L’articolo 11 della Costituzione recita: “l’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli… (continua)”.
Siccome “ripudiare” significa rinnegare, disconoscere, non più accettare qualcosa che prima si praticava, se ne potrebbe dedurre che non abbiamo più bisogno di un esercito.
Chiarito che noi decidiamo di non aggredire gli altri, dobbiamo pur sempre essere in grado di difenderci dalle aggressioni altrui.
Mi sono sempre chiesto a cosa serviva l’esercito di leva. Una strana organizzazione chiusa e autoreferenziale.
Siccome sequestravi decine di migliaia di ragazzi – la meglio gioventù almeno dal punto di vista fisico- avevi costruito un sistema che dava loro da mangiare, da dormire, li spostava, li curava, garantiva ordine e disciplina.
L’obiettivo dichiarato era insegnare loro a fare la guerra.
Difficile a credersi stante che, in dodici mesi, le esercitazioni veramente operative e formative si riducevano ad un paio di lezioni sull’uso delle armi.
Dovevi pertanto – in sostituzione- inventarti mille attività, infinite corvée per evitare che i coscritti, annoiandosi, decidessero di diventare turbolenti.
I veri insegnamenti -invece- consistevano nell’imparare a ricevere ordini e nell’eseguirli (non importa se sensati o meno), rispettare le gerarchie, convivere con altri sconosciuti, andare d’accordo con gente molto diversa.
Lungi da me sottovalutare l’importanza di un simile arricchimento per un giovane ventenne viziato dalla famiglia, alla prima occasione di uscire di casa e di cavarsela da solo.
Un corso accelerato, un “bignami” su cosa dovevano aspettarsi dalla vita in generale e dal mondo del lavoro in particolare.
In conclusione, la vera specializzazione di quello strano tipo di scuola non era né tecnologica (troppo costosa) né strategica (dopo le legioni romane non abbiamo più vinto una guerra), bensì logistica.
E così arriviamo ad oggi.
L’epidemia è stata paragonata da molti ad una guerra: per la sua durata, per la natura subdola del nemico, per la necessità di vivere come normale una situazione del tutto anomala e innaturale.
Coerentemente con ciò, l’emergenza nazionale ci permette ora di riscoprire l’importanza delle forze armate.
Un esercito -finalmente professionale, competente e tecnologico- sta dimostrando quanto sia importante, in una società di massa, avere una organizzazione che sa muoversi in modo flessibile ma unitario, offrendo la stessa qualità di prestazioni in ogni territorio e condizione. Che è costruito per agire in assoluta indipendenza e con totale autosufficienza. Che, volta per volta, si pone un preciso e univoco obiettivo da raggiungere. Che lo fa senza rilasciare dichiarazioni, sottolineare meriti, far uso di ipocrisie e abbellimenti, mettere avanti giustificazioni ed alibi. I governatori sempre pronti a differenziarsi, i medici a sottilizzare e pontificare, i politici a cavalcare ed istigare lo scontento, imparassero da loro ad anteporre l’interesse generale al loro particolare protagonismo.
Se poi -lasciatevelo dire da un piemontese- il comandante in capo dell’operazione è un alpino allora…
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