Leggi la versione in inglese “Moondo: strengthening democracy, starting from culture“
Forse non ce ne siamo accorti, o peggio facciamo finta e ci adattiamo pensando di poter sopravvivere lo stesso, il fatto è che si è arrivati ad un punto tale che non è più possibile non accorgersi come il degrado civile e culturale sia arrivato a forme inimmaginabili solo pochi anni fa.
Perfino gli osservatori più distratti lanciano un allarme di pericolo per la democrazia. Non è stato un uragano che ha demolito le nostre certezze, ma una goccia che ha scavato la pietra della tradizione razionale e le forme che avevano le emozioni in una civiltà, quella Europea, che dalla genesi greco romana aveva saputo costruire l’umanesimo, il Rinascimento, la rivoluzione borghese, gli stati nazionali, il diritto in grado di regolare ogni potere assoluto.
Nemmeno le orribili dittature che hanno oppresso l’Europa hanno potuto spegnere la voglia di riconquistare la libertà e ristabilire i valori di uguaglianza e di solidarietà in una forma addirittura più avanzata di prima. Nessuno, prima del capitalismo dei social network aveva mai immaginato che quella goccia potesse scavare nelle menti per costruire con i mattoni della mediocrità un ambiente in grado di cancellare, un po’ alla volta, i nostri valori fondanti. Anche chi all’inizio aveva storto il naso trattando il fenomeno con sufficienza, e anche con un po’ di supponenza sta annusando il pericolo. La goccia rischia di produrre gli stessi effetti delle dittature, ma sostenuta da un popolo felice della propria schiavitù.
Crisi della democrazia e crisi culturale
Il vecchio capitalismo industriale ha ceduto il passo alla finanza, il danaro genera danaro e diventa scopo; non strumento, sogno, fine, diventa aspirazione di pochi e frustrazione di molti. In rete anche i poveri possono vivere da ricchi per procura, basta seguire i così detti influencers, simulacri di una realtà virtuale per noi e reale per loro. Idoli, nel senso in cui Platone definiva gli inganni; molti dei nostri giovani si sono appropriati di quelle vite in un processo di reificazione della propria. La democrazia si confonde con il parere della maggioranza in tutti i campi e non come l’attività fatta al meglio per l’interesse di tutti.
La crisi è prima di tutto culturale e di conseguenza, le forme della rappresentazione artistica sono le prime a soffrire, ne abbiamo discusso molte volte su queste pagine, diventando solo “quello che il pubblico vuole”. Non si cercano le emozioni, non si ricercano motivazioni una crescita della conoscenza diffusa, non si cerca il messaggio da lasciare, si cerca consenso, immediato anche se posticcio, e se questo viene dalla bassa qualità dei prodotti che importa. Per questo si costruisce una gabbia di puro e costante divertimento, si passa il tempo guardando uno schermo e non le sbarre della gabbia. Le istituzioni educative e formative sono trasformate in intrattenimento, magari con l’aiuto di complici conniventi che teorizzino l’edutainment; senza rendersi conto che minare la conoscenza significa perdere quel piacere autentico e quella soddisfazione intima che viene dall’aver superato un ostacolo.
Tutto è cominciato facendo sparire dalle scuole i classici, pericolosi veicoli dei valori dell’umanesimo, assoldando piazzisti di aria fritta per sostenere che il passato non digitale è un’era che non conta più e seminatori di retorica e di esoterismo che in cambio di potere trasformano anche le accademie e i luoghi del sapere in ambienti estranei alle esigenze della società condannata a diventare solo massa.
Il tempo della Resistenza
Credo che il tempo della resistenza sia arrivato, senza retorica, senza paura e senza allarmismi inutili. Mai prima d’ora l’umanità aveva vissuto un periodo così ricco di scoperte, di tecnologia, di possibilità di affrontare rischi, malattie, di sconfiggere l’ignoranza e la povertà, i presupposti ci sono. Eppure, secondo l’IPSOS, la capacità di pensiero astratto dei nostri contemporanei è minore di quella delle generazioni precedenti, i ponti delle autostrade crollano, le cattedrali nel deserto aumentano (Moondo Francisco Dias https://moondo.info/when-the-elephant-comes-on-the-scene/), e la sanità fatica a stare dietro ad un virus che è il frutto del disequilibrio tra l’evoluzione del pianeta e le possibilità dell’uomo. Pronti ad andare su Marte restiamo in crisi per assenza di mascherine protettive: l’oggetto meno tecnologico che esista.
