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mercoledì 24 Aprile 2024
Il piacere dei sensiGalilei secondo Eco

Galilei secondo Eco

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Non è raro che si dispongano a scrivere enigmi autori non proprio addetti ai lavori, la cui estrazione letteraria potrebbe costituire fattore positivo per un buon esito della performance. Così sul numero 73 di “Alfabeta” (1985) furono pubblicati dodici enigmi-indovinelli di Umberto Eco: i lettori furono sollecitati a risolverli e a cimentarsi sullo stesso terreno di gioco, prendendo spunto dai medesimi temi trattati dal semiologo.

I giochi dello scrittore erano preceduti da un saggio di Stefano Bartezzaghi sull’enigmistica contemporanea; in esso erano tracciate le origini dell’enigma e se ne analizzava il processo di trasformazione da sapienza illuminante a esercizio ludico; esercizio che ormai si avvale del supporto di un’attenta e studiata ambiguità di significato.

È in questo senso che l’enigmaticità dell’antico lascia il posto al moderno linguaggio enigmistico. Il quale, invero, ha le sue regole ed è quindi immaginabile la sorpresa, con la quale gli appassionati cultori di enigmi accolsero la “esercitazione” di Eco, brillante sì, ma certo in sintonia più con la nebulosità dell’enigmatica che con i canoni dell’enigmistica. Una definita tipologia di procedimenti governa, infatti, le scelte che l’autore deve compiere per produrre un testo enigmistico.

«C’è forse filiazione – osservava Bartezzaghi – tra il poeta barocco, il cui fine, si sa, era la meraviglia, e l’enigmista: la differenza capitale tra i due è che l’enigmista non inventa forme, ma manovra sostanze linguistiche all’interno delle forme che gli sono già date».

Questo che segue è uno dei dodici enigmi di Eco che andava spiegato proprio con Galileo Galilei, pur risultando insolito l’accostamento omogeneo di persona (il fannullone) e persona (Galilei), cosa che nella scrittura di enigmi esce fuori dagli ordinari canoni. I quali “vogliono” i due sensi sempre alquanto distanti tra loro.

UN FANNULLONE SVENTATO
Dove tieni la testa, nella luna?
Tu cacci balle, se alcunché ti pesa,
lo molli giù, e poi spendi ogni forza
col misurino, ed infine si smorza
inerte ogni tuo moto. In nessuna
faccenda metti impeto. In chiesa
– soltanto intento a lenta oscillazione –
non badi al cardinal, ma al sacrestano…
È vero, parli sempre di un tuo piano,
di qualche inclinazione,
ti perdi a strologar con belle frasi,
ma sono varie e alterne le tue fasi.
Magari hai molti numeri, e tant’è,
ma vedi solo macchie in fronte a te.
Hai tutto fuori posto. Dove mira
quell’orbita tua tonda, che ti gira?

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