1972, l’Italia decide di acquistare 14 aerei Lockheed, quello che ne seguirà sarà ricordato come lo scandalo che scosse profondamente un’intera classe politica: il mistero dell’antilope.
Febbraio 2003. Partono gli alpini del contingente italiano in Afganistan. Salgono su aerei dalla sagoma un po’ tozza, con una fusoliera rotondeggiante, capaci di trasportare molti uomini e mezzi. Sono gli Hercules C. 130 prodotti dalla società aeronautica statunitense Lockheed: quattro motori a turbina, velocità di poco più di 600 kilometri orari, quasi ottomila kilometri di autonomia. Nel 1972 l’Italia ne ha acquistati 14: è stato uno dei più grandi scandali del dopoguerra che ha scosso profondamente la vita politica italiana.
Sul banco degli imputati vennero chiamati tre ex presidenti del Consiglio, uno dei quali era, al momento in cui scoppiò lo scandalo, Presidente della Repubblica, due ministri, il capo di stato maggiore dell’aeronautica, una schiera di generali, alti funzionari ministeriali, avvocati di gran nome, uomini dell’industria pubblica, diretti collaboratori di ministri.
Chi era l’Antilope?
Tra di loro c’era certamente l’Antilope Cobbler, il ciabattino dell’antilope di una popolare filastrocca d’oltreoceano, colui che ha cura degli zoccoli dell’antilope mettendola in condizione di battere in velocità gli altri animali della foresta. Chi era? Circa ventiseimila pagine di documenti, tre anni di indagini della Magistratura ordinaria prima e della Commissione inquirente del Parlamento poi, una seduta del Parlamento che mise in stato di accusa due ministri, un successivo giudizio dinanzi alla Corte Costituzionale: chi fosse l’Antilope restò però e resta ancora oggi un mistero.
Fu fatto veramente ogni sforzo per individuare chi si celasse dietro il nomignolo o, arrivati ad un certo punto dell’indagine, si preferì non procedere oltre? I documenti del tempo offrivano la chiave del mistero?
L’unica certezza è che per l’acquisto di quegli aerei la Lockheed che li aveva costruiti pagò tra il 1970 ed il 1971 una tangente di circa venti miliardi di lire attuali, una montagna di denaro che non si è mai saputo con esattezza nelle tasche di chi sia finito, o lo si è saputo solo per una parte. Forse i partiti politici della maggioranza del tempo — tutti o solo alcuni — parteciparono alla spartizione della torta, come lascia intendere la sentenza emanata nel 1979 dalla Corte Costituzionale.
Tangenti a politici per vendere aerei
Tutto iniziò con una notiziola priva di una grande rilevanza apparsa sul settimanale “Panorama” del 16 ottobre 1975.
In quello stesso anno il Senato degli Stati Uniti, dopo lo scandalo del Watergate, che aveva portato alla luce i finanziamenti occulti al Presidente Nixon, aveva deciso di vedere chiaro nei bilanci delle multinazionali statunitensi. Venne istituita una commissione sugli affari bancari, che istituì un sottocomitato presieduto dal senatore democratico Fanck Church per un’indagine specifica sulle attività delle società multinazionali che avevano ricevuto prestiti straordinari all’interno del Paese.
In una audizione presso il sottocomitato il presidente della società aeronautica Lockheed, Daniel Haughton, dichiarò che la sua società aveva pagato dal 1971 al 1974 molti milioni di dollari a uomini politici di primo piano ed a funzionari per vendere i suoi aerei in Italia, Germania Federale, Olanda e Giappone.
Per l’Italia sarebbero stati pagati più di due milioni di dollari, venti miliardi delle vecchie lire, più di dieci milioni di euro.
Nessuno, al momento, diede grande importanza alla notizia: passò assolutamente sotto silenzio il fatto che il giudice Ilario Martella, presso la Procura della Repubblica di Roma, sollecitato da una richiesta di notizie da parte della Corte dei Conti, avesse aperto un’inchiesta contro ignoti. “Atti relativi all’acquisto di aerei Hercules C 130” c’era scritto sulla copertina del fascicolo: fu solo l’inizio di una storia lunga e difficile.
