martedì 15 Ottobre 2024
Il piacere dei sensiUna lettera in meno per eliminare la mafia

Una lettera in meno per eliminare la mafia

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Il “tautogramma” è una figura di tipo iterativo e posizionale consistente nella ripetizione della stessa lettera iniziale per ciascun vocabolo del componimento. La ripetizione, naturalmente, produce anche un rilevante effetto fonico, spesse volte congiunto a un “effetto filastrocca”, come per la nota storiella di «Pier Paolo Parzanese, piccolo pittore palermitano, pittò parecchi palazzi per procurarsi poco pane…». È evidente che gli esempi più comuni utilizzano le lettere più frequenti, la S, la C, la P e così via. L’esercizio diventa più difficile per lettere meno ricorrenti e ancora di più per uno svolgimento in versi; è il caso di questo sonetto di Luigi Groto (“il cieco d‟Adria”, Adria 1541 – Venezia 1585) dedicato a una dama di nome Deidamia:

Donna da Dio discesa, don divino,
Deidamia, donde duol dolce deriva,
debboti donna dir, debbo dir diva,
dotta, discreta, degna di domino?

Datane da destrissimo destino,
destatrice del dì dove dormiva
delle doti donateti descriva
Demostene, dipingati Delfino.

Distruggemi dolcissimo desìo
di divolgarti, disperol dapoi
diffidato dal dur depresso dire.

Dunque da che dicevol detti Dio
dinegami, discolpami; dipoi
dimostra di degnarti del desire.

Merit era lo pseudonimo dell’autore [si trattava, in realtà, di Italo Mereu, insigne storico del diritto (Lanusei, 1921 – Firenze, 2009)]  del “taglio basso” della prima pagina del Domenicale de “Il Sole 24 Ore” negli anni ’90. In una delle sue noticine (1°/09/1991), abitualmente ispirate a fatti di cronaca o a eventi di attualità, Merit usò scherzosamente questo artificio: lo fece in maniera non totale e in circostanze inusuali, diverse da quelle solite del gioco linguistico. Tutta la questione della mafia – diceva – è una questione di lettera, di lettera P, una lettera che pare nasconda il germe segreto di questo male incurabile:

«Il problema – continuava Merit – a Palermo è di un’evidenza palmare: chi non paga il pizzo in pratica è un pazzo perché, pur provando il puzzo della piovra, preferisce non piegarsi alle pistole dei picciotti. È palese il prostituirsi dei pubblici poteri ed è pure palese la presenza del potere dei partiti che portano avanti la propria politica perversa. Si comprende perciò perché i processi che avevano l’avallo dei pentiti siano finiti, come sempre, in parole parole parole. È pertanto una partita persa poiché si conclude puntualmente con le pistolettate che spaventano il popolo (diventato pessimista e protestatorio) e lo fanno sentire perdente».

E Merit proseguiva così, ancora per molte altre righe, concludendo che, essendo ormai chiara l’origine del male, l’unica soluzione possibile è quella di stroncarlo alla radice: bisogna eliminare dall’alfabeto la lettera P.

Già nel Seicento Gaspar Dornau scrisse una Pugna porcorum, “la battaglia dei maiali”, 250 versi tutti con parole inizianti con la p (Giovanni Pozzi, invece, data la composizione al 1530 e l‟attribuisce al domenicano Leone Plaisant. Altri esercizi, sempre con la stessa lettera iniziale, si devono in tempi recenti ad Achille Campanile (una storia del “povero Piero”), a Margareth Atwood (una storia per bambini, tradotta in italiano da Mattia Diletti, che ha per protagonisti la Principessa Prunella, la Principessa Priscilla, il Principe Primario, tre gatti persiani di nome Pazienza, Prudenza e Perseveranza, ed un pointer chiamato Pollice). Anche in p è il tautogramma di Guglielmo di Baskerville, il protagonista de Il nome della rosa di Umberto Eco ed è lo stesso Eco (1995) che, insieme con i suoi allievi, ha riscritto la storia di Pinocchio in forma tautogrammatica, naturalmente in p (Povero Pinocchio, Comix, Modena, 1995).

L‟Alfabeto apocalittico di Edoardo Sanguineti(Bisbidis, Feltrinelli, 1987) costituito da ventuno ottave tautogrammatiche scritte per la Grande Apocalisse di Enrico Baj, fu letto dall’autore a Mantova nel 1982 in forma teatralizzata con il volantinaggio dei singoli testi, dalla A alla Z, su foglietti variamente colorati simili ai vecchi pianeti della fortuna.

La settima “ottava”, naturalmente, è in “g”:

giocate al giuoco mio, grossi giganti,
giratemi il mio gozzo, con i guanti:
gigantesse, godete al mio godere,
grosso è il gallo se gramo è il giocoliere:
grande ghianda mi è il glande con la gomma,
gratto le grotte, gratterò la gromma:
generali gendarmi, gente giusta,
giunto è già il giorno e chi lo gusta, gusta.

Tautogrammatici sono anche le tante poesiole di Alessandra Palombo raccolte in volume (Tautogrammi d’amore e d’amarore, Introduzione di Raffaele Aragona, ed. Liberodiscrivere, Genova, 2005), come questa:

MALIARDA

Maliarda,
magistralmente
mi maneggiasti,
maliziosamente,
mio moroso
monopolizzasti,
ma martedì,
massimo mercoledì,
morirai.
Maledetta!

I due giochi illustrati proposti la volta scorsa si risolvono:

parche, G giocondo miniale = parcheggio condominiale
DO manda radio per dono = domandar a Dio perdono






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