La parola Italia fu sdoganata da Francesco De Gregori, con la canzone Viva l’Italia! Ci volle un cantautore negli anni Ottanta per ricordare che “il nostro paese” si chiamava Italia. Si chiamava così lo “stivale” fin dall’epoca etrusca e dall’epoca greca. Così la cantò Dante nella sua famosa invettiva “Ahi serva Italia di dolore ostello”. Così era chiamata anche quando era divisa da feudi e da principati. Così la chiamò Metternich quando, dopo il Congresso di Vienna, la definì con disprezzo soltanto una “espressione geografica”. Fu sulla bocca dei patrioti che andavano a morire per lei, per la libertà, per l’indipendenza e per la giustizia. Fu sulla bocca di Garibaldi quando incitava i suoi alla battaglia. Fu sulla bocca di Garibaldi quando, a Calatafimi, a Nino Bixio che gli consigliava di ritirarsi, disse: “Ritirarsi? Qui, caro Bixio, si fa l’Italia o si muore”.
Fu sulla bocca dei fantaccini che furono mandati a morire sul Carso in una guerra combattuta metro su metro. E forse quel nome fu pronunciato con odio ma fu pronunciato, in tutti i dialetti italiani.
Fu pronunciato con odio nella seconda guerra mondiale dagli alpini della Julia e dalla Tridentina che si ritirarono dalla Russia travolti e sconfitti dal gelo. Ma fu pronunciata con amore e rabbia dai fanti della divisione Acqui a Cefalonia e urlata in faccia ai tedeschi che li massacravano.
“Siamo d’Italia l’armata forte e fiera …” cantavano i partigiani in montagna che all’Italia volevano restituire l’onore. Viva l’Italia gridavano i patrioti davanti al plotone d’esecuzione fascista o i torturati di Via Tasso.
Il nome d’Italia (“L’Italia è una repubblica democratica fondata sul lavoro…”) è la prima parola della Costituzione Italiana, un miracolo di democrazia e di libertà reso possibile dalla concordia fra uomini diversi che si unirono per ricostruire.
Poi il nome d’Italia fu dimenticato dai politici, sostituita da un sinonimo tradotto dall’inglese ( “country” che però in questa particolare accezione significherebbe “patria”). E il termine paese entrò anche nel linguaggio comune e sostituì la parola Italia. Perché? Forse perché ci eravamo lasciati alle spalle un regime che nel nome d’Italia ci aveva portato alla rovina e ci aveva fatto subire l’onta di una alleanza mostruosa con il nazismo. Forse perché tanti anni di retorica nazionalista avevano ammorbato la vita sociale, la scuola, la comunicazione, la cultura stessa.
Ci pensò De Gregori a ricordarci che il nostro paese si chiamava Italia quasi trenta anni fa ma ancora nel linguaggio della politica (che oramai si esprime soltanto nei talk show televisivi) latita. Il messaggio di De Gregori lo colse soltanto Bettino Craxi che fece diventare la canzone “Viva l’Italia”, quasi l’inno del partito socialista.
Anche il Canto degli Italiani, che tutti conoscono come “Fratelli d’Italia”, fu per decenni dimenticato e trattato anche con disprezzo. Nessuno lo cantava più e veniva stancamente e distrattamente suonato prima delle partite della nazionale di calcio. Ricordo un sondaggio televisivo, mi pare nella trasmissione di Enzo Tortora Portobello, dove molti volevano cambiarlo con il “Va pensiero” di Verdi ma anche, bizzarramente, con “O sole mio” e addirittura con “Volare” di Modugno.
Ci pensò il presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi a ricordare che quell’inno lo aveva scritto un ragazzo di venti anni che, due anni dopo, lasciò la vita sulle barricate della Repubblica Romana. Ora lo cantiamo senza pudore e anche con piacere. Persino i calciatori.
Per questi motivi. In questi momenti bui, ricordare tutte quelle cose che ancora ci uniscono, e che ci uniranno, in questa Italia “con gli occhi aperti nella notte triste” e gridare, dopo aver tirato fuori il tricolore che abbiamo riposto in cantina dall’ultima grande vittoria calcistica, “viva l’Italia, l’Italia che resiste”.