Ai primi di febbraio Church convocò i corrispondenti dei giornali italiani negli Stati Uniti ed annunciò che tra i documenti consegnati al Comitato che presiedeva uno conteneva ben 43 pagine riguardanti il denaro pagato in Italia per vendere i C. 130.
Il 6 febbraio Arcibald Carl Kotchian, vicepresidente del Consiglio di Amministrazione della Lockheed e precedentemente presidente della Società, in un lungo interrogatorio confermò al sottocomitato presieduto da Church tutte le rivelazioni contenute nei documenti già consegnati.
Per l’Italia ad essere chiamati direttamente in causa sono il “previous minister” della Difesa ed il suo team, per un versamento di 78.000 dollari ed il suo successore che di dollari ne avrebbe avuti ben 1.452.000. Fino al 27 marzo 1970 — le date in questo caso sono molto importanti — Ministero della difesa era stato il democristiano Luigi Gui. Da quella data al suo posto era subentrato Mario Tanassi, socialdemocratico.
Il 9 febbraio appare per la prima volta sulla scena un altro personaggio, il più inquietante: l’Antilope. Una lettera scritta al Grand Hotel di Roma su carta dell’albergo ed inviata il 28 marzo 1969 da Roger Bixby Smith, agente della Lockheed per l’Europa, alla società americana, spiega che l’intermediario italiano prescelto per la trattativa — vedremo chi era — gli ha comunicato che occorrerà versare 120.000 dollari per ogni aereo da acquistare e aggiunge che “L’agente dice che non vi saranno più trattative a quattr’occhi tra un rappresentante del partito e quelli della Lockheed, ma che lo diranno a lui tramite “Antilope Cobbler” (lo trovi nel mio libricino nero, vi è sin dal 5 ottobre 1965) esattamente quanto vuole questo partito”.
Nel “libretto nero”, pure consegnato al Comitato Church, accanto al “Ciabattino dell’Antilope” c’è un’indicazione univoca: “Il primo ministro del governo italiano”. Dal 1968, anno di inizio delle trattative, poi fallite, per vendere l’aereo Orion P. 3, al 1969, data della lettera, i Presidenti del Consiglio erano stati dal 24 giugno al 12 dicembre 1968 Giovanni Leone, che nel 1971 era stato eletto alla Presidenza della Repubblica, e dal 12 dicembre 1968 al 6 agosto 1970 Mariano Rumor. L’Antilope è però segnata sul libretto nero fin dal 1965: prima di Leone il Presidente del Consiglio era stato Aldo Moro, dal 4 dicembre 1963 al 12 dicembre 1968. Chi è dunque l’Antilope?
Il coinvolgimento dello studio Lefebvre nello scandalo Lockheed
Certamente ne conosce il nome il rappresentante della Lockheed di cui parla nella sua lettera Smith: è lo studio legale di Ovidio Lefebvre, fratello di Antonio, che è professore ordinario di diritto della navigazione all’Università di Roma e consulente giuridico di una miriade di società.
Lo studio Lefebvre si occupa anche di intermediazioni internazionali per cifre ingentissime: i due fratelli hanno conoscenze importanti ed amicizie con tutti coloro che contano nella Roma di un tempo, primo fra tutti Giovanni Leone, di cui Antonio è spesso ospite al Quirinale.
E’ proprio Ovidio Lefebvre a suggerire nel 1969 il sistema delle tangenti — 120.000 dollari per ogni aereo acquistato — come l’unico in grado di assicurare alla Lockheed la vittoria sulle società concorrenti. In un memoriale sequestratogli nel gennaio 1978, al momento della estradizione in Italia dal Brasile dove si era rifugiato, è lo stesso Lefebvre ad affermare che la Lockheed, negli incontri avuti, aveva preso in considerazione “unicamente la possibilità di effettuare versamenti di contributi a
partiti politici del cosiddetto arco costituzionale (secondo la prassi del tempo) non già erogazioni a carattere personale”.
