I Romani consideravano il Tevere una divinità, gli eressero un Tempio sull’isola Tiberina e celebravano l’8 dicembre di ogni anno feste e giochi in suo onore che chiamavano Tiberinalia. Il fiume allora era un magnifico corso d’acqua che nella pianura tra il Gianicolo sulla riva destra ed i colli sulla riva sinistra, si allargava straordinariamente sin sotto l’Aventino, il Palatino ed il Campidoglio segnando un chiaro confine tra due grandi popoli, gli Etruschi ed i Latini.
L’Isola assunse una funzione fondamentale non solo per il Tempio, ma soprattutto per i commerci: qui sulla riva sinistra, poco più a valle ci fu per secoli un primo porto che chiamavano Emporium, dove poi sorgerà l’attuale quartiere di Testaccio, meta delle imbarcazioni che provenivano dal mare risalendo il fiume. E qui scendevano anche quelle provenienti dalla Sabina, dall’Umbria e dalla Toscana dove, dal Monte Fumaiolo nell’Appennino tosco-romagnolo, originavano le acque che allora erano limpide e trasparenti sino alla foce, al punto che il primo nome del fiume pare fosse Albula.
Sui colli della riva sinistra sorsero i primi villaggi e poi la città, lontano dalle sponde perché le periodiche piene del fiume inondavano la pianura travolgendo uomini e cose, animali, capanne e case. Quando nei secoli recenti fu istallato un igrometro si costatò che nel 1870, tre mesi dopo la presa di Porta Pia, l’acqua salì 17 metri sopra il suo abituale livello ed altrettanto successe nell’anno 1900. Perciò scattò la punizione ed il Dio Tevere fu messo in castigo ed imprigionato con la costruzione degli argini. Garibaldi, vincitore di tante battaglie da generale, da senatore dell’Italia unita fu sconfitto in Parlamento nel 1875: al suo progetto di deviare fuori dell’abitato il corso del fiume, che riprendeva un’idea di Giulio Cesare, fu preferito quello dell’ing. Canevari e per cinquanta anni si lavorò alla costruzione degli alti muri sulle due rive che cambiarono il profilo della città. Di quella Roma non è rimasto altro che gli acquerelli di Ettore Roesler Franz: sono spariti i porti di Ripa Grande e di Ripetta, è cambiato il colore dell’acqua da bianca a gialla ed il fiume sacro è diventato il biondo Tevere.
E spariti i porti si sono moltiplicati i ponti: dai quattro della Roma papale, ai trentaquattro della Roma repubblicana del XXI secolo, malgrado i quali oggi il fiume viene considerato non più strumento di mobilità, ma ostacolo alla circolazione. Su quello che rimane della via d’acqua l’ultimo transito storico avvenne nel 1929, per il trasporto del marmo dell’obelisco del Foro Italico. Oggi sul fiume resta qualche barcone definitivamente ancorato alla banchina, gli armi remieri di pochi circoli sportivi e qualche tentativo di navigazione turistica.
Così le sponde e le banchine sono state abbandonate a se stesse, la loro pulizia è sostanzialmente affidata alle piene invernali del fiume, regolate dalla diga di Castel Giubileo. I nuovi padroni non sono più i barcaioli ed i fiumaroli di tanti secoli, oggi ne hanno preso possesso gli Homeless piantando box di cartone e tende di plastica e seminando rifiuti di ogni genere.
Chi governa il fiume? Pare che le Istituzioni legalmente preposte siano più di trenta! Tutte latitanti, capaci solo di scambiarsi carte ed accuse, ma incapaci di mantenere il dovuto decoro.
Dai lungotevere costruiti sugli argini nessuno scende a passeggiare sulle banchine neanche gli innamorati costretti ad amoreggiare sui muretti, rinunziando al romanticismo dell’acqua che scorre e rinfresca. Prevale la paura: le banchine quelle coperte dalle tante arcate dei ponti, sono il ritrovo e l’alloggio di ubriachi e drogati tra tappeti di lattine, bottiglie e buste di plastica, stracci e siringhe, tante siringhe!
Se il Dio Tevere degli antichi Romani esistesse davvero saprebbe con chi prendersela: perciò per prudenza, Sindaco e Minisindaci, Vigili urbani e Polizia è meglio che prestino attenzione e magari facciano il loro dovere per rispetto al fiume, alla città ed a se stessi!!!