E’ intuitivo comprendere che l’alimentazione è necessaria ed indispensabile per mantenere la salute del nostro organismo ma non è altrettanto facile ammettere che l’alimentazione non si limita a fornire i nutrienti, ovvero le sostanze necessarie per la crescita e le esigenze metaboliche dell’organismo, ma ci obbliga a pensare il cibo, procurarcelo, sceglierlo, cucinarlo, gustarlo scambiando l’emozione con altri, masticarlo, inghiottirlo, digerirlo e così via.
Se volessimo cancellare tutte queste componenti dell’alimentazione sarebbe difficile immaginare la salute così come noi la sentiamo, una condizione indispensabile per sentirci in un sereno, positivo, costruttivo e creativi rapporto sia con se stessi che con il mondo esterno.
Questa è una ragionevole risposta a quanti in buona e cattiva fede hanno pensato e forse pensano ancora che l’alimentazione potrebbe risolversi in due pillole nutrienti. Lo pensava perfino Honoré de Balzac quando promulgava l’ideologia della eleganza intesa addirittura come una scienza. Infatti considerava poco elegante mettere in bocca il cibo mostrando di goderne, distratto così da più pressanti godimenti estetici ed intellettuali. “L’ambizioso mangia poco, il sapiente è sobrio, l’uomo di sentimenti ha orrore dell’obesità; il disprezzo dei godimenti gastronomici farà fare necessariamente un passo da gigante alla cucina francese concentrando più sostanze possibile in una piccola forma anche fluidificando il filetto di bue per ridurlo al volume di un cucchiaio. Un progresso? Attendiamo l’avvenire”!
Per altri versi e con altre motivazioni per garantirsi una silhouette vincente qualcuno ricorre, oggi, ai pasti ridotti in “barrette” e per costruire muscoli agli aminoacidi in compresse. Per rendersi conto del fenomeno basta cercare sull’elenco telefonico la voce Nutrition.
Quali sono le ragioni scientifiche contrarie ad una scorciatoia alimentare rappresentata da un filetto fluidificato o da una pillola nutritiva?
Analizzare queste ragioni vuol dire entrare nel merito dei veri motivi per cui l’alimentazione provvede alla nostra salute. Il concetto di salute ha subito varie interpretazioni nel corso dei secoli. L’etimologia ci dice che salute vuol dire salvezza. E’ comprensibile che qualche millennio fa lo star bene equivalesse ad essersi salvati dalle continue minacce di malattia alle quali si era esposti dalla nascita in poi.
Oggi possiamo respingere un concetto di salute come assenza di malattia ed imperfezioni. Ciò non è vero perché l’esperienza ci ha dimostrato che l’organismo umano può considerarsi in salute pur condividendo con una patologia più o meno manifesta.
Le persone in buona salute sono malati che non sanno di esserlo: Junes Romains questo fa dire al ciarlatano Dottor Knick in un classico della satira sulla medicina.
Allo stesso modo è stata respinta un’interpretazione della salute intesa come sensazione di benessere fisico e psichico, trattandosi di una valutazione puramente soggettiva, inaffidabile e priva di riscontri, ed in alcuni casi pericolosa se il sentirsi bene non permette di percepire i segnali della malattia. Uno dei migliori trattati di patologia generale – una disciplina fondamentale del corso di studi di medicina – pubblicato nel 1972 recita così: “la salute è quella situazione di normalità nella quale l’individuo non si accorge del suo corpo e dei suoi organi e vive in perfetta armonia ed equilibrio, in condizioni di euforia. Ci accorgiamo infatti della presenza di un organo solo quando esso è leso, quando fa male.” E’ stupefacente rendersi conto di quanti insegnamenti non veritieri venissero proposti solo pochi anni fa prima che l’ecografia, la TAC e la SPET ci svelassero la falsità del nostro apparente benessere.