Tutto normale dunque, secondo Lefebvre: tutta la vicenda Lockheed è una banalissima questione di finanziamento occulto ai partiti dell’arco costituzionale (democrazia cristiana, repubblicani, socialdemocratici, liberali). Nessun arricchimento personale al di là dei normali compensi professionali: per Lefebvre la trama non è quella di una qualsiasi operazione di corruzione, ma quella del finanziamento dei partiti.
Il memoriale viene dichiarato ufficialmente falso ma ciò non ha molta importanza ai fini dello scontro politico subito iniziato senza esclusione di colpi.
C’è anzitutto da fidarsi dei documenti consegnati dalla Lockheed al comitato Church? Alcuni lo negano: la società aeronautica, in gravi difficoltà economiche, può aver presentato quei documenti per sottrarre al fisco degli Stati Uniti le notevoli somme che afferma di aver pagato per le tangenti. Nei documenti ci sono cancellazioni, rettifiche, macchie di inchiostro in punti strategici: come poter credere a tutto o parte del loro contenuto? Perché la Lockheed ha pagato tangenti per vendere un aereo non peggiore di quelli offerti in vendita in quel momento dalle società concorrenti?
Sono domande alle quali non è semplice dare una risposta: talvolta una domanda ne pone altre, come quelle a proposito del pagamento di somme che vengono eufemisticamente definite “intermediazioni” ma che lasciano intravedere un quadro generale di corruzione ai livelli più elevati. Secondo Archibald Kotchian, l’ex presidente della Lockheed, era stato necessario pagare per evitare che ai C. 130 fossero preferiti altri aerei, come era avvenuto a proposito degli aerei P. 3 Orion, anch’essi prodotti dalla Lockheed ed al quale era stato preferito nel 1968 l’aereo Atlantique prodotto dalla società francese Braquet. Vi era stata corruzione a proposito di quella scelta? Nessuno produsse prove in un senso o nell’altro.
Anche la vicenda dei documenti non è chiara. Secondo una ricostruzione dei fatti pervennero al Comitato Church per uno scambio di buste del tutto casuale: un dipendente della Lockheed inviò al Comitato la busta che conteneva i documenti sulle tangenti invece di una busta identica che conteneva materiale assolutamente innocuo. E’ una versione plausibile dei fatti o non si trattò piuttosto di una storiella per dissimulare il vero intento della società aeronautica di dichiarare indirettamente notevoli spese per migliorare la sua precaria situazione economica? Nessuno, né in Italia né negli Stati Uniti è stato in grado finora di dire una parola definitiva in merito.
Anche a proposito dell’integrità o meno dei documenti che il Comitato Church trasmise agli inquirenti italiani non tutto risultò chiaro anche quando si trattava di documenti importanti per chiarire la posizione delle persone chiamate in causa.
Un esempio in proposito, che fornì materiale a molte polemiche, fu la lettera nella quale lo studio legale Ovidio Lefebvre dichiarava di aver ricevuto dalla Lockheed 78 mila dollari il 19 dicembre 1970: al margine della lettera qualcuno aveva scritto a penna: “Payment for team of previus def. Min. Gui”, pagamenti per collaboratori del precedente ministro della difesa Gui. Chi aveva scritto quella annotazione? In quale momento? Era stato un funzionario della società o un investigatore del Comitato? La seconda venne ritenuta l’ipotesi esatta e la scritta cancellata dalla copia del documento reso pubblico in Italia.
Mentre infuriano le polemiche il giudice Martella prosegue pazientemente la sua indagine. Il 17 febbraio vengono spiccati i primi mandati di cattura. Ovidio Lefebvre e Marta Fava, amministratrice della Società Com. El., destinataria in Italia, attraverso lo studio Lefebvre dei dollari Lockheed, sono accusati di “concorso di corruzione con pubblici ufficiali ignoti” ma si sottraggono all’arresto in quanto sono già all’estero.