Allora: poche storie, chi si fosse accorto del declino, chi si fosse accorto che l’asfissia culturale mette in pericolo la democrazia, chi si fosse accorto che le istituzioni che creavano la coscienza critica del cittadino sono ottuse di burocrazia inutile costruita ad arte per evitare il pensiero autonomo: pericolo eversivo per antonomasia, chi si fosse accorto che forze ben più pericolose delle dittature stanno costruendo uno schiavismo autoimmunitario, hanno il dovere di reagire come le avanguardie del nuovo rinascimento.
Il ruolo di Moondo
Moondo se ne è accorto e mette a disposizione le sue pagine e la sua struttura. Restaura se stesso, apre a lingue diverse dall’italiano nella consapevolezza che la sfida è planetaria o non è. Chiama a raccolta chiunque creda nella necessità di combattere con le armi della ragione, della cultura e della tradizione (Moondo Mariana Calaça Baptista https://moondo.info/il-coronavirus-e-la-liberta-ridotta-al-massimo/).
Il filosofo francese Michel Onfray ha identificato l’impoverimento della lingua scritta (vedi Moondo Eugenio Santoro https://moondo.info/la-societa-dello-spettacolo-2/) come una delle azioni che consentono al grande capitalismo finanziario il potere. Si rende popolare il linguaggio multivalente (analizzate una frase di un qualunque politico preposizione per preposizione e capirete cosa significhi) e si fanno sparire dal bagaglio e dalla tradizione gli autori classici per sostituirli con quelli che Mario Vargas Llosa chiama scrittori, pensatori e artisti mediocri o insignificanti, ma appariscenti e pirotecnici, abili nella pubblicità e nell’autoproduzione o capaci di soddisfare i peggiori istinti del pubblico.
Questi raggiungeranno la popolarità e saranno ritenuti, dalla maggioranza incolta, i migliori. Fin qui nulla da obiettare, è giusto che ciascuno possa divertirsi come vuole, ma un sistema che misura anche la creatività e la cultura con l’audience sarà portato a definire questi prodotti come quelli che esprimono il maggior valore di mercato con la conseguenza diretta e drammatica che le opere più alte, le più colte, le più interessanti come messaggio per le generazioni future verranno accantonate, sottovalutate e spesso mai prodotte perchè non avrebbero mercato. Se negli anni ’60 in Italia si fosse operato in questo modo non avremmo mai avuto né Fellini né Antonioni e forse nemmeno Italo Calvino (Moondo Sergio Bellucci https://moondo.info/scheduling-the-unpredictable/).
La cultura non si definisce a maggioranza, la qualità di un prodotto si definisce solo all’interno di un gruppo di esperti che siano certificati tali dalla comunità che sia ancora in grado di discernere la verità dalla menzogna, la storia dalla finzione, le opinioni dalla forza della ragione, doxa da episteme. Purtroppo l’arma che dovremo cercare di spuntare è proprio quella secondo cui tutti possono avere opinioni su tutto indipendentemente dalla propria esperienza e dal propio studio. Questo è il generatore di confusione a più alto impatto distruttivo: l’idea che dando lo stesso peso a tutti indipendentemente dalla competenza e dalla esperienza specifica si sia più democratici.
Una comunità è un sistema molto complesso di individui in relazione tra loro e la dinamica interna esiste solo se è fatta da persone diverse tra loro. L’energia, in un sistema dinamico, si manifesta solo quando tra due punti esiste una differenza di altezza, di carica o di pressione: insomma sono le differenze che ci fanno andare avanti e gli uomini sono e devono necessariamente essere diversi, per talento, per disciplina, per intelligenza, per preparazione, per esperienza per formare una comunità che evolva nella civiltà (Moondo Mona Erfanian Salim – Ali Afshar https://moondo.info/bani-adam-figli-di-adamo/).
Uguali di fronte alla legge e di fronte ai diritti fondamentali, ma non di fronte ad un parere scientifico o professionale. Il parere di un scienziato a proposito di virus vale quanto quello di un cantante solo nei talk show televisivi. Eppure, goccia dopo goccia, si è arrivati al punto in cui, facendo sentire gli uomini uguali di fronte a qualsiasi parere, si mettono in crisi proprio i diritti di uguaglianza; li si fa sentire padroni mentre li si rende schiavi del parere dominante asserviti alla loro stessa comunità di idoli nello schermo.
