica. Lo scopo gridato era quello di restituire il potere al popolo con la democrazia digitale, ma la vera aspirazione era quella di distruggere lo Stato ed il sistema, le sue Istituzioni e quel poco di classe politica, residuo povero della prima Repubblica e avanzo ricco della Seconda.
Rancore e vendetta in un Paese disperato hanno prodotto milioni di voti. Il popolo ha avuto il sangue che desiderava vedere scorrere: tagliate le pensioni agli ex parlamentari, ridotto il numero degli eletti, abolita la prescrizione, distribuito il denaro pubblico a chi non lavorava e soprattutto a chi non aveva voglia di lavorare, revoca delle convenzioni tra Stato e privato, opere pubbliche ferme con chiusura dei cantieri, ecc., ecc. Ed alla fine la mortificazione del Parlamento dove non era stato possibile, tra quasi 1000 eletti, trovarne uno capace di fare il Premier ed a farlo fu chiamato un oscuro professore dell’Università di Firenze competente di diritto privato, il quale fu permanentemente e ingiustamente insultato dalle opposizioni perché privo dell’investitura popolare di una qualunque elezione.
La situazione che avrebbe condotto allo sfascio definitivo a fine legislatura incontrò il deus ex macchina in un virus di origine orientale responsabile di una delle più gravi pandemie della storia del mondo che buttò per aria il piano del comico. Ci fu bisogno di un altro Demiurgo, non eletto dal popolo, e del Governo degli ottimati di platonica memoria. Solo Paese disperato, in poco più di due anni poteva ricorrere prima ai cinque stelle e poi al loro contrario!
Draghi è certamente un banchiere di grande valore: una straordinaria carriera nelle Istituzioni laiche per un ragazzo cresciuto dai Gesuiti e poi tra Università, Banche internazionali, Ministero del Tesoro, Banca d’Italia, Banca Centrale Europea, ossia tra Boston, Goldman Sachs, Banca mondiale, Roma, Francoforte e Bruxelles. La stampa lo accredita come un grande italiano apprezzato e stimato in tutto il mondo che conta: riuscirà a governare nella tempesta impietosa della bassa politica italiana? Oggi è l’uomo del destino, la carta vincente del Presidente della Repubblica. Ha avuto dai sondaggi il favore del 71% degli italiani ed un consenso apparentemente quasi bulgaro dalle forze politiche, dalla grande stampa, dai social ed anche dai sindacati, dagli industriali, dalle associazioni di categoria. Oggi. Domani quando verrà il momento delle scelte è assai difficile pensare che i conflitti preesistenti, prescrizione, immigrazione, mes, ecc., non torneranno a prevalere ed a chiedere ancora il ritorno alle urne. Forse anche per il Governo Draghi sarebbe meglio, secondo le regole della democrazia, che si delineasse subito una opposizione franca e più consistente: da una crisi di governo esecrata dai più, non desiderata e mal gestita con tutti contro tutti, è incredibile passare alla quasi unanimità politica senza la base di un programma.
Qualcuno ricorda il consenso bulgaro del governo Parri del 1945, quando però uscivamo dalla terribile guerra e tutti i Partiti, per la lotta al fascismo, si erano ritrovati uniti nel Comitato di Liberazione Nazionale presieduto proprio da Parri. Vale però la pena di ricordare che quel Governo durò meno di sei mesi!
Auguri Presidente Draghi, che Dio gliela mandi buona e senza vento, il vento dei temuti voltagabbana.