Il 21 febbraio viene arrestato l’avvocato Vittorio Antonelli, consulente di un’altra società, la Ciset.
Come venivano pagate le tangenti Lockheed: il meccanismo
Presto emerge chiaro il complesso meccanismo seguito per il pagamento delle somme sborsate dalla Lockheed: il denaro affluisce allo studio Lefebvre che lo smista a sua volta ad una catena di società appositamente costituite strettamente collegate fra loro attraverso le persone degli amministratori, con sedi che sono solo indirizzi di riferimento e rappresentanti legali che risultano essere poveri vecchi, che tutto firmano per poche migliaia di lire. A chi finisce il denaro, una volta entrato in possesso delle società, resta un mistero.
I loro amministratori — i fratelli Lefebvre, Camillo Cruciani, presidente della Finmeccanica, Vittorio Antonelli — risultano titolari di grosse fortune in denaro, gioielli ed immobili di gran pregio ma non si va oltre. Accanto a loro si collocano una serie di personaggi minori — Duilio Fanali, ex capo di stato maggiore dell’aeronautica, Maria Fava, amministratrice — prestanome di alcune società di comodo, Bruno Palmiotti, segretario particolare di Tanassi al Ministero della difesa, Luigi Olivi, amministratore insieme a Victor Max Melca della società Ikaria, la società che avrebbe ricevuto 78.000 dollari per versarli al ministro della difesa Gui o al suo team, fatto questo sempre decisamente smentito da Gui.
Un memoriale di Ovidio Lefebvre consegnato al giudice dal suo difensore afferma che a Tanassi, ministro della difesa dopo Gui, sono stati fatti due pagamenti, il 3 giugno 1970 ed il 18 giugno 1971, tutti in contanti: a consegnare i soldi è stato lui stesso accompagnato da William Codwen, agente della Lockheed.
Non si possono indagare Presidente del Consiglio e Ministri
Martella non può proseguire l’inchiesta: in base all’art. 96 della Costituzione allora vigente — fu modificato nel 1989 — il Presidente del Consiglio e i ministri, per i reati commessi nell’esercizio delle loro funzioni, sono posti in stato d’accusa dal Parlamento in seduta comune e giudicati dalla Corte Costituzionale, integrata da sedici membri eletti dal Parlamento all’inizio di ogni legislatura.
Nell’inchiesta sono emersi reati che sarebbero stati commessi da due ministri e dal Presidente del Consiglio: è un caso che si presenta per la prima volta nella storia della repubblica.
Martella non ha scelta: il 29 marzo 1976 sospende l’inchiesta e trasferisce gli atti alla Commissione inquirente per i procedimenti d’accusa, composta da dieci deputati e dieci senatori, che deve vagliare le accuse per riferire poi al Parlamento che deciderà il rinvio degli accusati al giudizio della Corte Costituzionale o l’archiviazione del procedimento.
L’inchiesta della commissione inquirente, presieduta dal deputato democristiano Angelo Castelli, dura 11 mesi e 10 giorni, dal primo aprile 1976 al 10 marzo 1977. Relatori vengono nominati il senatore comunista Francesco Paolo D’Angelosante e il deputato democristiano Giuseppe Codacci Pisanelli.
Martella aveva formulato l’accusa solo nei confronti di Tanassi. La commissione inquirente decide, a maggioranza, di inquisire anche Gui. Resta vuota la casella del “Ciabattino dell’Antilope”, il nomignolo sotto il quale si cela, secondo i documenti pervenuti dagli Stati Uniti, il Presidente del Consiglio che doveva assicurare il successo della trattativa. Leone dalla Presidenza della Repubblica respinge decisamente il tentativo di chiamarlo in causa anche facendo leva sulla sua amicizia, mai negata, con Antonio Lefebvre. Altrettanto fanno Rumor e Moro, pure chiamati in causa.
