“Mi è sempre parso e mi pare che, se uno è capitato in un formicaio, deve uscirne fuori […] Essere uomini si può dove c’è un nemico e dove c’è pericolo. Ma dove c’è la lotta della menzogna e della finzione non ci si deve sottomettere, bisogna prima di tutto uscire dalla sofferenza […] bisogna prima di tutto trarsi fuori dal formicaio […].
Per accettare cristianamente ciò che ci viene da dio, bisogna innanzitutto sentirsi se stessi, ma mentre ci saltano addosso e ci pungono le formiche, non si può pensare ad altro che a salvarsi. Accettare come una prova mandata dall’alto il prurito che ci invade tutti per le bestie che ci sono saltate addosso è impossibile. Capisco benissimo che ci possano essere delle persone altamente raffinate che, se fossero frustate, si limiterebbero a guardarsi intorno per vedere se nessuno le ha viste, e diventerebbero ancora più gentili di prima; e queste non fanno pena. Ma capisco anche le altre che sacrificano tutto per conservare la propria dignità […]. E queste fanno pena. Più che mai resto dell’opinione che la cosa migliore che possa fare un uomo che si rispetta è di partire da questo informe mare di volgarità tracotanti, di ozio immorale e di menzogna, menzogna, menzogna, che da tutte le parti inonda questo minuscolo isolotto di vita onesta e operosa che mi sono costruito. E vorrei partire […]” (da “Vi prego di strappare questa lettera” di L.C. Tolstoj).
Queste riflessioni fanno parte di una raccolta di lettere che Tolstoj inviò alla contessa Aleksandra Andrejevna Tolstaja, sua lontana parente, in primis addetta alla corte imperiale russa come educatrice delle nipoti dell’Imperatore Nicola I e poi come istitutrice della figlia di Alessandro II e, quindi, in ultimo, promossa dama di corte dell’Imperatrice. La lettera citata risale al Settembre del 1872 ma per il suo contenuto potrebbe sembrare scritta oggi. Nell’opera citata Tolstoj costantemente manifestava insofferenza verso la Russia del suo tempo, una Russia attraversata da una profonda corruzione, una Russia che non si faceva problemi di acquisire mezzi di ogni genere in modo disonesto per scopi utilitaristici, una Russia paragonata ad un putrido formicaio.
È triste considerare che da allora le cose non siano molto diverse. Non è che la storia si ripeta, piuttosto sono gli uomini a non cambiare. Ieri come oggi e sicuramente anche domani gli uomini, in particolare quelli che hanno potere, piccoli o grandi che siano, continuano a nutrire un fascino per tutto ciò che può essere loro vantaggioso per un tornaconto personale e sempre trovano chi è disposto a tutelarli, a proteggerli in modo da poter offrire la possibilità di continuare i loro loschi affari: il “sistema” deve essere nascosto e tutelato.
La storia di oggi e di ieri è piena di vicende di tracotanza, di menzogne, di delitti contro la legge che scuotono, appena quel poco necessario, per sfuggire alla vergogna dell’indifferenza, per poi essere dimenticate e deliberatamente ignorate.
È di questi ultimi giorni la notizia della scarcerazione di Carminati, un pericoloso criminale fascista, la notizia dell’indagine su venti giudici relativa alla triste realtà della chat di Luca Palamara, di un poliziotto che costringe i migranti a schiaffeggiarsi sotto lo sguardo neutrale di altri quattro suoi colleghi, dell’assassinio di George Floyd, ultimo di una lunga serie, ad opera di un policeman americano. E che dire del licenziamento del procuratore di Manhattan Berman per volere di Trump perchè aveva indagato sul suo ex avvocato Cohen? Di fronte a queste notizie quello che prevale è un sentimento di profondo sconcerto e di grande sfiducia nei confronti di chi dovrebbe garantire e assicurare giustizia, legalità, trasparenza e imparzialità. Il sacrificio della verità è continuamente perpetrato.
Ho citato notizie di peso nazionale e non solo ma a dimostrazione che “piscis a capite fetet “anche nelle piccolissime realtà meridionali di provincia le cose non vanno meglio. Sembra davvero che Cristo si sia fermato ad Eboli ma sicuramente non per sua scelta: lo hanno fermato. Anche nei piccoli paesi l’illegalità non è un problema: “è da sempre che le cose vanno così, dappertutto è così, tutti fanno così, è inutile pensare di cambiare quella che è la normalità”. Sono questi i discorsi più comuni e frequenti e in tal modo tacitamente e con il consenso silenzioso dei più nulla cambia.
Verificare su fatti gravissimi denunciati nelle piazze pubbliche e virtuali non interessa a nessuno, neanche a chi dovrebbe agire per dovere di professione. Ci si appella al diritto all’oblio. E l’oblio si difende con le unghie e con i denti perchè solo se certe “vergogne” vengono dimenticate il “sistema” potrà continuare ad esistere e a trafficare. Chi mostra interesse al ripristino della legalità è invitato a starsene a casa. In lui matura la convinzione drammatica di Tolstoj, di stare, cioè, in un formicaio, per cui l’unica soluzione possibile è quella di farsi da parte, di prendere dignitosamente le distanze dalle infezioni malefiche di questo formicaio che finisce, però, sempre per essere gradito a qualcuno. Ultimamente pare che far sbrigare, dietro lauto compenso, ad amici ,con cui si condividono o condividevano luoghi di lavoro, pratiche comunali regolarmente svolte, da sempre, da funzionari comunali senza aggravio di spese per le finanze pubbliche, sia diventato lecito e del tutto regolare. Ci si erge a martiri immolati sull’altare dell’incompetenza dinanzi ad un popolo che, se in parte acclama, in parte anche si interroga, disorientato e incredulo.
Si ha la sensazione drammatica che tutto sia procurato da una titanica tracotanza, della specie dell’hybris da tragedia greca. Non ci si rende conto di andare oltre i limiti consentiti aldilà dei quali si rischia un pericoloso boomerang. Recuperare il senso del limite oggi più che mai sarebbe indispensabile da parte di chi detiene le redini della giustizia e della politica perchè in quei pochi onesti che ancora “resistono” non si faccia strada la convinzione che la legalità sia solo una bella favola. E in me questo sospetto sta già maturando da un po’.