In un dizionario della lingua italiana di recente edizione, la salute viene indicata come condizione di benessere fisico e psichico dovuto ad uno stato di perfetta funzionalità dell’organismo. E molto difficile per i più accettare che il difettoso funzionamento di un organo sano voglia dire che sia malato (ipocondria?). Ci siamo anche resi conto che il concetto di salute relativo al gruppo etnico che ci interessa studiare. E’ giusto pensare che la salute di un aborigeno è diversa da quella di uno svedese.
Nel tempo è stato sempre più necessario definire la salute tenendo conto di aspetti fisiologici, psicologici e sociali. Sembra, oggi, più accettabile il parere dell’oncologo Giorgio Prodi, autore della voce “salute” dell’Enciclopedia Einaudi. Egli esprime un concetto dinamico di salute intesa come capacità di reagire a fattori destabilizzanti. La capacità di reazione è una dote naturale della quale disponiamo tutti e che può essere confermata e migliorata nel tempo sfruttando fattori ambientali familiari e sociali. La rigidità che impedisce l’adeguamento ai cambiamenti esterni o interni, naturali fenomeni destabilizzanti (MG. Strepparava, G. Rezzonico) può essere interpretata come uno stato di malattia.
Ogni reazione si sviluppa interagendo con le situazioni psicologico-intellettuali e con quelle linguistico-culturali quindi con il contesto sociale (G. Prodi). Il rapporto tra l’uomo ed il suo ambiente culturale, biologico e sociale è quello di una relazione circolare continuamente giocata tra perturbazioni e ritorno all’equilibrio (MG. Strapparica, G: Rezzonico).
Sono innumerevoli i fattori destabilizzanti con i quali l’uomo si confronta in particolar modo nell’infanzia e nell’adolescenza quando è continuamente sperimentare e sperimentarsi.
Fra i tanti l’alimentazione è un banco di prova fondamentale perché offre la possibilità di un continuo confronto vitale del nostro organismo con l’ambiente impegnando la nostra intelligenza, gli organi di senso, il sistema nervoso centrale e l’apparato digerente.
Cosa intendiamo quando parliamo di alimentazione? L’alimentazione (äler – nutrire) è parola (polisemica, o forse meglio polivalente) che comprende un insieme di atti tesi a fornire all’organismo i nutrienti necessari crescita e sopravvivenza. Compriamo da mangiare nel negozio di alimentari non quello dei nutrienti. Per le esigenze della nutrizione possiamo rivolgerci alla farmacia anche se oggi sono sorti negozi che vendono nutrienti per culturisti o presunti atleti.
Alimentazione vuol dire procurarsi il cibo, vederlo, sceglierlo, condividerlo con gli altri, renderlo appetibile, incorporarlo, digerirlo, assimilarlo, defecarlo. Questi momenti sono tutti fattori destabilizzanti perché impegnano il nostro organismo a fornire risposte adeguate sotto il controllo dell’intelligenza.
L’uomo è un sistema la cui caratteristica prima è quella di avere una storia individuale alle spalle, e difronte a sé una storia collettiva in perenne divenire. Per quanto riguarda l’alimentazione alle spalle c’è la genetica, la tradizione gastronomica, la cultura, l’etnia, il significato attribuito al cibo, i ricordi infantili, il criterio estetico mentre di fronte a sé l’uomo vive in prospettiva il cibo per la sua funzione strutturante del sé, la sua funzione socializzante, la sua capacità di stimolare la politica e l’economia.
Il pasto, ovvero il momento in cui il cibo entra in rapporto immediato con noi, è mediatore di relazioni umane, è un simbolo di comunità e di rito in cui prende corpo la condivisione della sostanza comune, realizzazione di una simbolica identificazione. Il pasto comporta uno scambio di forza e contestualmente una diminuzione di pericolo, due aspetti che possiamo vedere perfettamente esemplificati nell’allattamento al seno.
