Se non ci si fosse ormai tristemente abituati, desterebbe meraviglia la scarsa attenzione che l’amministrazione napoletana rivolge alla vicenda della Galleria della Vittoria ormai chiusa al traffico da due stagioni. È ancora tutto fermo per quanto riguarda i lavori di ripristino e ciò segna quasi un ulteriore punto di sconfitta, proprio a dispetto del nome della Galleria. Ciò che sconcerta è il fatto che, anziché indirizzare l’attenzione a una soluzione del problema veloce, radicale e definitiva per l’intera struttura, pare che ciò che più interessi è che la sua apertura al traffico veicolare possa e debba consentire la richiusura di via Partenope; sia pure un’apertura parziale, purché si ritorni alla pedonalizzazione di quell’arteria (proprio un ossimoro, dal momento che si tratta di una via di scorrimento e addirittura una via di fuga).
Dopo la boutade lanciata da qualcuno mesi addietro con l’idea di una sorta di galleria nella galleria in grado di permettere il passaggio nelle due direzioni e la contemporanea attività delle maestranze (una soluzione del tutto fantasiosa sotto vari aspetti), ecco che ora si ipotizza di aprire metà carreggiata per permettere l’attraversamento in una delle due direzioni, dando córso, nell’altra, all’esecuzione dei lavori; ciò sempre per consentire la chiusura di via Partenope! E di tanto non si fa mistero, giacché viene detto in modo esplicito; nonostante sia evidente che la cosa comporterebbe un difficile svolgersi del flusso di traffico, se fosse privato delle attuali corsie di via Partenope; nonostante che il blocco della galleria abbia confermato la giusta e naturale funzione di quell’arteria. Una convivenza assurda sarebbe questa delle maestranze dell’impresa poste al lavoro in prossimità del passaggio dei veicoli, con condizioni di lavorazione aggravate dall’emissione dei gas di scarico; la soluzione non tiene neppure conto dei conseguenti e inevitabili ritardi nell’esecuzione delle opere, né della maggior spesa conseguente alla parzializzazione del cantiere.
Il punto fondamentale, sul quale non ci si stancherà mai di dire e di sostenere, è la difesa di quel lungomare che l’iconografia di Napoli ha conservato per secoli, quello che vede (a dir meglio, “vedeva”) il tratto costiero della città snodarsi bellamente da Mergellina a fin oltre il Castel dell’Ovo con a lato, per buona parte, la fiorentissima Villa Comunale: il Real Passeggio di Chiaja. È immagine d’altri tempi che, pur nella sua essenza da cartolina, permetteva una funzione concreta a tutto il lungomare, quella essenziale di collegamento est-ovest e di potenziale “via di fuga”.
Un lungomare delle meraviglie, “meraviglie” d’altro genere, sono quelle di oggi, destate dalle inattese idee partorite dall’Amministrazione di questo decennio. La “necessità” di dare sempre più spazio libero e senza soluzione di continuità, lungo quel tratto costiero, ha determinato nel tempo una situazione ibrida che ha cancellato l’idea della suggestiva passeggiata a favore di un incontrollato parco dove, specialmente nei giorni di fine settimana, avviene di tutto.
Superato il periodo di pandemia, e con esso la necessità dell’ampliamento gratuito (in tutti i sensi) dello spazio concesso ai ristoranti, e terminato anche questo periodo decennale, scaduto il tempo delle eccezionalità, sarà il momento di pensare al ripristino delle caratteristiche originarie dell’intero lungomare e interessarsi davvero alle sorti dell’intera città: sarà il momento di pensare a una napoletana “rivoluzione di ottobre”.
E, tanto per rimanere nella zona del lungomare, saranno da dimenticare le brutte intrusioni di questi anni: a cominciare dai baffi aggiunti alla scogliera dinanzi alla rotonda Diaz e dai chioschetti di Mendini, fino all’invasione in siti impensabili dei carrozzoni dispensatori di cibi vari, la miriade di bancarelle d’ogni genere. Un problema di non semplice soluzione sarà quello delle strutture di ristoro realizzate in maniera non omogenea e, in vari casi, non decorosa, dovendosi prevedere per esse soluzioni unitarie e di più limitata estensione.