Il potere degli algoritmi
Quando lo schiavo si crede padrone, non si accorge di essere al servizio di qualcuno che dall’altra parte dello smartphone dirige la sua mente, vende la sua stressa libertà in cambio di uno specchio magico, come quello della favola, che continuamente rassicura su chi sia la più bella del reame. Oggi lo specchio ha la forma di un algoritmo che costruisce intorno a ciascuno di noi un ambiente di uguali, dovrei dire di omologati per usare una espressione cara a Pier Paolo Pasolini, un ambiente protetto in cui la propria convinzione, o pregiudizio che sia, è condivisa da tutti. Da tutti, perché gli oppositori saranno in una loro comunità a parte controllata da un algoritmo simile, felici, anche loro, di avere la stessa opinione comune. Allora gli uguali crescono e i loro diritti diminuiscono (Moondo Enrico Panai https://moondo.info/che-filosofia-scegliere-per-il-futuro-delleuropa/).
La televisione, invenzione che intorno agli anni ’60 ha contribuito a costruire comunità rurali all’interno di una idea di nazione circoscritta alla lingue parlata e coesa intorno ad una identità culturale e una tradizione civile, oggi diventa strumento di declino inarrestabile della cultura. Da confronto razionale l’esistenza diventa spettacolo e innamorarsi della schiavitù non lascia scelta. Non parlo del varietà del sabato sera per evadere dalle fatiche degli impegni lavorativi, ma dello spettacolo perenne che diventa la concretizzazione dell’idea di Huxley e del suo “il mondo nuovo”, di una dittatura che controlla le coscienze dei suoi cittadini attraverso i piaceri che distribuisce.
Sostiene sempre Onfray che una operazione essenziale affinché la soppressione delle libertà con il consenso degli schiavi riesca, passa attraverso la soppressione della storia. Il governo italiano ci aveva provato a diminuirne l’imparo a scuole, facendo poi marcia indietro. La dittatura del presente impera in rete e appiattisce qualunque sporgenza. È assenza di prospettiva quella che spinge ad abbattere le statue di eroi fino a ieri rei di aver calpestato il credo di oggi. I manifestanti antistante sono le stesse persone che accuserebbero di omicidio Medea (ammesso che l’avessero letta) e non capirebbero perché alla fine della tragedia viene premiata dal dio pur avendo ucciso i due figli. La storia costruisce la prospettiva dei fatti nel tempo, e la prospettiva permette relazioni razionali e cognitive, un pericolo eversivo per i padroni del mondo. Per questo vorrebbero abolirla.
La storia lega le relazioni dei fatti al contesto in cui sono avvenuti e richiede uno sforzo mentale notevole: andare verso il passato. Il contrario della storia solo le soap a sfondo storico che la televisione propone: qualsiasi periodo è trattato con le regole della civiltà contemporanea, ci si innamora come oggi anche se si parla del medioevo, si combatte e ci si sfida per ragioni simili alle nostre anche se si parla dei romani, tutto sottoposto poi alla conta dei like per definire chi è eroe e chi no, chi è condannato dal tribunale dei social e chi è assolto, la storia la fate voi sembra dire il presentatore di turno prima del tradizionale: grazie, siete meravigliosi! Che orrore la TV se fatta così.
Moondo vuole mettere insieme persone con pareri diversi scelte solo in funzione delle esperienze che a loro volta saranno i catalizzatori di un ambiante analogo per i lettori nella speranza di allargare la piazza o costruire una piazza che non c’è più per contribuire a generare idee.
Quale potrebbe essere una ricetta con la sequenza degli ingredienti da aggiungere per costruire il sapore?
Avere una idea e subito dopo avere idea dei mezzi necessari a realizzarla, sapere dove e come procurarseli e, una volta fatte le opportune verifiche, DECIDERE.
Decidere è un verbo latino caedere (tagliare, mozzare) tanto che il suo participio: decisus, che ha assunto il significato di deliberato, rende chiaramente l’idea che si è escluso tutto quello che non sia direttamente conveniente ed attinente alla strategia che si vuole far sopravvivere come utile ad evolvere. La natura decide, per conto suo, ma decide (decidere in latino ha la stessa radice di cesoie).
Ora, come si confà alla scienza, neghiamo la proposizione appena espressa e proviamo a definire il suo contrario: non decidere. Come avviene?
Da una parte ci sono gli indecisi, come l’asino di cui racconta Giovanni Buridano (Moondo Giorgio Garuzzo https://moondo.info/la-germania-lunione-europea-e-lasino-di-buridano/) che ugualmente attratto da due mucchi di fieno, indeciso su quale dei due mangiare restò nel mezzo e morì di fame. In Italiano “fare l’asilo di Buridano” si dice di una persona che non sapendo scegliere tra due amori resta sola, oppure, di un laureato a cui vengono offerti due posti di lavoro e che, restando in bilico senza decidere, sarà disoccupato.