Viene stipulato un accordo con gli Stati Uniti: la Commissione, oltre che disporre di tutti i documenti acquisiti dalle autorità americane, potrà interrogare negli Stati Uniti i testi che si presenteranno spontaneamente.
L’8 giugno 1976 il Presidente della Commissione ed i due relatori si recano infatti a Los Angeles ed interrogano alcuni funzionari della Lockheed tra i quali William Codwen, che conferma il pagamento di tangenti a Tanassi in più occasioni, per un totale che arriverebbe a ben 2.018.000 dollari, ben al di là dei 65.000 che Codwen sostiene di aver visto consegnare al Ministro o al suo segretario.
A Roma vengono interrogati via via gli imputati e gli amministratori delle società di comodo implicate nella vicenda. Restano latitanti Camillo Cruciani e Luigi Olivi, amministratore della Ikaria. Ovidio Lefebvre, rifugiatosi in Brasile, verrà estradato nel 1978 ed anche lui interrogato.
E’ Mariano Rumor l’Antilope?
Gli effetti dello scandalo si fanno sentire sul piano politico: il 20 giugno 1976 si svolgono le elezioni per la Camera dei deputati ed il Senato ed i partiti dell’opposizione — il PCI in particolare — conquistano voti mentre ne perdono quelli del Governo, specialmente la D.C.
Intanto la Commissione inquirente continua i suoi lavori. Il 24 giugno con undici voti contro nove viene respinta la richiesta del relatore comunista di incriminare Mariano Rumor: l’Antilope, secondo D’Angelosante, sarebbe proprio lui.
Anche respinta è la richiesta di una comunicazione giudiziaria per Antonio Bisaglia che con Rumor è stato sottosegretario alla Presidenza del Consiglio: ha mandato una lettera all’IMI, rimasta senza seguito, per sollecitare un intervento finanziario che consentisse di acquistare gli Hercules, quando nel bilancio dello Stato non vi erano fondi disponibili.
Nella lettera di Bisaglia all’IMI è scritto che “La Presidenza del Consiglio ha seguito con attenzione la trattativa”. Inoltre risulta in modo inconfutabile che Rumor nel marzo 1969 ha ricevuto a Palazzo Chigi Kotchian, presidente della Lockheed, insieme ad un dirigente della società ed al professore Ovidio Lefebvre, l’incaricato della mediazione. Il 30 novembre 1976 la Commissione inquirente decide di aprire un’inchiesta nei confronti di Rumor, che viene interrogato.
La Commissione accetta la versione dei fatti fornita dall’ex Presidente del Consiglio: si è trattato di un incontro formale, di mera cortesia. Rumor dunque “è da ritenersi assolutamente estraneo alla vicenda della corruzione Lockheed”. E’ una decisione che spacca in due la Commissione. Dieci voti a favore della incriminazione e dieci contrari: prevale il voto contrario del Presidente, che è diventato il senatore democristiano Mino Martinazzoli.
E se l’Antilope fosse Giulio Andreotti?
Giunge notizia della esistenza negli Stati Uniti di altri documenti sul caso Lockheed. Un testimone, Ernest Hauser, dipendente della società e legato ai servizi segreti americani, asserisce che l’antilope è Giulio Andreotti, divenuto Presidente del Consiglio. La sua testimonianza naufraga nel nulla: il 27 ottobre la Commissione inquirente archivia il caso Andreotti per manifesta infondatezza.
Il Presidente Martinazzoli con i due relatori si reca dall’8 al 15 novembre 1976 negli Stati Uniti per interrogare nuovamente i testimoni, ma solo Codwen, l’accusatore di Tanassi, accetta di collaborare e conferma l’accusa contro Tanassi ed il suo segretario, dichiarando di essere stato testimone del fatto.
Gli altri chiamati a testimoniare, tra cui Roger Bixby Smith, l’autore della lettera in cui si identificava l’Antilope con il Presidente del Consiglio, si rifiutano di collaborare.