Ora avendo ben chiaro il concetto di salute ed avendo quindi ben compreso che l’alimentazione è un fenomeno complesso che ci fornisce salute al di là del semplice contributo calorico sarà indispensabile dedicare una piccola riflessione all’ambiente ovvero alle condizioni geofisiche e psicologiche che hanno un ruolo non indifferente nel permette che l’alimentazione sia effettivamente salutare.
Oggi siamo tutti allertati, spaventati, preoccupati del continuo e irrefrenabile modificarsi delle condizioni ambientali che esercitano una pesante influenza sulla qualità degli alimenti costringendo il nostro organismo ad adeguare di volta in volta la risposta. Le nostre tradizioni gastronomiche risalgono a molti secoli fa e la qualità del cibo è molto cambiata perché gli uomini hanno fatto di tutto per adattare il cibo alle proprie esigenze economiche.
In certi casi non ci siamo mai adattati se è vero che l’intolleranza al glutine è insorta quando l’uomo ha scoperto la possibilità di coltivare una spiga di grano che producesse più chicchi, “un grano industriale”, e questa intolleranza permane ancora nei soggetti che hanno ereditato alcune di queste caratteristiche genetiche. Pensiamo alla mutevolezza delle condizioni climatiche, alla riduzione delle precipitazioni, alla prevista desertificazione, alla rivoluzione attuata nella produzione agricola e nell’allevamento del bestiame, l’approfondimento dell’aratura, l’utilizzo di concimi, di antiparassitari e diserbanti, la modificazione genetica delle sementi.
Lo stimolo destabilizzante operato da alimenti così prodotti ha provocato risposte, in parte di adattamento se pensiamo all’allungamento della durata di vita – in parte di danno – se pensiamo ad alcuni tumori, all’infertilità maschile, alle allergie ecc…
La lista dei problemi si allunga all’infinito se diamo la dovuta importanza a tutti i mezzi chimici e fisici che assicurano la conservazione degli alimenti. Come non citare infine le modificazioni dello stile di vita, la destagionalizzazione e delocalizzazione del cibo! Tutti si sono resi conto ormai che alcuni prodotti dell’agricoltura sono presenti sul mercato tutto l’anno.
Oggi l’obbligo imposto ai commercianti di indicare il paese di provenienza di alcuni cibi ci fa capire che portiamo a tavola alimenti che da tutte le parti del mondo. In un solo pasto in Italia, oggi, possiamo pranzare con cipolle cinesi, cotolette d’agnello della Nuova Zelanda, carciofi siriani, ciliege cilene, vino del Sudafrica! E’ comprensibile una certa diffidenza verso questi cibi stranieri perché estranei alla nostra tradizione e allo stesso nostro organismo. Restiamo tuttavia ottimisti, capaci cioè di saper esprime una capacità di adeguamento che ci arricchisce. Anche se pagando un prezzo dal punto di vista del gusto. Ne vale la pena? Perché noi italiani che abbiamo fortuna di nascere in questo paese benedetto da Dio dobbiamo rinunciare al sapore della nostra frutta maturata nel rispetto della stagione buona, per mangiare un prodotto coltivato altrove su terreni sconosciuti, una capacità di adeguamento che seppure disponibile durante tutti i mesi dell’anno?
Né l’organismo, né l’ambiente sono sistemi chiusi, bensì ambedue in rapporto aperto (S: Rose, RC Lewontin, LJ Kamin 1983).
Siamo quindi consapevoli del fatto che alimentazione, ambiente e salute sono strettamente integrati ed interrelati. E molto difficile conoscere le qualità di un cibo, parlare di un regime alimentare o di uno stile di vita senza conoscere bene a chi ci rivolgiamo, quali siano le caratteristiche del territorio e le condizioni socioeconomiche e culturali che lo condizionano.
Dovremmo essere in grado di capire quanto sia importante non subire passivamente quanto ci viene quotidianamente propinato dai mezzi di comunicazione, ma farci partecipi attivamente di tutti gli aspetti dell’alimentazione rispettando le regole del gioco ma anche sapendosene allontanare con matura elasticità mentale.
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