Fin qui potrebbe essere carattere o paura, ma esiste una pratica perversa che è una filosofia di vita comune tra i decision makers che hanno potere, quella di cercare, tra le molte proposte, una strada che possa andare bene a tutti. Accontentare tutti, andare avanti senza crearsi problemi con gruppi di potere magari poco influenti al momento, ma che potrebbero diventarlo alle prossime elezioni. Allora la decisione è quella di non tagliare nulla, cioè di non decidere. Si attua attraverso il rimandare le cose, e poi rimandarle ancora, chiedere pareri a tutti, schivare accuratamente le esperienze sul campo perchè sarebbe difficile dire che si è deciso altro o in altro modo, poi convocare riunioni e ancora riunioni e ancora riunioni a cui partecipino la più ampia platea possibile, affinché nessuno possa mai dire “io non c’ero”, e tutto per un unico scopo altisonante: non decidere.
L’importante è solo chiamarsi decision maker. Se il progetto in discussione riguarda la cultura, lo dico perchè sul tema ho una esperienza che ha sbiancato i capelli che ho in testa, l’unico risultato che si ottiene è quello di annacquare talmente tanto la strategia da renderla totalmente inutile. Questo genera due risultati: riduce a zero la qualità del lavoro indipendentemente dalla qualità degli autori e pone il gruppo dirigente nella condizione di dire che “è stato fatto”. Come? Non conta. Quanto preziosa sia l’opera per la comunità: non importa. Quale risonanza internazionale avrà per il territorio: è inessenziale, mica all’estero votano per noi! Per cui vale la regola della insalata russa: mischia tutto, qualsiasi cosa ti si proponga e alla fine non chiederti che sapore abbia, mangia e zitto. Il paradosso è che chi opera in questo modo, in genere, nutre, di se stesso, la profonda convinzione di essere un manager prezioso e di alto profilo proprio perchè riesce sempre a mettere tutti d’accordo soddisfacendo le opinioni di chiunque. Questo è il tipico problema che genera problemi.
Con quale spirito Moondo affronta il suo restauro nella direzione della cultura?
Dal punto di vista politico credo si evinca chiaramente da questo scritto, ma vorrei concludere con una metafora estratta dall’articolo 9 della Costituzione Italiana, alla quale ci ispireremo. Leggiamo insieme il testo.
La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica.
Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione.
Si parla di ricerca, di tecnologia di paesaggio, di storia e di beni culturali. Troppo spesso, almeno in Italia, chi ne parla si appropria del pezzo che lo riguarda: Vedi: la Costituzione tutela il paesaggio! Vedi: la Costituzione tutela i beni culturali! Ciascuno, a seconda del proprio campo di interesse trova nella Carta Costituzionale il proprio scudo protettivo, ma a condizione di perdere di vista la ricetta che io ho sempre immaginato di leggere in quell’articolo.
Voglio dire che l’elenco delle cose da tutelare non sono in un ordine casuale. Come si proteggono i beni culturali se prima non si sia tutelato e sviluppato la tecnica che lo consente? Come si tutela il paesaggio se prima non si sia sviluppata la ricerca scientifica? E come si fa a sviluppare la ricerca se la cultura di un paese non sia tutelata, sviluppata e promossa come patrimonio della propria identità? Allora io ho sempre pensato che l’articolo 9 fosse come la ricetta degli spaghetti pomodoro e basilico, la regina della dieta mediterranea. Serve l’acqua, poi il sale, poi gli spaghetti, poi il pomodoro, poi il basilico e in fine il parmigiano. Il parmigiano non è meno importante del sale perchè viene per ultimo, se lo mettessi all’inizio direttamente nell’acqua potrei fare un disastro.
Ecco allora che lo sviluppo della cultura è la base affinché tutto il resto possa essere possibile. Se volessimo fare un confronto gastronomico e andare avanti nella metafora degli spaghetti la cultura sarebbe l’acqua che bolle.
Con questa convinzione Moondo apre uno spazio in cui si pratichi il confronto e lo scontro, se necessario, in cui si sfugga dalla omologazione e dal già detto, un luogo in cui l’ambizione sia quella di costruire cultura e non solo raccontarla, di far bollire l’acqua a beneficio di tutte le altre sezioni e delle altre discipline.
Con la voglia di favorire e mettere a suo agio quell’uomo di multiforme ingegno che Omero canta all’inizio del suo poema. Ai suoi tempi le conoscenze tecnico scientifiche erano limitate e quell’uomo poteva essere uno, oggi la complessità del sistema ci spinge a mettere insieme ingegni diversi per creare un organo complesso e multiforme che come l’eroe Omerico pronto a vivere fino in fondo la propria condizione di uomo e a cercare la propria identità al di fuori del ruolo scritto sul biglietto da visita.
Forse siamo troppo visionari, ma le sfide semplici ci annoiano.