Il 16 dicembre vengono interrogati Rumor, Gui, Tanassi e il segretario di Tanassi, Bruno Palmiotti.
Il 29 gennaio 1977 la Commissione vota: per Gui e Tanassi, accusati di corruzione — è caduta l’accusa di truffa — sarà il Parlamento a decidere se rinviarli o meno a giudizio dinanzi alla Corte Costituzionale. Rumor esce indenne dalla vicenda: non è stato nemmeno formalmente incriminato.
Sembra finita ma non è così: i radicali promuovono una raccolta di firme tra deputati e senatori per contestare l’assoluzione di Rumor. Occorrono 477 firme e quelle raccolte sono solo 375. Il Parlamento non sarà chiamato a pronunciarsi sulla fondatezza delle accuse all’ex Presidente del Consiglio.
La seduta comune di deputati e senatori inizia il 3 marzo.Intervengono nel dibattito tutti i maggiori esponenti politici dei partiti di maggioranza e di opposizione, compresi Moro, che pronuncia un discorso violentissimo a difesa di Gui, e Saragat, che interviene pesantemente a favore di Tanassi.
L’esito del dibattito appare scontato: solo Tanassi e Gui saranno giudicati dalla Corte Costituzionale.
Marco Pannella con gli altri deputati radicali ed il deputato di Democrazia Proletaria Mimmo Pinto presentano una denuncia per tutta una serie di reati nei confronti del Presidente della Repubblica Giovanni Leone per atti compiuti nel periodo in cui era stato Presidente del Consiglio e di Rumor, Gui, Tanassi ed altre 14 persone, 12 italiani e 2 americani, già entrate a vario titolo nell’inchiesta.
La messa in stato di accussa di Gui e Tanassi
Il 10 marzo si vota: Luigi Gui è messo in stato d’accusa con 487 voti favorevoli e 451 contrari e Tanassi con 513 favorevoli e 425 contrari.
Il rinvio al giudizio della Corte Costituzionale degli altri imputati (Fanali, Palmiotti, i due fratelli Lefebvre, Cruciani, Antonelli, Olivi, Fava e Melca) è approvato con 835 voti favorevoli e 66 contrari.
Nella seduta del 14 aprile 1977 la Commissione inquirente con 19 voti favorevoli ed uno contrario — quello del relatore, il senatore socialista Guido Compopiano — decide l’archiviazione della denuncia presentata da radicali e demoproletari.
Il giudizio dinanzi alla Corte Costituzionale iniziò il 10 aprile 1978 e si concluse il 1° marzo 1979.
La Corte tentò per quanto possibile di ricondurre la vicenda nei termini di un processo per corruzione, al di là delle implicazioni più direttamente di carattere politico, e soprattutto di dare una risposta al quesito che, con l’archiviazione dell’accusa nei confronti di Rumor prima e di Leone poi, era restata senza risposta: chi era l’Antilope?
Camilla Cederna, nel libro “Giovanni Leone — La carriera di un Presidente”, pubblicato nel 1978, lanciò pesantissime accuse nei confronti del Presidente della Repubblica anche per fatti che nulla avevano a che vedere con la vicenda della Lockheed.
Leone, amareggiato dalle accuse che gli venivano rivolte, il 15 giugno 1978 si dimise da Presidente della Repubblica. Querelò per diffamazione la Cederna, che fu condannata; la sentenza riguardò accuse che nulla avevano a che vedere con la identificazione di Leone con l’Antilope.
Procedeva intanto il processo dinanzi alla Corte Costituzionale che, per tentare di risolvere il problema dell’identità dell’Antilope, oltre che per acquisire prove certe sulla responsabilità degli imputati, chiese nel 1978 al Dipartimento della Giustizia degli Stati Uniti di prendere visione di altri documenti che indicavano senza ombra di dubbio i beneficiari delle somme pagate dalla Lockheed. La risposta fu negativa: i documenti erano coperti dal segreto.
Il nome di Aldo Moro, era lui l’Antilope?
La Corte fece effettuare anche alcune intercettazioni telefoniche. Sorpresa: in conversazioni tra Antonio Lefebvre e Duilio Fanali si parlava di Aldo Moro come della vera Antilope. Nello stesso senso era stato il risultato di alcune audizioni. Il 3 marzo 1978, secondo quanto fu poi affermato nella sentenza finale, la Corte decise però di non procedere ad ulteriori atti istruttori in questa direzione in quanto gli elementi raccolti “non venivano ritenuti attendibili”.
Le condanne lievi e l’assoluzione “preventiva” dell’Antilope
I dubbi sull’identità dell’Antilope restarono anche dopo la sentenza che condannò Tanassi (2 anni, sei mesi e venti giorni di reclusione), Fanali (un anno e nove mesi di reclusione e 200.000 lire di multa), Palmiotti (un anno e sei mesi di reclusione e 200.000 lire di multa), Ovidio Lefebvre (due anni e quattro mesi di reclusione e 400.000 lire di multa), Antonio Lefebvre (due anni e due mesi di reclusione e 300.000 lire di multa) e Camillo Cruciani (due anni e quattro mesi di reclusione e 400.000 lire di multa) che continuò ad essere latitante. Assolti invece Luigi Gui, Luigi Olivi, Victor Max Melca, Vittorio Antonelli e Maria Fava: Tanassi e i due fratelli Lefebvre restarono in carcere sei mesi, per poi essere affidati ai servizi sociali. Il generale Fanali viene degradato ad aviere.
Pene dunque nel complesso lievi, tanto che la Corte, alla fine della sua sentenza, si sentì in dovere di sottolineare che i fatti si erano verificati prima della entrata in vigore della legge 2 maggio 1974 n. 195, sul finanziamento pubblico dei partiti “in una situazione cioè nella quale la pratica diffusa delle contribuzioni, non sempre illecite, a partiti politici può aver indebolito la sensibilità giuridica e morale di taluno dei colpevoli”.
Era una sorta di assoluzione preventiva per l’Antilope, chiunque si celasse sotto il nomignolo.
Qualcuno però, già durante il dibattito nella Commissione inquirente, aveva formulato una ipotesi: il riferimento al Presidente del Consiglio, ad avviso, ad esempio, del Presidente della Commissione Martinazzoli, andava inteso non alla persona fisica ma alla istituzione. Dove era scritto “Presidente” doveva in altri termini leggersi “Presidenza“. Poteva sembrare una tesi strumentale, preordinata solo a salvare Rumor nel momento in cui sembrava che la Commissione fosse decisa a chiederne la messa in stato d’accusa: c’era però il fatto che la lettera con la quale si era chiesto a suo tempo l’intervento finanziario dell’IMI era stata firmata da Antonio Bisaglia, Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, facente parte dunque della Presidenza come istituzione.
La Commissione interrogò in modo molto serrato per ben due volte Bisaglia, il quale ammise di aver firmato la lettera ma di non averla fatta scrivere lui: era stata sottoposta alla sue firma da qualcuno di cui non ha ragioni di dubitare. Qualcuno dunque delle persone a lui vicine aveva sottoposto di sua iniziativa alla firma del sottosegretario una lettera di cui l’uomo politico non sapeva niente, abusando della sua fiducia: era lui il “ciabattino dell’antilope”?
Il vero responsabile della corruzione andava cercato al di fuori della classe politica? Se lo chiese anche la Corte Costituzionale che nella sentenza diede notizia della audizione di tutti i componenti del Gabinetto e della segreteria della Presidenza: nessuno però dichiarò di sapere qualcosa della famosa lettera.
La traccia si arresta a questo punto. Nessuno negli anni successivi mostrò di avere interesse ad andare oltre, ammesso che fosse possibile. Passarono così sotto silenzio — o quasi — le affermazioni di Aldo Moro prigioniero delle Brigate Rosse nel memoriale ritrovato il 1° ottobre 1978 a Milano, in Via Monte Nevoso, dagli uomini di Carlo Alberto Dalla Chiesa.
Scriveva Moro che lo scandalo Lockheed era il frutto del successo del PCI alle elezioni del 20 giugno 1976 che segnava la fine della egemonia della DC e del suo sistema di alleanze: nella commissione inquirente non esistevano “maggioranze politiche atte a bloccare una inchiesta giudiziaria”. La vicenda Lockheed, a parere di Moro, fu scelta “quasi a caso nella presumibile boscaglia in materia di forniture militari, sulle quali dovrebbe far luce l’apposita commissione parlamentare. Non saprei dire cosa dovrebbe scoprire. Azzardo a caso – aggiunse Moro – Forse uno di quei casi di compravendita, dai quali l’attenzione, tutta tesa al caso Lockheed, potrebbe essere deviata?”.
E’ chiaro il gioco delle allusioni, dei “dico e non dico”, della sottolineatura della natura politica delle accuse in modo da rafforzare la posizione di Gui, che Moro dichiara ancora innocente, nel giudizio ancora in corso in quel momento davanti alla Corte Costituzionale.
Più oltre però Moro sembra voler dare una precisa indicazione alla Corte affermando che “la fila di quelli che sono chiamati i minori imputati e la cui lista potrebbe anche essere incompleta dà una sensazione di sporco diffuso, di piccolo o medio profitto”. Moro sembra voler sfidare la Corte ad andare oltre nelle sue indagini: l’Antilope non è lui ma è possibile cercare ancora tra i personaggi minori, tra i “ciabattini” più che tra le antilopi.
Era una provocazione nei confronti di chi l’aveva indagato o l’indicazione precisa di una pista da seguire? E’ possibile, al contrario, che pur sapendo come si erano svolte le cose, Moro volesse deliberatamente coprire coloro che avevano contrattato le tangenti in quanto tutte — o gran parte — delle somme introitate era finita nelle casse dei partiti della maggioranza, compreso il suo? Sapere tante, troppe cose, sulla corruzione e sulle forniture belliche incise sul destino di Moro, una volta prigioniero della Brigate Rosse?
Sono tutte domande destinate a rimanere senza risposte Leone, Rumor, Bisaglia, Moro stesso sono morti, come gran parte degli altri protagonisti della vicenda.
I documenti relativi alla Lockheed non trasmessi a suo tempo alla Commissione inquirente sono restati negli Stati Uniti: saranno consultabili solo nel 2025, dopo mezzo secolo dallo svolgimento della vicenda.
Forse allora il mistero dell’Antilope sarà sciolto: sul fatto che avvenga però non c’è da fare gran conto.
Bibliografia
- Nino Piccione, “Uragano Lockheed”, Roma, Edizioni “La verità”, 1977.
- Mario Tanassi, “Ara laica”, Roma, Valerio Levi Editore, 1987.
- Camilla Cederna, “Giovanni Leone. La carriera di un Presidente”, Milano, Feltrinelli, 1978.
- Maurizio De Luca, Paolo Gambescia, Fabio Isman, “Tutti gli uomini del Presidente”, Milano, Mondadori, 1977.
- Guido Campopiano, Memoria di accusa contro l’onorevole Giovanni Leone”, Milano, Sugarco, 1978.
- Maurizio Caprara, “Il caso Lockheed in Parlamento”, Storia d’Italia, Annali, 17°, Torino, Einaudi, 2001.
- Corte Costituzionale, Sentenza 1° marzo 1979 pubblicata in Gazzetta Ufficiale, 11 agosto 1979, n. 221, parte II e III.
- Camera dei deputati — Senato della Repubblica — III Legislatura, 7° seduta comune, 3 marzo 1977.
- Memoriale di Aldo Moro, Roma, Coletti, 1993.